Il vademecum del governo ai detenuti: “Con il dl Carceri sconti di pena automatici”, ma non è vero. “Messaggio fuorviante e pericoloso”
Per evitare nuove rivolte, il ministero della Giustizia fa credere ai detenuti agonizzanti che per ottenere i “bonus” per la buona condotta non sia più necessaria la valutazione dei giudici di Sorveglianza. Una truffa lessicale contenuta in un vademecum del Dap che fa infuriare i sindacati della Penitenziaria, ma anche i magistrati e i garanti
Le carceri scoppiano e il decreto del governo in materia penitenziaria, appena convertito in legge, non fa nulla di concreto per attenuare il sovraffollamento. Il Guardasigilli Carlo Nordio lo sa bene, tanto da affrettarsi ad annunciare ulteriori interventi (possibilmente in grado di evitare la custodia cautelare ai colletti bianchi) mentre sostiene che “in due o tre mesi” il provvedimento farà vedere i suoi effetti (video). Nell’attesa, però, il suo ministero ha trovato lo stratagemma per evitare nuove rivolte come quella dei giorni scorsi a Torino: far credere ai detenuti agonizzanti che grazie alla destra potranno ottenere in automatico gli agognati sconti di pena per “buona condotta“, senza più dover passare per la valutazione dei giudici di Sorveglianza. Una truffa lessicale – denunciata dai magistrati, dal Garante dei detenuti e dai sindacati della Polizia penitenziaria – contenuta in un vademecum sul decreto Carceri firmato dalla vicecapo del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) Lina Di Domenico, inviato il 12 agosto ai direttori degli istituti e ai provveditori regionali con la richiesta di darne la “massima diffusione, rendendolo fruibile con distribuzione diretta ai detenuti e internati e con affissione nelle sale comuni”.
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Cosa cambia (davvero) col decreto – Il documento esordisce, con toni propagandistici, esaltando le “diverse novità che migliorano la condizione detentiva” introdotte dalla nuova legge. Al primo punto si cita l’aumento da quattro a sei delle telefonate concesse ogni mese, omettendo però che non varrà per tutti i detenuti (per i condannati per una serie di gravi reati, compreso il traffico di droga, il limite resta a due). Ma è ai punti 3 e 4 che si parla del “succo”, il beneficio più desiderato dai carcerati: la liberazione anticipata, cioè il “bonus” di 45 giorni ogni sei mesi di pena espiata, concesso a chi “partecipa all’opera di rieducazione”. Il governo non ha voluto aumentare i giorni di sconto (come chiede in una proposta di legge il deputato renziano Roberto Giachetti) ma si è limitato a modificare l’iter procedurale: i detenuti non dovranno più fare istanza ogni semestre per vedersi applicare il beneficio, ma sarà il giudice a riconoscerlo “tutto in una volta“, dopo aver valutato i presupposti, quando il cumulo dei “bonus” diventa rilevante per il fine pena o per far scendere la pena residua consentendo l’accesso a misure alternative (semilibertà, affidamento in prova, domiciliari).
La narrazione del governo – Il problema è che questo meccanismo, nel vademecum del governo, viene descritto in modo piuttosto fuorviante. “La pena verrà ridotta di 45 giorni ogni sei mesi, automaticamente senza necessità di fare alcuna istanza al magistrato di Sorveglianza, se il detenuto parteciperà alle attività di rieducazione (studio, lavoro, ecc.)”, si legge al punto 3. E ancora al punto 4: “Ogni volta che il condannato farà un’istanza per le misure alternative alla detenzione, automaticamente il magistrato di Sorveglianza applicherà la riduzione per la liberazione anticipata”. L’avverbio “automaticamente”, ripetuto due volte, ha un sottotesto chiaro: far credere a chi sconta la pena che i giudici di Sorveglianza non abbiano più voce in capitolo, e quindi siano “obbligati” – come dei notai – a concedere gli sconti a chi ha partecipato alle attività rieducative in carcere. In realtà non è affatto così: è sempre il magistrato a dover valutare, sulla base delle relazioni del personale penitenziario, se il detenuto è meritevole della liberazione anticipata. E di certo non può bastare aver studiato e lavorato, se – ad esempio – ci si è macchiati nel corso dello stesso periodo di episodi di violenza. A dirlo con chiarezza d’altra parte è lo stesso testo del decreto, in cui si legge che il giudice “accerta la sussistenza dei presupposti per la concessione della liberazione anticipata in relazione ad ogni semestre precedente”.
“False aspettative, rischio effetto destabilizzante” – La prima denuncia delle espressioni “scivolose” usate dal governo era arrivata dal sindacato della polizia penitenziaria Osapp: il vademecum, ha dichiarato il segretario Leo Beneduci, “contiene un macroscopico errore” che un dipartimento del ministero della Giustizia “non può permettersi”. Nel documento, sottolinea Beneduci, “si afferma erroneamente che ogni volta che un detenuto presenta un’istanza ha diritto ai giorni di liberazione anticipata. Questa è una dichiarazione non solo falsa, ma anche pericolosamente fuorviante“. Critico anche il portavoce dei Garanti dei detenuti Samuele Ciambriello, che denuncia come la lettura del vademecum possa “ingenerare aspettative eccessive da parte della popolazione carceraria” e si dice “sorpreso” dal “tono enfatico” usato nel testo. E pure dalla magistratura si levano voci preoccupate: “Trovo che questa comunicazione sia pericolosamente fuorviante, perché crea aspettative false nella popolazione detenuta già sottoposta a sofferenze gratuite per le generali condizioni di carcerazione e finisce per addossare alla magistratura di Sorveglianza responsabilità che la legge non le permette di assumere”, dice al fatto.it il consigliere togato del Csm Marcello Basilico, del gruppo progressista di Area. Un approccio, conclude, che “rischia di rivelarsi destabilizzante per una situazione carceraria già a rischio”. Quale potrà essere, infatti, la reazione di un detenuto convinto che un giudice non gli abbia concesso un beneficio che gli spettava per legge?
“Riconoscimento automatico? No, più complesso” – Raggiunto dal nostro giornale, Stefano Celli, pm a Rimini e membro del Comitato direttivo dell’Associazione nazionale magistrati (nell’ambito del quale presiede la Commissione Diritto penitenziario) rimette in fila i concetti: “Non è vero, semplicemente, che il riconoscimento è automatico. L’unico automatismo scatta quando il detenuto chiede un’altra misura alternativa: in quel contesto vengono anche valutati e, se del caso riconosciuti, gli sconti di pena, con gli stessi criteri di prima“, spiega. “Questo in realtà peggiora il meccanismo: più è lunga la pena, più saranno i semestri da valutare e le informazioni, i pareri e quindi il giudizio del magistrato, che deve riguardare comunque il singolo semestre, sarà più complicato. Il pericolo è stato segnalato durante le audizioni in Commissione Giustizia, ma inutilmente”, ricorda. “Resta poi il giudizio di fondo: non c’è nessun miglioramento delle condizioni disumane in cui la massima parte dei detenuti sconta la pena. I detenuti nel frattempo si suicidano e quelli che non lo fanno subiscono un carcere disumano, con il compiacimento ormai neppure troppo nascosto di chi ritiene che la detenzione comporti la perdita di tutti i diritti, non solo della libertà, di cui si accontentava il fascistissimo codice Rocco”.