GENOVA PER LORO

Toti ko al Riesame: “È pericoloso e non può fare l’amministratore”

L’ORDINANZA DEI GIUDICI – Il Tribunale conferma i domiciliari: “Astuto e spregiudicato, ha agito come se guidasse una società privata”

12 LUGLIO 2024

La sua difesa davanti ai pm viene paragonata a quella di un “ladro”, “che confessa di essersi impossessato di qualcosa di altrui ma pretende che non si tratti di un furto”. Il suo modo di governare, più che alla “figura ideale di pubblico amministratore che ha voluto delineare per sé nella sua memoria”, lo rende simile a “un amministratore di una società privata che concordi con taluni azionisti ‘di riferimento’ le linee strategiche della propria azione gestionale”, che si è mosso con “metodi callidi” e “spregiudicatezza”. Quanto all’“impegno” a non ripetere le condotte per cui è indagato, non avendole riconosciute come reati, esso appare “una sterile presa d’atto della fondatezza delle accuse”.

È un’ordinanza durissima quella con cui il collegio del Tribunale del Riesame di Genova, presieduto da Massimo Cusatti, ha respinto ieri il ricorso presentato da Giovanni Toti per chiedere la revoca degli arresti domiciliari. Un provvedimento di 33 pagine che, oltre a deludere la speranza del governatore di riacquisire la libertà in tempi brevi, sembra riconoscere in alcuni passaggi anche la solidità delle prove raccolte dalla Procura. Per i giudici, interpellati in appello dopo un primo rigetto del gip Paola Faggioni, l’esigenza cautelare non dipende dal rischio di inquinamento probatorio, ma dalla reiterazione del reato. Un problema che non dipende dall’attività politica di Toti, ma dalla sua funzione “tecnico-amministrativa”: “È quest’ultima l’area in cui inerisce la persistente pericolosità di Toti – si legge nell’ordinanza – al quale, non a caso, viene contestato di aver scambiato utilità economiche con l’adozione di specifici provvedimenti amministrativi e non certo di aver adottato scelte ‘politiche’ nella sua veste di presidente della Regione”.

Un settore, quello tecnico-amministrativo, “nel cui alveo persiste la concreta probabilità che l’indagato reiteri condotte di analogo disvalore, confidando nel malinteso senso di ‘tutela del bene pubblico’ cui ha ammesso di essersi ispirato all’epoca dei fatti nei rapporti intrattenuti con Spinelli e Moncada (Esselunga, ndr) e che, sulla scorta di un quadro gravemente indiziario nemmeno formalmente contestato, a oggi risultano correttamente qualificati come corruzione”.

Respinto anche uno dei principali assunti difensivi: e cioè che Toti, con il suo interrogatorio, avesse chiarito tutto: “Non ha ammesso nulla di rilevante”, secondo i giudici, in quello che viene definito un “lungo verbale costellato di ‘non ricordo’”. E ancora: “C’era ben poco da ammettere, di fronte a captazioni che restituiscono il quadro di un amministratore di rango apicale che, nel sollecitare costantemente finanziamenti per il proprio comitato elettorale, conversa amabilmente con gli stessi ‘finanziatori’ di pratiche amministrative di loro interesse, per le quali si impegna a ‘intervenire’ presso le sedi competenti”.

Il Riesame demolisce, infine, anche due capisaldi (usati soprattutto nei talk-show) delle tesi difensive: i finanziamenti erano “regolarmente registrati” e Toti non si sarebbe “messo in tasca un euro”. “Che pubblico ufficiale e amministrato non possano scambiarsi reciproche utilità – scrivono ancora i giudici – è un postulato che sembra fondarsi sul diritto naturale, ancor prima che su quello positivo: se è pacifico che sollecitare finanziamenti a un movimento politico integri un comportamento del tutto lecito, è di palmare evidenza che concordarne l’erogazione in cambio di ‘favori’ direttamente incidenti sulla posizione del finanziatore (…) integra una forma di corruzione in quanto trasforma la lecita contribuzione allo svolgimento di un’attività politica, non a caso configurata come “liberale” e dunque necessariamente non vincolata nei fini, nel “prezzo” per l’esercizio di poteri e funzioni del pubblico ufficiale o per il compimento da parte di quest’ultimo di atti contrari ai doveri d’ufficio (…) un conto è “appoggiare” la strategia politica di un movimento (…) tutt’altro è “pagare” sotto forma di finanziamenti, pur formalmente leciti, i concretissimi favori materialmente concordati con il pubblico ufficiale destinatario delle erogazioni, quand’anche non distratte per il proprio tornaconto personale, ma utilizzate a sostegno del medesimo politico”. “Non siamo d’accordo – commenta Stefano Savi, legale di Toti – e faremo ricorso”.

NOTA: Il testo è RIPRESO  da “Il Fatto Quotidiano” – Il titolo del nostro direttore