*Capitalismo, non speculazione* di Vincenzo D’Anna*
A rendere più fitta la già folta schiera degli statalisti, ovvero di coloro i quali ritengono di poter affidare allo Stato non solo le principali funzioni dei servizi sociali ma anche gran parte dell’economia, ci pensano tutti quelli che del capitalismo hanno un idea distorta se non addirittura retriva. A costoro spesso il libero mercato di concorrenza viene indicato come il luogo in cui sfruttare vantaggi ed occasioni in danno della collettività ed a favore dei pochi in possesso delle risorse necessarie per poter speculare. Tuttavia mistificazioni, menzogne ed ignoranza non bastano per stravolgere e cancellare la realtà di una dottrina economica né l’idea di uno Stato minimo ed autorevole che presidi e non intervenga nelle dinamiche basate sul libero scambio e sulla concorrenza tra i competitori. Anche quando la libertà economica viene preservata e rispettata dalla politica dei governanti, lo Stato non è mai estraneo a quelle dinamiche. Un libero mercato ha infatti bisogno di leggi che creino il contesto entro il quale la libertà del fare e dell’intraprendere possa svolgersi. Senza quelle regole e quei limiti di garanzia, il mercato stesso diventa il luogo in cui i lupi divorano gli agnelli. A chi, dopo la dissoluzione dell’Urss, chiedeva al filosofo e sociologo liberale K.R. Popper quando si sarebbe aperta la borsa valori a Mosca, egli rispondeva: “quando la Russia si sarà date libere istituzioni ed un parlamento”. Il che, tradotto, significa che senza regole certe non esiste mercato e quindi garanzie sicure per investitori e competitori. D’altronde cosa ne sarebbe del nostro Stato se non potesse emettere Bot, Cct ed obbligazioni varie per finanziarsi e quindi impiegare soldi nella rete dei servizi sociali? A coloro che reputano che siano i biechi ed esosi speculatori ad offrire quel denaro basta rispondere che ormai i principali investitori sono rappresentati da vari fondi pensione ed Eagle Found (fondi comuni di investimento). Quindi i guadagni sono ripartiti su milioni di beneficiari. Lo scopo primario del capitalismo è quello di lasciare all’uomo la libertà di intraprendere e di poter guadagnare in concorrenza con altri soggetti che hanno il medesimo scopo e come tali sottoposti alle medesime regole ed agli stessi controlli da parte degli istituti preposti. A seguire, lo step successivo diventa quello di allargare la base della ricchezza e del benessere sociale non tanto per raggiungere una finalità filantropica, quanto per allargare la base di quanti saranno in grado di ampliare la domanda di beni e servizi e con essa la produzione, il lavoro e la ricchezza. Un circolo virtuoso che ha portato, nei decenni, all’innalzamento degli stili di vita, all’uso di prodotti di qualità e di ausilio personale diffusi sempre più in larghi strati della popolazione. Tutto questo ha potuto realizzarsi solo dentro istituzioni politiche forti, libere ed autorevoli. Ne consegue quindi che la libertà economica rappresenta solo uno dei corollari delle libertà civili che essa stessa incentiva nelle sue forme democratiche. Un connubio inscindibile, quest’ultimo, se non si vuole contrabbandare per libero mercato quello che il regime comunista ha instaurato in Cina, laddove c’è la libertà di potersi arricchire ma non quella di rivendicare diritti civili e libertà politiche. Tuttavia anche il capitalismo ha i suoi difetti: l’induzione dei bisogni non necessari ( ma che spesso diventano tali ), la speculazione finanziaria, i grandi trust che tentano di dominare e controllare il mercato ai loro interessi. Sotto questo aspetto la comparsa dei bit coin simboleggia la possibilità di diffondere a tutti la facoltà di poter fare speculazione finanziaria attraverso apposite piattaforme private. Si tratta certo di un nuovo aspetto dell’agire economico ma che conferma come il libero mercato guardi in basso e non in alto, che abbia interesse a diffondere e non concentrare le ricchezze. Un miliardario potra’ comprare scarpe costosissime ma ha sempre e solo due piedi per indossarle. Personalmente preferisco altro perché per quanto diffusa potrà essere la speculazione finanziaria essa è comunque un profitto senza alcuna produzione di beni. Lo Stato, semmai, dovrebbe vigilare e controllare che questa non assuma i tratti dello strozzinaggio e faccia leva sui bisogni primari dei cittadini. Quindi, ricapitolando: occorre un capitalismo che ponga sempre la dignità dell’uomo davanti a tutto, mettendola al centro della politica (non certo dell’economia fine a se stessa) rispettandone i bisogni. In questo la politica è decisivo e chi ci governa ancor di più, se non affida allo Stato tutto quello che compete alla libertà degli individui. I segnali che cominciano a venire dal governo Meloni, sia pure timidamente, sono di segno liberale. Dopo la legge che distende i rapporti con i contribuenti, quella che codifica e diminuisce i controlli per le aziende virtuose sottraendole alle grinfie della burocrazia, ecco arrivare il via libera affinché Lufthansa acquisti il 41% delle quote dell’ex Alitalia, quel carrozzone statale che ha ingoiato miliardi di euro dei contribuenti nel corso dei decenni. Un passo decisivo per sconfiggere quanti idolatrano lo “Stato imprenditore” a perdere!! Per la verità ci sarebbe anche il “piano Cottarelli” da tirare fuori dai polverosi cassetti di Palazzo Chigi. Un piano che prevede la chiusura di oltre 2.500 aziende statali decotte ed in deficit. Ma, come si dice? Un passo alla volta: chi si inoltre per una strada prima o poi arriva…
*già parlamentare