L’intoppo (di Stelio W. Venceslai)

 

 

 

Dopo il disastroso dibattito televisivo tra Biden e Trump era chiaro che Trump sarebbe finito alla Presidenza e Biden nello stanzino della roba vecchia. E già i servi dell’una o dell’altra parte si accingevano o a cantar vittoria o a cambiar bandiera.

Un ravvedimento operoso di Biden, ostinato come tutte le persone anziane ma con un briciolo di ragionevolezza, non so quanto imposta, ha rimesso le parti in gioco, rimescolando le carte. La decisione di ritirare la propria candidatura, indicando come sostituto la sua Vice Presidente, Kamala Devi Harris, riapre la corsa elettorale e ridà fiato al partito democratico.

Kamala Harris ha molte carte da giocare rispetto a Trump: è giovane, è donna, è di colore (madre di origine indiana, padre di origine giamaicana), è esperta di politica come Vice presidente di Biden, s’intende di leggi (è un’ex procuratrice generale della California) e, infine, è di gradevole aspetto. Messa a confronto con Trump, anziano, tronfio e discutibile, potrebbe essere una carta vincente.

Al momento Kamala Harris ha la simpatia della maggioranza dei delegati democratici. Non è ancora la candidata designata dal partito democratico ma quasi certamente lo sarà il 19 agosto, alla relativa Convention del partito. Tra l’altro, può utilizzare i fondi che gli sponsor avevano destinato a Biden, il che non guasta. Inoltre, sta già ricevendo altre sostanziose sovvenzioni personali.

Questa sua possibile candidatura fa paura a Trump, al punto da rimodellare la strategia elettorale che puntava sulla progressiva decozione intellettuale di Biden.

Adesso, il decotto è lui, Trump. Lottare contro un candidato femmina può essere un problema. Tutte le femministe americane tendenzialmente sono per lei. Non c’è mai stato, nella storia degli Stati Uniti un Presidente donna. Ciò può esercitare una forza d’attrazione importante.

Anche lei viene dal basso, come il candidato vice presidente di Trump, Vance. Ha un curriculum di tutto rispetto e, soprattutto, dopo quattro anni di vicepresidenza con Biden, ha le mani in pasta con il governo. Per la verità, non ha brillato troppo come numero due, ma l’occasione che le si presenta è tale che dovrà tirare fuori tutte le sue qualità. Insomma, per Trump e suoi sostenitori, vicini e lontani, è un grosso intoppo sul cammino verso la presidenza.

In verità, se la Kamela Devi Harris sarà la candidata dei democratici, la gara sarà indubbiamente appassionante. Fin da ora i sondaggi le assegnano un punteggio superiore a quello di Trump, una tendenza in aumento.

Il silenzio delle varie Cancellerie è impressionante.

Per quanto contestato sia il potere degli Stati Uniti nel mondo, ciò che accadrà a Washington si rifletterà su tutto il pianeta, ma nessuno ha idea, se mai dovesse prevalere Camela Harris, di cosa farà sul piano internazionale.

Di Trump sappiamo tutto. Ha detto che in due giorni fa la pace in Ucraina, che con Putin non ci sono problemi, che Kim è un brav’uomo, che l’Europa non esiste (pagassero prima e poi se ne parla) ed altre consimili piacevolezze. Lui è un rude uomo della frontiera che vuole barricata per bloccare gli emigranti, è contrario all’aborto ed è populista perché immensamente ricco. Lui è la salvezza dell’America, benedetto da Dio.

Non è fortuna, ma la protezione di Dio. La sua mano ha salvato Trump quella sera. È stata la mano di Dio (come per Maradona!)», è il commento del Rev. Nathaniel Thomas, delegato della Convenzione Nazionale Repubblicana e pastore del distretto di Washington, DC alla Convention di Milwaukee (riportato nell’articolo del New York Times di Michael C. Bender. Ma non basta: a Las Vegas, a gennaio, il raduno proTrump si è aperto con una preghiera di Jesus Marquez, un anziano di una chiesa locale, che ha citato le Scritture per dichiarare che Dio voleva che Trump tornasse alla Casa Bianca. E in South Carolina, a febbraio, Greg Rodermond, pastore della Crossroads Community Church, ha pregato Dio di intervenire contro gli oppositori politici di Trump, sostenendo che stavano “cercando di rubare, uccidere e distruggere la nostra America…Dio, crediamo che tu abbia scelto Donald Trump come strumento nelle tue mani per evitare che ciò succeda”.

Kamala Harris non è tutto questo. Probabilmente non ha l’aiuto di Dio. Diciamolo pure: è tutta da scoprire. Nel 2016 ha battuto nettamente i suoi concorrenti alle elezioni ed è stata la prima afro-asioamericana ad essere eletta al Senato. Ha un marito di religione ebraica ed è stata un giudice severo. Di politica internazionale ne sa quanto Trump, poco o nulla. Se dovesse vincere, che farà con l’Europa? E con Israele?

È immaginabile che, almeno nei primi tempi, si adeguerà alla linea tenuta dall’amministrazione Biden.

Indubbiamente, ci sarà una svolta nei rapporti con Russia, Cina e India. La difesa di Taiwan resterà un punto fermo della politica americana nel Pacifico.

Con l’Europa avrà a che fare con la von der Leyen. Le due donne, probabilmente, si capiranno meglio che con Trump.

Con Israele i rapporti sono profondamente deteriorati per l’ostinazione del leader israeliano, solo contro tutti. La politica di Netanyahu, indirettamente, mira alla distruzione più di Israele che di Hamas. Forse si fermerà quando tutti gli ostaggi saranno morti, invece che liberati.

Queste valutazioni sono indubbiamente premature. Tuttavia, si ha la sensazione che spiri un’aria nuova a Washington. Queste elezioni presidenziali saranno decisive per l’America e non solo. Speriamo bene.

 

Roma, 24/07/2024