Nel mese di aprile del 1922, Luigi Carbone, medico di Lapìo (Avellino) uccise la moglie e la sorella del presunto seduttore. Fu condannato a 30 mesi di reclusione perché gli fu riconosciuto il vizio totale di mente per l’uxoricidio, quello parziale per l’omicidio trasversale, con le attenuanti – (*)  di Ferdinando Terlizzi

 

 

All’alba del primo aprile 1922 in Lapio, (Avellino) il dott. Luigi Carbone sgoz­zava nel sonno la giovane Bellinda Campanile, da lui sposata otto giorni prima, punendola così del fallo di essere andata non pura alle nozze, e di averlo in tal modo ingannato e colpito nell’onore e nella dignità. Com­piuto il delitto, il Carbone si lavò le mani rosse di sangue, si vestì ordinatamente , ed uscì di casa dopo aver detto alla madre di lasciar dormire la Bellinda finchè egli non fosse tornato dalla stazione ferro­viaria, ove doveva recarsi.

Si avviò invece al caffè gestito dai coniugi Fusco, e dalla soglia esplose cinque colpi di rivoltella contro la giovanetta Elena Fusco, ferendola a matte. Perchè la uccise? Nel primo interrogatorio il Carbone dichiarò di aver voluto colpire nell’affetto di fratello Oreste Fusco, ufficiale di fanteria, al quale la Bellinda aveva attribuito il suo peccato.

In un se­condo interrogatorio disse invece che Elena Fusco aveva contribuito a favorire la tresca del fratello. La singolare complessità del processo emerge dagl’interrogatori dell’imputato: documenti di uno spirito labirintico, tutto tenebre e ba­gliori. Perchè, sebbene i giudici abbiano già espresso il loro pensiero, il problema Carbone resta sempre aperto alle speculazioni dello psicologo e dello psichiatra.

Un’aspra lotta, per udienze numerose, roventi, condusse ad un verdetto con cui i giurati esclusero la premeditazione, affermarono il vizio totale di mente per l’uxoricidio, quello parziale per l’omicidio di Elena Fusco, e concessero le attenuanti.

Chi ricorda quelle giornate non può astenersi dal considerare con tristezza che al verdetto, vittoria della giustizia, non somigliò del tutto la sentenza che ne ridusse la portata appena ad un simbolo, condannando il Carbone a trenta mesi di reclusione.

Il dibattimento durò Otto giorno, dal 12 al 18 giugno 1923. La famiglia di Bellinda Campanile non si costituì parte civile. I genitori di Elena Fusco furono assistiti dagli avv. Rodolfo de Marsico, Guido Cocchia, Mattia Limoncelli ed Alfredo de Marsico.

De Marsico a chiusura della sua arringa: “Sul vostro verdetto, o giurati, si spiega l’attenzione dell’Italia. Per l’onore della nostra Irpinia, per il vostro onore, serrate le file!”

Difensori di Luigi Carbone, gli avv. Francesco Fragomele, Ignazio Scimonelli, on. Alfonso Rubilli e Giovanni Porzio. E Porzio, che definì il delitto mezzo santo e mezzo ingiusto : “Ed invece di quest’ironica menzogna, scritta sulle pareti di queste aule, che ci dice come la legge sia uguale per tutti, io vorrei che su questi muri si imprimessero le grandi parole di Carlo Richet: “se un Dio sedesse nei Tribunali, egli sarebbe d’una inalterabile indulgenza per le colpe del dolore umano”. Il senso di queste parole illumini le vostre menti, ed ispiri il vostro verdetto”.  

 

OGNI DOMENICA IN ESCLUSIVA SU 

 

(*) – Ferdinando Terlizzi – “ Il delitto d’onore” – Giuseppe Vozza Editore – 2024 – Prefazione di Raffaele Ceniccola e postfazione di Innocenzo Orlando