Le due bisacce* di Vincenzo D’Anna*

Nei primi anni delle scuole medie si traducevano, dal latino, le favole di Esopo. Quei racconti contenevano precetti morali che i giovani avrebbero dovuto tenere in debito conto nel corso della loro vita. Uno di questi, tra i più noti, era quello delle due bisacce: il re dell’Olimpo, Zeus, aveva dotato ogni uomo di due “sacche” immaginarie. Una gravava sul petto, l’altra sulla schiena. Nella prima, quella anteriore, erano contenuti tutti i vizi ed i difetti degli altri uomini, nella seconda, quella posteriore, c’erano i vizi ed i difetti del “portatore”. Morale: ogni uomo era capace di riconoscere i difetti altrui ma non quelli propri, tenuti al riparo, nella bisaccia portata dietro la schiena. Insomma: Esopo ammoniva i lettori a non indulgere nella facile critica dei difetti altrui considerando che i propri erano certo poco visibili ma parimenti esistenti. Ebbene, i dati 2023 sulla crescita del PIL, resi noti dalla Svimez (l’Associazione per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno), evidenziano che per la prima volta, dal 2015, le regioni del Sud Italia registrano, nel loro insieme, un tasso di crescita più alto rispetto al resto del Paese, con il prodotto interno lordo stimato all’1,3% rispetto alla media nazionale (ferma allo 0,9%). Parimenti per l’occupazione che nel Meridione fa segnare un incremento di nuovi occupati pari al 2,6%, a fronte di una media nazionale ferma all’1,8%. Si tratta di dati certamente incoraggianti che, secondo la stessa Agenzia, in buona parte dipendono dal pacchetto di investimenti in infrastrutture, riforme ed opere pubbliche predisposti dal governo italiano, nell’ambito del “Next Generation EU”, finanziati con i fondi del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza). Ossia con i 200 milioni di euro che l’Europa ha assegnato al Belpaese. Una massa di danaro che dal 2050 dovrà, in buona parte, essere restituita. Facile a dirsi, difficile a farsi per una Nazione come la nostra che vanta il triste primato di essere tra le più indebitate del Vecchio Continente, che paga cento miliardi di euro di interessi passivi ogni anno, vale a dire la quarta voce di spesa dopo pensioni, stipendi per il pubblico impiego e sanità. Insomma: la solita solfa di accontentare i contemporanei ed accollarne il costo alle future generazioni. Poiché nessun pranzo è gratuito, questo tipo di occupazione e di aumento del prodotto interno lordo, sarà pagato da nuove tasse e balzelli tra poco più di un decennio. Ripetere, ancora una volta, che questo tipo di politica somiglia maledettamente a quelle del passato, è finanche inutile. Che dire? Neanche il governo della destra ha voluto e saputo guardare oltre il contingente di una politica che rifulge effimera e foriera di futuri ulteriori gravami per il contribuente italiano!! I fatti sono opinioni testarde ed i numeri sono… “fatti” ineludibili. Che non ci sia stato nessun leader a sottolineare tale aspetto, ad evidenziare l’intangibilità del vecchio andazzo di governare con la leva del debito crescente, durante le consuete passerelle televisive, significa che ci troviamo dinanzi un’ulteriore riprova che le cose in Italia non cambiano nella loro essenza. La situazione è’ grave ma non e’ seria !! Men che meno interessa a coloro che non vanno a votare o a quelli che scelgono i partiti populisti e né se ne occupano i cosiddetti “altruisti” che si contendono la palma dei benefattori del popolo coi soldi altrui. C’è da chiedersi, a questo punto, a chi mai convenga mettere in piedi un’azienda in un contesto nel quale la giustizia civile impiega oltre dieci anni per dirimere una controversia e dove non si potrà che aumentare le tasse (nel mentre, in parallelo, non potrà che crescere l’incidenza dell’evasione fiscale). Chi volete che scelga di investire in uno Stato che non paga i suoi fornitori, gestisce monopoli in ogni ambito produttivo e ripiana i debiti delle proprie aziende partecipate? Eppure il Mezzogiorno, ai tempi dei Borbone, era uno dei territori maggiormente industrializzato della Penisola esente dalla piaga dell’emigrazione che, dopo l’epopea unitaria sabauda, spogliò buona parte dei nostri paesi. Eppure l’intervento dello Stato in economia era ancora ben lungi dal venire!! Prima del 1861 la politica del debito crescente non esisteva neanche lontanamente. La libera iniziativa, per quanto prevalentemente agricola ed artigianale, ossia paleo-industriale, operava senza intoppi ed interferenze dei governi e dava i suoi frutti. Intendiamoci: nessuna nostalgia per tempi remoti ma solo un paradigma tra forme di governo dello Stato e dell’economia. E’ di queste ore l’apertura di una procedura di infrazione da parte della Ue per l’Italia ed altri sei nazioni per eccesso di debito. La notizia non allarmerà nessuno, sarà ovviamente usata per dare addosso all’attuale governo da parte di chi per ben dieci anni lo ha preceduto ed ha prodotto buona parte di quei debiti per i quali oggi Bruxelles alza la voce. Guardare alla borsa dei difetti altrui è comodo e facile. Peccato che nessuno si ricorderà di quella che pende alle proprie spalle!! Chi volete si ricordi più dei banchi a rotelle, di Alitalia, dell’Ilva, del deficit dei superbonus e del baratro chiamato “reddito di cittadinanza”? Neanche Conte che continua a menerbe vanto.

