*Carceri italiane, una vergogna nazionale* di Vincenzo D’Anna*

Ricordo di aver letto che Francoise Marie Aruet, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Voltaire, filosofo e scrittore francese del ‘700 e tra i principali protagonisti del secolo dei Lumi, ebbe a scrivere: “se volete giudicare la civiltà di una nazione, visitate i tribunali e le sue carceri”. Insomma il maestro dell’illuminismo aveva colto nel segno per quanto riguarda i diritti civili che vanno garantiti ai singoli individui, proteggendoli dall’assolutismo del monarca e dai privilegi della nobiltà. Insomma: un libertario a tutto tondo che insegnò a quanti vennero dopo di lui, le basi sulle quali deve fondarsi lo Stato democratico, ossia quello in cui i diritti umani sono sacri ed inviolabili ed, in quanto tali, indisponibili al potere costituito. E’ questo, d’altronde, il discrimine tra la tirannia e la democrazia. Quello sulle carceri e sui tribunali è un pensiero alato del filosofo transalpino oltre che presago dei tempi che sarebbero venuti con le atrocità dei lager nazisti, dei campi di prigionia e di rieducazione (gulag) che dittatori e despoti si sarebbero inventati anche nel XX secolo. Insomma fin dall’adozione, nel 1679, dell’Habeas Corpus Act, ordinanza del diritto inglese con la quale si stabiliva l’inviolabilità del corpo della persona dietro le sbarre e quindi, di fatto, l’abolizione della tortura per estorcerne una confessione, i diritti si misurano dal grado di civiltà che un determinato Paese utilizza nei confronti di coloro che patiscono la detenzione. Una lezione che nella cosiddetta “culla del diritto”, ossia l’Italia, ancora stenta a tramutarsi in qualcosa di realmente concreto. Peraltro da decenni all’ombra dello Stivale si è scatenato un vero e proprio scontro tra magistratura e politica, con la subordinazione di quest’ultima alle toghe anche in ragione del fatto che il potere legislativo si è sciaguratamente privato delle proprie prerogative costituzionali (leggi: immunità parlamentare). Un errore compiuto per demagogia nel corso di Tangentopoli allorquando la pressione dell’opinione pubblica, aizzata dai partiti di opposizione (sia di destra che di sinistra), pretese che i parlamentari (ma anche gli amministratori della cosa pubblica) si presentassero privi dello scudo davanti ai pubblici inquisitori. Un errore clamoroso perché, in quel modo e da quel momento in poi, anche un semplice indagato si ritrovò in pasto ai forcaioli ed ai manettari di professione, processato sui giornali e quindi, in buona sostanza, infangato ed emarginato dall’attività politica, molto prima delle sentenze nei tre gradi di giudizio e magari, come spesso accadde, pienamente assolto!! Tuttavia delle condizioni disumane in cui versavano i carcerati nessuno parlò mai. Un paradosso in una nazione in cui oltre ventimila cittadini scontano la galera preventiva e più della metà verrà assolta nei successivi procedimenti giudiziari. A parte questa indegna e consolidata prassi, il problema vero rimane quello delle condizioni sub umane nelle quali le persone costrette in prigione vivono in attesa di essere giudicate o di scontare la pena. Dall’inizio dell’anno oltre sessanta detenuti si sono suicidati e chissà quanti altri ancora, dolenti e derelitti, faranno altrettanto in futuro!! Nei giorni scorsi un giovane di trent’anni si è tolto la vita a Regina Coeli nel famigerato VII braccio ove il sovraffollamento raggiunge il centottanta percento!! Da parlamentare ho visitato molte carceri con gli amici radicali. Ho visto obbrobri indicibili, decine di persone stipate in letti a castello alzarsi a turno per poter camminare nell’angusto spazio disponibile. Quel poco di “ambiente” di cui dispongono serve anche da cucina perché, per abitudine, i carcerati non mangiano il vitto fornito dal carcere. Da uno sgabello avvolto in una coperta e da un fuoco da campeggio, ricavano piatti squisiti e finanche dolci. Con un gruppo di colleghi fornimmo le risorse per dotare il carcere di Secondigliano di una rete perché si potessero ricevere i programmi sportivi, ma si trattò di una goccia nel mare. Il personale scarseggiava in rapporto alla popolazione carceraria, le infermerie erano scarsamente dotate di attrezzature (ecografi, Tac, laboratori di analisi) e personale (infermieri e di medici), ancorché, essendo stata smantellata la sanità carceraria la competenza fosse, nel frattempo, passata alle aziende sanitarie locali. Così per i corsi scolastici e le attività lavorative. Scarsi e poco attivi anche i giudici di sorveglianza, magistrati che saltuariamente si recano nelle case circondariali per interessarsi (e decretare) del fine pena e delle condizioni generali. Insomma non si capisce come poter migliorare le cose senza nuove carceri e tagliando del 30% gli stanziamenti!! Un detenuto costa 138 euro al giorno ma il 90% lo si spende per il personale: trenta miliardi in dieci anni!! La metà dei debiti fatti dalla sanità pubblica nel medesimo periodo e dalle tante, troppe, inutili aziende decotte partecipate dallo Stato.

*già parlamentare