Ventidue coltellate, inferte una alla volta a ritmo serrato, sul corpo della vittima, il pusher aversano Paolo Menditto, rimasto vivo fino ad una delle ultime pugnalate, quella letale, che colpì il suo cuore. E’ uno dei passaggi della deposizione del medico legale Raffaella Luce, consulente della Procura della Repubblica di Napoli Nord, sentita ieri come teste ad apertura del processo a carico del militare (sospeso) dell’Esercito Italiano, Paolo Scarano, 34 anni. L’uomo, accusato di omicidio aggravato dalla crudeltà, in furia ad un raptus di gelosia massacrò nel settembre dello scorso anno il pusher aversano Menditto dopo averlo sorpreso nel suo stesso appartamento nella zona delle «palazzine». Un omicidio, raccontò Scarano, motivato dal suo forte invaghimento per Mena, una ragazza di 26 anni, spesso senza fissa dimora, conosciuta appena 15 giorni prima di uccidere lo spacciatore che l’ex militare aveva trovato nudo alla porta quando, qualche giorno prima del delitto, andò a bussare per chiedere della ragazza che era salita proprio da Menditto. Quest’ultimo avrebbe ceduto dosi di sostanza stupefacente in maniera gratuitamente alla ragazza, dietro compensi di natura sessuale. Circostanza poi appresa da Scarano. Di qui la violenza scatenata con forti pugnalate che provocarono lesioni profondissime anche a fegato e polmoni e addirittura la frattura di una costola. Nel processo – che si sta svolgendo per ragioni logistiche davanti ai giudici della Corte di Assise di Napoli (presidente Concetta Cristiano, giudice a latere Valeria Scandone). in quanto Napoli Nord ne è sprovvista – sono impegnati nella difesa gli avvocati Natalina Mastellone e Giuseppe Cipullo e come parte civile l’avvocato Mario Griffo.

 

Ieri, in aula, impassibile c’era anche l’imputato, l’ex caporale detenuto nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere ma erano assenti i parenti della vittima. Il medico legale Luce, dopo aver confermato il contenuto della relazione autoptica al pubblico ministero, ha spiegato – rispondendo ad una precisa domanda dell’avvocatessa Mastellone – che la vittima sopravvisse alcuni secondi prima di morire, durante quella terribile raffica di coltellate: dunque non ci fu morte istantanea. Circostanza che collima anche con quanto dichiarò Scarano davanti al gip dopo l’arresto avvenuto il giorno dopo il delitto: «Dopo averlo accoltellato mi ha guardato e mi ha detto, ‘ma che fai vuoi uccidermi?’, era assolutamente cosciente ed ancora in vita ed a quelle parole ho smesso di colpirlo e sono scappato. Ho saputo della sua morte solo il giorno dopo, quando ho letto la notizia cercando su internet». Il gip del tribunale di Napoli Nord, a seguito dell’interrogatorio di garanzia, aveva escluso la premeditazione nel delitto, classificandolo come d’impeto, così come aveva chiesto la difesa accettando la tesi dell’accusa,ovvero l’aggravante della crudeltà.

La ragazza «contesa», quando seppe che Scarano aveva ucciso il pusher, attraverso il telefono della madre, inviò un messaggio al militare in cui gli scrisse «vergognati». L’arma del delitto, una lama da 15 centimetri, ben descritta da Scarano fu gettata in un cassonetto giallo sulla variante di Aversa.

Dopo il delitto l’ex militare si cambiò fuori la porta di casa della madre e si liberò anche degli abiti rinchiudendoli in un sacchetto gettato nel cassonetto dei rifiuti. Non sono mai più stati ritrovati abiti ed il coltello arma del delitto. Durante la colluttazione e il feroce accoltellamento si sarebbe ferito leggermente ad una mano. Il processo riprenderà a fine settembre con la testimonianza di alcuni appartenenti alla Polizia Giudiziaria del Commissariato della Polstato di Aversa.

FONTE: di Biagio Salvati cronista giudiziario