Rigoletto

 Le parole della musica

ri-go-lét-to

SIGNIFICATO 1) Danza collettiva in voga nel tardo Medioevo; con uso figurato, indica un gruppo di persone disposte in cerchio. 2) Titolo di un’opera lirica di Giuseppe Verdi e personaggio eponimo dell’opera stessa

ETIMOLOGIA forse diminutivo di riga o rigo; come nome, diminutivo di Arrigo.

  • «Gli hanno fatto un rigoletto tutti intorno.»

Due accezioni per una sola parola, che schiude due scorci della storia musicale d’Italia.

Tra la fine del Trecento e quella del Quattrocento, a Firenze e dintorni si ballava il rigoletto, una danza di gruppo in cui i ballerini, tenendosi per mano e girando in cerchio, cantavano un  e un solista intonava le strofe, creando una forma composita di , ballo e musica.

Dal punto di vista coreutico il rigoletto si distingueva da altri balli apparentemente simili, come la . A differenza di quest’ultima, si praticava infatti lo scambietto, un veloce saltello che alternava un piede avanti all’altro (a proposito, qui c’è un interessante articolo di Francesco Zimei)

Rigoletto è anche l’ di Arrigo, un nome d’origine germanica, oppure… facciamo anche noi un veloce saltello nel tempo.

L’11 marzo 1851 venne rappresentato al Teatro La Fenice di Venezia Rigoletto, melodramma in tre atti di Giuseppe Verdi su libretto di Francesco Maria Piave, tratto dal dramma di Victor Hugo Le roi s’amuse (Il re si diverte). Il nome di uno dei personaggi della pièce di Hugo, il buffone di corte Triboulet (realmente esistito), nella versione verdiana fu inizialmente italianizzato in Triboletto, per poi essere sostituito con Rigoletto.

In francese il verbo rigoler significa ridere e, forse, per questo motivo la scelta del nome in italiano cadde su Rigoletto. Inoltre, è possibile che un nome che richiamasse sofferenze e tribolazioni non fosse troppo accattivante per il pubblico; oltretutto, rischiava di svelare anticipatamente il tragico epilogo della trama.

Verdi giudicava Le roi s’amuse uno dei drammi fondamentali del teatro moderno. La  francese invece lo ritenne offensivo nei confronti della monarchia e subito dopo la prima rappresentazione del 1832, lo  per cinquant’anni dalle scene di Francia. Con tale pesante precedente, il compositore e il librettista dovettero a loro volta fronteggiare notevoli problemi, sia di ordine politico che morale.

Uno di questi riguardava la rappresentazione della  di Gilda, l’ingenua, unica figlia di Rigoletto. La giovane era sinceramente innamorata del Duca, che si era presentato a lei sotto le mentite spoglie di un povero studente. In realtà, il Duca continuava a rincorrere dame di corte e disinibite taverniere. Le ‘amava’ tutte, ossia nessuna, tanto da cantare Questa o quella per me pari sono. Ancora un anno dopo il debutto a Venezia, Verdi scriveva: «Bisognerebbe far vedere Gilda col Duca nella sua stanza da letto!!! […] Ma i preti, i frati, gli ipocriti griderebbero allo scandalo».

Già in una lettera del 1846 il compositore si lamentava che la censura fosse «così rigorosa, che non permette cose interessanti». E, in effetti, le autorità passarono al setaccio anche Rigoletto, imponendo mille cambiamenti. Nonostante le modifiche apportate, l’opera riscosse un successo clamoroso. Soltanto nei dieci anni seguenti, fu rappresentata più di duecentocinquanta volte. L’astro verdiano rifulse di nuova luce, inaugurando una stagione fruttifera e artisticamente ‘matura’.

Rigoletto è la prima delle tre opere che sono tradizionalmente accorpate nella cosiddetta ‘trilogia popolare’: Rigoletto e Traviata. Ognuna di esse drammatizza in musica le  profondamente umane dell’amore e del dolore, esperite non da eroi, ma da individui al margine della società. Rigoletto rappresenta il tragico amore paterno di un buffone cifotico, schernito da tutti. Con il Trovatore Verdi mette in scena l’amore filiale e la sete di vendetta, fuochi opposti che divorano l’anima della zingara Azucena, matricida per errore. Infine, nella Traviata, l’amore della cortigiana  è  nella catarsi generata dalla rinuncia all’amato Alfredo.

Un buffone, una gitana, una prostituta. Quasi un’anticipazione delle storie dolorose con cui, oggi più di ieri, si rappresenta il mondo degli esclusi.