Il duplice delitto dei fratelli Marrandino

Potrebbe venire dall’esame dei cellulari di Antonio Mangiacapre, di suoi congiunti e di Marco e Claudio Marrandino la verità sul punto di contatto tra vittime e omicida in relazione al duplice omicidio dei fratelli, di 40 e 29 anni, di Cesa, uccisi a colpi di pistola allo svincolo di Succivo della superstrada Nola-Villa Literno lo scorso 15 giugno, poco prima delle 14. Il magistrato titolare delle indagini presso la procura di Napoli Nord, il pm Antonio Vergara, ha, infatti, nominato consulente (che si affiancherà ai carabinieri della compagnia di Marcianise) Carmine Testa, ingegnere informatico, con l’incarico di acquisire copia forense dei contenuti multimediali e documenti informatici archiviati nei cellulari delle due vittime, dell’omicida, reo confesso, oltre che in quelli del cognato e del figlio di Antonio Mangiacapre, rinchiuso nel carcere di Santa Maria Capua Vetere sin da poche ore dopo il duplice omicidio.

L’ingegnere Testa esaminerà anche diverse immagini tratte dalle telecamere di videosorveglianza di alcune aziende e abitazioni della zona teatro del duplice omicidio. Di fatto, queste nuova strada intrapresa dagli investigatori è la prova che la confessione di Mangiacapre, operaio 53enne originario di Cesa come le vittime, ma residente da anni a San Cipriano d’Aversa, avendo sposato una donna del luogo, non convince.

L’uomo, infatti, ha confessato di aver esploso i colpi di pistola (almeno cinque) al culmine di un diverbio scoppiato per motivi di viabilità. Una versione che non reggerebbe anche visionando un video, postato nei minuti successivi al duplice omicidio sul web, dove si vede la Bmw bianca a bordo della quale viaggiavano i fratelli Marrandino (di ritorno dall’aeroporto di Capodichino, dove Marco era andato a prendere Claudio di ritorno da Milano, dove stava lavorando con la sua impresa edile) che si ferma allo svincolo. Uno stop dovuto a causa della scarsa visibilità offerta dalla posizione delle strade. Qualche istante dopo arriva Mangiacapre a bordo di una Golf grigia. Le due vetture si affiancano per alcuni secondi, poi l’omicida scende dall’auto, si avvicina al lato passeggero, apre la portiera, strattona Claudio e poi gli spara alla testa. Marco, alla guida, tenta la fuga a piedi, ma lo raggiungono alcuni colpi alla schiena che ne provocano la morte. Gli spari richiamano l’attenzione di una pattuglia di carabinieri. Uno interviene esplodendo colpi di pistola contro Mangiacapre, mancando l’uomo che riesce a mettersi in auto e, dopo un inseguimento, a far perdere le proprie tracce. Spunterà, poi, alla clinica Pineta Grande, nel tentativo di costruirsi un alibi, raccontando di essere stato vittima della rapina della sua Golf, che sarà ritrovata nelle campagne di Cancello Arnone.

Nella sua abitazione i carabinieri troveranno armi con matricola abrasa e un quintale di munizioni. L’esame del cellulare di Marco potrebbe spiegare anche la causa della telefonata che l’avvocato cesano aveva fatto poco prima alla moglie Rosa, avvertendola che avrebbe tardato a pranzo. Gli inquirenti si chiedono se avesse un appuntamento e se questo era con Mangiacapre. Quest’ultimo, in sede di udienza di convalida, qualche giorno dopo il fermo, avrebbe anche tentato di far passare la linea della legittima difesa affermando di aver sparato dopo aver sentito uno dei fratelli che avrebbe detto all’altro «sparagli a questo». Un racconto che il magistrato non avrebbe preso in considerazione. Senza fondamento, almeno per il momento, anche il movente di una casa della vittima acquistata all’asta dalla famiglia Marrandino.

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