*Il diritto di vivere* di Vincenzo D’Anna*
La società italiana è in pieno marasma morale. I vecchi principii sui quali era stata costruita nel dopoguerra, sono stati sostituiti dalla continua richiesta di “diritti da riconoscere”. Abbiamo più volte avvertito la necessità di scrivere che le varie teorie “parificanti”, come quella gender, contenevano in sé un cavallo di Troia, ossia la surrettizia sostituzione dei valori che un tempo formavano la base morale delle persone con la conseguente modifica anche delle fondamenta stesse dell’etica pubblica. Spesso là rivendicazione di nuovi presunti pseudo-diritti non ha colmato oggettive disparità materiali tra i comuni cittadini. Stiamo parlando del riconoscimento di diritti che, in realtà, tali non erano in quanto non incidenti sui bisogni reali e collettivi quanto sui gusti e sulle inclinazioni personali di talune categorie di persone. Lo stesso è avvenuto con l’affermazione del linguaggio cosiddetto “politicamente corretto”: una modalità semantica ed espressiva anch’essa sottesa a far digerire al più vasto consesso sociale non solo un nuovo modo di esprimersi ma finanche di sdoganare e rendere lecite (ed usuali) idee e comportamenti sociali inediti. Abbiamo inanellato una serie norme che hanno parificato, oppure reso indeterminato il genere, stravolgendo anche la determinazione del sesso, sostituendolo coi “gusti” sessuali. Abbiamo travolto la famiglia eterosessuale sostituendola con la poligamia delle famiglie “queer”. Abbiamo licenziato, come lecite, l’eutanasia, la manipolazione degli embrioni, l’eugenetica e la libertà senza responsabilità, ossia quella priva vincoli, limiti morali e sociali. Se chiunque, sulla base di una semplice pulsione, può trasformare quel modo di sentire e di essere in un diritto inalienabile, il caos è assicurato. Con esso la prevalenza del disordine e della violenza di imporsi sui propri simili: delitti efferati compiuti da minorenni senza scrupoli, femminicidi come base per regolare i dissapori di coppia, sono il corollario dell’esercizio di questi “diritti” e delle possibilità derivanti dalla nuova morale personale e dall’etica pubbliva. Tutti i nuovi diritti, per paradosso, vengono invocati come applicazione di un principio di uguaglianza. Insomma siamo all’abolizione di ogni diversità biologica e sociale il che ci fa incappare nel vecchio errore di confondere l’uguaglianza con la giustizia!! Non a caso le spinte politiche ed ideologiche vengono da sinistra dove quell’errore è ontologico per coloro che per anni hanno creduto e propagandato come salvifica la società degli eguali e lo Stato che la impone. Da quelle parti sono passati dal marxismo al progressismo indeterminato, dalla società programmata dallo Stato alla libertà assoluta, che accoglie ogni presunta necessità umana. Tuttavia nella selva dei nuovi diritti “emancipanti” ne manca uno, forse il più sacro e veritiero: il diritto alla vita per ogni essere umano!! Sissignore, il diritto per ogni essere umano concepito di essere protetto ed assistito nel corso della fisiologica e progressiva fase di crescita. Questo diritto pare lo si possa riconoscere solo se l’embrione ha raggiunto le dodici settimane di vita, limite entro il quale può essere impunemente soppresso!! E’ questa la negazione di un diritto per riconoscerne un altro: quello della madre di privarsi del proprio figlio in forza di circostanze che le conferiscono la “carta bianca” di non rispondere di niente a nessuno. Le principali motivazioni, quelle più utilizzate, pare siano di ordine economico perché un crescere un bimbo costa. Come se le generazioni precedenti e le famiglie numerose fossero appartenute solo alle ricche schiere nobiliari!! Al netto dell’egoismo, della scelta di vivere la propria esistenza senza più l’intralcio dei figli da crescere, del voler dare all’unico pargolo il meglio possibile costituito dal superfluo oppure dal lusso, delle conseguenze del “sesso libero” in fasce di età sempre più giovani se non proprio adolescenziali, rimane ben poco come giustificazione per esercitare il diritto di morte per un innocente. Ma a quanto pare neanche cancellare l’insufficienza economica può bastare per garantire la nascita di un bimbo. Cade in questo modo il velo di una giustificazione farlocca se non di comodo che molti accampano per abortire lo stesso. Il governo vuole stanziare uno stipendio per le puerpere che portano a compimento la gravidanza per un tempo tale che il bambino possa nascere e crescere senza patire bisogni. Anche questa idea, che non lede alcun diritto acquisito ma crea solo un’opportunità da cogliere, in una nazione sempre più vecchia e che ormai non fa più figli, pare abbia…disturbato gli pseudo progressisti!! Anche questa buona idea insomma sta per essere mistificata dai nuovi filosofi del pensiero debole, dai politici emancipati che pure si sono sbracciati in favore del riconoscimento di altri opinabili diritti!! Italiani brava gente? Ne dubito…
*già parlamentare