A Marcianise nel 1938, Maria Conte uccise la nonna su istigazione del padre Giuseppe. Condannata a 18 anni, si suicidò lanciandosi nella tromba delle scale nel carcere di Pozzuoli di Ferdinando Terlizzi

 

Maria Conte, 18 anni, su istigazione del padre Giuseppe, di anni 65, uccise la nonna. L’orrendo delitto accadde nel giugno del 1938, in un vicolo di Marcianise.  Il motivo era da ricercarsi nel rifiuto della donna di far sistemare un covone di paglia nel deposito del cortile. Basta la narrazione di questo delitto per comunicare il brivido più raccapricciante nell’animo di chi legge! La Corte d’Assise di Santa Maria Capua Vetere condannò il matricida all’ergastolo e a 18 anni di reclusione la figlia Maria, che poco dopo la sentenza si uccise gettandosi dalle scale della prigione. Ma, in seguito all’accoglimento del ricorso per Cassazione, il processo fu rinviato alla 1° Sezione della Corte d’Assise di Napoli, (Presidente Gennaro Cedrangolo; Procuratore Generale, Vincenzo Prisco; difensori Alfredo de Marsico e Vittorio Verzillo) che concesse al matricida il vizio parziale di mente e lo condannò a 21 anni di reclusione.  E infatti il grande Alfredo De Marsico riuscì a trasformare un delitto in una malattia: l’epilessia.  Una madre ha vissuto per anni irritando con la sua stessa irascibilità il figlio; questo giunge a cinquant’anni, saturo della convinzione di esserne odiato; e un giorno, avuto dalla madre il rifiuto a far collocare sotto un arco del suo cortile un mucchio di paglia, lascia d’improvviso il capezzale di una figlia che si dibatte fra i pericoli della polmonite, scende nel cortile, vibra due colpi di una pesante affilata mannaia nella nuca della vecchia, chiama la figlia Maria, le consegna l’arma, le grida il truce comando: Finisci di ucciderla tu, assiste all’eccidio che la diciottenne consuma con altri tre colpi che maciullano il cranio dell’ava; cade in ginocchio sul cadavere; di lì ad alcuni secondi si rialza, e consigliato da qualche astante, fugge con la sanguinaria alleata, mentre suo padre, che alle prime grida si è affacciato ed ha visto, lo insegue con la parola che maledice ed accusa: Assassino. La madre scomparsa nel sangue, il figlio nella follia, Maria nel suicidio. Travolto tutto: la radice, il tronco, il ramo, il passato, il presente, il domani; tutto divelto, di colpo ed insieme, chè quattro anni, nel tempo infinito non contano. Non un delitto che gli uomini possano presumere di punire: un orrore che la natura rivendica a sé il diritto di superare, disertando dall’ambito dove tanta vita fu dissacrata e consunta, avviandola a svolgere per altri alvei il suo corso.  E nel quadro della natura che urla squarcia e risana, anche la più alta delle voco umane, quella dei giudici, non può essere che mite. E mite fu. L’ergastolo venne cancellato. Alfredo de Marsico con la sua arringa salvò l’imputato dalla morte bianca e la pena fu ridotta a 21 anni.

 

 

ARTICOLO PUBBLICATO DOMENICA 18 AGOSTO SULLE TESTATE 

 

(*) Ferdinando Terlizzi –  DELITTI IN BIANCO & NERO A CASERTA – Processi, enigmi, retroscena, orrori e verità/ Un viaggio nella provincia attraverso la morte, la passione, la vendetta e l’odio.  Edizioni Italia – 2017