*già parlamentare

*Hic sunt leones* di Vincenzo D’Anna*

Molte sono le comunità civili che hanno adottato un vessillo con un un motto. Fa eccezione l’Italia repubblicana che, oltre al drappo tricolore, ha come emblema una ruota dentata, simbolo del lavoro e del progresso, ma non un’espressione letterale. Famoso invece il motto degli Stati Uniti: Pluribus Unum (da molti uno solo) a significare che molti territori si sono fusi in un solo Stato. E così tante altre nazioni nel mondo. Se dovessimo decidere anche nel Belpaese di adeguarci a quella tradizione ci troveremmo in grande imbarazzo per la difficoltà di rappresentare, in sintesi, l’identità specifica del nostro popolo oppure la ragione vera e prima per la quale siamo diventati un solo Paese. Cosa scrivere, infatti, per una nazione che, nonostante sia nata da oltre un secolo e mezzo, vive ancora dilaniata da atavici pregiudizi e da disparità tra Sud e Nord? Come si ricorderà il Mezzogiorno fu “annesso” per mano militare dai Savoia piemontesi e poi depredato di tutti i suoi averi. Cosa scrivere di rappresentativo per gli abitanti dello Stivale che sia veramente sentito e condiviso? Definire un epitaffio per una nazione che fu tale fin dal medioevo, per lingua e sentimento di riscatto dalle occupazioni straniere, senza uno Stato che la rappresentasse, salvo poi esserlo in seguito senza mai diventare patria, progetto di un vero e condiviso sentimento popolare? Siamo stati fin dall’alba dei tempi un miscuglio di razze, colonie di altre popolazioni che si fusero con quelle indigene alle quali trasmisero usi costumi, lingua e cultura. Dal crollo dell’impero romano in poi abbiamo sempre avuto chi ci ha dominati, influenzati ed occupati, chi ci ha trasfuso non solo la composizione genetica della propria razza ma anche la base dell’ordinamento civile. Troppo diversi per essere già un popolo consapevole e concorde della propria Storia unitaria e come tale polemico e rivendicativo al punto tale che qualsiasi riferimento letterale che faccia da sintesi identitaria finirebbe per essere contestato o peggio ancora disconosciuto. Tuttavia in omaggio all’indole anarchica e levantina potremmo trovare un motto che, per essere condiviso da tutti, illustri i difetti comuni degli italiani. Ed allora sotto il tricolore potrebbero campeggiare alcune tipologie di espressioni: “il popolo dei furbi”, oppure la “patria degli opportunisti”, la “nazione dei contemporanei” che, come tale vive egoisticamente senza conoscere la propria storia e senza curarsi del futuro. Considerato che la categoria più vituperata di questi tempi dalla cosiddetta “società civile” è quella dei politici, sotto la bandiera potrebbe ben esserci anche la scritta: “il Popolo che in democrazia pretese il meglio ma poi scelse sempre il peggio”. Insomma chi più ne ha più ne potrebbe mettere!! Tra i tanti “esemplari” difetti degli Italiani si potrebbero annoverare quello della indifferenza, dello scarso grado di civismo, del correre sempre in soccorso del vincitore, del predicare il sublime e praticare il mediocre, dell’indignarsi solo per le ingiustizie dalle quali non si traggono benefici, del pretendere sempre, comunque ed ovunque, il cambiamento ma di non rivolgere mai a se stessi quella necessità. Insomma: la nostra è una nazione nella quale campano molti rivoluzionari, bastian contrari di mestiere, ed una marea di saccenti moltiplicatisi a dismisura dalla nascita dei social, attraverso i quali gente anonima e spesso ignorante può lanciare lezioni morali e muovere critiche all’universo mondo. Quel che aggrava questa crisi identitaria è l’indifferenza, la supponenza di coloro che la rivoluzione delle coscienze la chiedono sistematicamente agli altri. Un esempio eclatante di questa indole scaltra si è verificato in provincia di Latina dove un bracciante indiano ha perso la vita per essersi tranciato un braccio mentre usava un attrezzo agricolo. Il malcapitato è stato scaricato, ferito e sanguinante, dal datore di lavoro innanzi all’uscio di casa con accanto una cassetta contenente il braccio amputato. Lo stesso datore di lavoro, nel tentativo di sgravarsi la coscienza, ha spiegato che l’incidente sarebbe stato da ricondursi all’imperizia dell’operaio!! Insomma non un essere umano da soccorrere immediatamente ma carne da macello di cui liberarsi in fretta e furia. Le morti sul lavoro sono all’ordine del giorno in un Paese che si vanta di essere annoverato le sette nazioni più industrializzate al mondo, culla del diritto, democratico e civile. Eppure tutto scorre e tutto continua per le “morti bianche”, a tutto ci si abitua e procede in quel carrozzone politico chiamato Inail, ove gli ispettori che, specie al Sud, debbono il posto di lavoro e la carriera alla politica politicante e, quindi, agli interessi sottesi dalla stessa di non colpire gli imprenditori che la politica sostengono elettoralmente ed economicamente. Per questi sfruttatori senza coscienza e senza legge dell’umanità dolente e di chi li tollera che motto scegliere se non quello che i cartografi dell’antica Roma apponevano al confine dei luoghi non ancora civilizzati? “Hic sunt Leones”, ossia questa è la terra selvaggia dove vivono i leoni!!

*già parlamentare