La legalità “borghese”*

di Vincenzo D’Anna*

Un vecchio adagio politico del secolo scorso, più volte ribadito e citato dai radical chic, invitava a “non morire democristiani”. Un specie di iattura che avrebbe colpito chi non si fosse convinto che i voti dati alla Libertas erano un errore e che tutto sommato l’egemonia scudocrociata al governo della nazione rappresentasse un dato negativo, un’eterna rappresentanza di un potere ininterrotto, determinato da quella parte di elettorato retriva e meno acculturata. Eppure di cose buone i governi a guida DC ne avevano fatte eccome sul piano concreto oltre a garantire al Belpaese una sicura collocazione tra le democrazie occidentali e quindi un regime di libertà e di diritti. Certo senza la cortina di ferro, che separava i paesi liberali da quelli marxisti, tenuti sotto il tallone politico e militare dell’Urss, si sarebbero create le condizioni per un’alternanza di forze al governo del paese. Alternanza impedita dal fatto che il PCI, l’altro partito di massa operante in Italia, manteneva stretti legami con il regime dei Soviet. La leadership democristiana, cooperando con le altre forze democratiche laico-socialiste, aveva dato al Paese la possibilità di risorgere dalle macerie morali e materiali della seconda guerra mondiale, soprattutto con Alcide De Gasperi alla guida dell’esecutivo e Luigi Einaudi presidente della Repubblica. Morto De Gasperi altri leader guidarono il governo nazionale, tra questi un giovane professore universitario toscano, Amintore Fanfani, che, con Aldo Moro, operò affinché si aprisse una nuova fase politica con l’ingresso dei socialisti di Pietro Nenni nell’esecutivo. Fanfani, ministro e politico di spessore culturale dotato di un carattere di ferro, assunse il delicato compito di varare un piano casa per alloggiare coloro che non avevano più un tetto a causa della guerra oppure per le ataviche condizioni di sottosviluppo sociale esistenti in talune zone dell’Italia meridionale. Il vivace ed arguto politico aretino fu in grado di realizzare anche un vecchio mandato di don Luigi Sturzo, il sacerdote cha da Caltagirone, nel 1919, fondò il partito popolare con il manifesto dei valori indirizzato ai “Liberi e Forti” che volevano prodigarsi per il riscatto italiano. Al grido dei marxisti che denegavano la legittimità della proprietà privata invitando tutti ad “essere proletari”, replicava riconoscendo il valore etico e sociale della proprietà con un contrappello ad essere, invece, “tutti proprietari”. Infatti secondo la dottrina sociale della Chiesa, la proprietà è frutto del lavoro, quindi se il salario è legittimo e sacro, allora lo dovrà essere quello che si acquista con i risparmi di quel salario. La proprietà altro non è’ che la giusta retribuzione del lavoro cambiata di segno., quindi il diritto stesso del lavoratore a poter utilizzare parte del suo salario. Una visione, quest’ultima, che contrastava alla radice l’illogicità e l’illegalità dei cosiddetti espropri proletari, la proprietà ritenuto il frutto avvelenato dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Un errore grave, caratteristico del marxismo e della società comunista, nella quale tutto è’ proprietà dello Stato. Ne è passata di acqua sotto i ponti da quegli accadimenti. Il piano casa di Fanfani è stato consegnato ormai ai libri di storia. Lo stesso marxismo, inteso come dottrina dello Stato, ha accumulato fallimenti un po’ ovunque. La proprietà privata? Per fortuna si è estesa a dismisura nelle società liberali ed oggi in Italia circa l’ottanta percento delle persone ha almeno una alloggio di proprietà. Nel terzo millennio, caotico quanto opulento, lo Stivale risulta tra i paesi occidentali più evoluti, forte di una rete di protezione sociale capillare e spesso assistenziale, finanche iperplasica. Ne deriva che dover tornare su concetti socio economici che sono il fondamento di quelle società illiberali appare intollerabile per coloro che godono dei positivi effetti della proprietà privata. Così non è, invece, per i residuati bellici vetero-marxisti che tuttora operano predicando contro il sistema capitalistico, inseguendo le tesi anacronistiche dello scontro tra proletariato e borghesia dimenticando che i proletari , nel frattempo, sono transitati in quel ceto borghese che pure avrebbero dovuto combattere ed azzerare. Tra questi romantici della società massificata svetta la neo parlamentare europea Ilaria Salis, occupante abusiva di case, che testualmente afferma: “la proprietà privata è legittima nella logica del diritto borghese, in quella proletaria no. Occupare case sfitte è necessario e pertanto lecito”. Insomma: considerare sfitte e come tali “ occupabili” tout court rappresenterebbe per la neo deputata di Bruxells, il principio che legittima questa nuova etica pubblica, con buona pace dei vari Bonelli e Fratoianni i quali si affannano ad appoggiare l’arcaica ed erronea tesi della “compagna” che loro stessi hanno voluto in lista e quindi eletta. Tuttavia la legalità borghese tutela chi la casa l’ha pagata e chi ne ha diritto secondo la legge!! Borghesi o proletari che essi siano!! Ebbene sì: vogliamo morire democristiani!!

*già parlamentare