*Spezzare la tenaglia anti-sionista* di Vincenzo D’Anna*

Per “sionismo” si intende il movimento politico religioso, creato alla fine dell’800, che si prefigge di combattere la persecuzione anti-ebraica ed assicurare, agli ebrei di tutto il mondo, la possibilità di vivere in uno Stato legale ove siano loro garantite sicurezza e benessere. A partire dal 1946, con la fine del protettorato britannico, quello Stato fu individuato, dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, in quella parte di Palestina affacciata sul Mediterraneo, che confina ad est con il Libano ed a ovest con il deserto del Sinai egiziano. Fu lì che gli israeliti si ritrovarono e con loro molti dei sopravvissuti alla Shoah, dando così vita alla nazione della “Stella di David”: correva l’anno 1948. In quel tempo, quelli che oggi si definiscono palestinesi, risiedevano, in larga parte, nell’attuale territorio della Giordania ove regnava la dinastia degli Hussein. Quell’etnia, sobillata dai gruppi marxisti-leninisti, diede ben presto vita a veri e propri gruppi terroristici nel tentativo di ribaltare la monarchia. Correva l’anno 1970 e quello che è passato alla storia come il “Settembre nero” coincise con un vero e proprio scontro armato che durò fino al luglio 1971. Il legittimo governo giordano fu costretto a reagire contro quel tentativo di golpe, sconfiggendo i gruppi para militari che si erano organizzati per rovesciarlo. Risultato: un milione di palestinesi fu espulso da quel regno. Di lì a poco, questa massa di diseredati e di disperati fu utilizzata strumentalmente dai paesi arabi “contrari” a Tel Aviv, come un’arma impropria contro gli ebrei e gli stati occidentali. Nel contempo gli stessi paesi arabi avevano già ingaggiato ben tre guerre per eliminare Israele dalla faccia della terra. La prima risale al 1948 (per gli ebrei si tratta della “Guerra d’indipendenza”, per gli arabi è “l’al-Nakba”, vale a dire “la catastrofe”), quando truppe provenienti da Egitto, Transgiordania, Siria, Libano e Iraq, appoggiate da corpi di spedizione minori provenienti da altri Paesi arabi, penetrarono nella Palestina cisgiordana subito dopo la fine del protettorato britannico. La seconda fu invece combattuta nel 1956 a causa della crisi derivata dalla nazionalizzazione del canale di Suez voluta da Gamal Al Nasser, dittatore socialista che, con un colpo di stato, aveva defenestrato Re Faruk in Egitto impossessandosi del potere. La terza, quella famosa dei “sei giorni”, è la celebre blitzgrieg del 1967. In tutti e tre i casi ad avere la meglio fu l’esercito con la stella di Davide. Seguì poi anche un successivo conflitto, detto dello Yom Kippur (1973) anch’esso terminato con la sconfitta degli aggressori. Insomma, fin dalla sua nascita lo Stato d’Israele ha subìto diversi attacchi dai paesi confinanti per poi incassarne altri nel tempo: un autentico stillicidio di raid terroristici operati da vari gruppi di matrice islamica e marxista-leninista. Questo almeno si legge nei libri di Storia: si tratta di dati oggettivi che nessun politico potrà mai smentire. E è da qui che occorre cominciare qualunque tipo di ragionamento. In sintesi, esiste un paese, democratico e civile, che si chiama Israele, che gli arabi integralisti vorrebbero cancellare. Tutto quello che ci narra la cronaca, che ci ispira il desiderio di pace non può prescindere da questo stato di cose. Esiste certamente la necessità di dare uno Stato ai palestinesi, esiste un eccesso di risposta a Gaza da parte del governo di Tel Aviv, dominato dai rappresentanti ultra ortodossi. Ci sono, ahinoi, migliaia di vittime innocenti estranee a questa tragica vicenda!! Tuttavia non si capisce per quale motivo quello che si era realizzato con gli accordi stipulati a Camp David, nel 1993, dall’allora primo ministro israeliano Rabin e dal palestinese Arafat, capo dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP), sia stato contraddetto. Insomma per quale motivo lo Stato palestinese si sia trasformato in un covo di terroristi. Per dirla tutta, perché il popolo ha voluto Hamas ai vertici del proprio governo. Perché quel popolo ha collaborato e sostenuto concretamente le tesi dei gruppi paramilitari che hanno compiuto la strage dello scorso 7 ottobre. Perché si siano votati alla violenza nel mentre il loro paese cresceva anche grazie agli aiuti di molti altre nazioni. Così come non si spiega come un popolo ed uno Stato, come quello ebraico, possa resistere in eterno agli attacchi di chi lo vuole morto. Tra quanti ne auspicano la distruzione ci sono paesi teocratici come l’Iran e quelli che si reggono sul fondamentalismo islamico, (Siria e Yemen). Ed allora se quel paese accerchiato e minacciato da sempre opera per prevenire un ulteriore ed imminente attacco non può essere ritenuto responsabile di un’escalation. Altro non è, il suo, che un deterrente: una legittima difesa. I governi ed i giovani europei devono comprendere che non è la resa d’Israele il modo per far vincere la pace, né la menzogna di illustrare la nazione ebraica come uno covo di persone guerrafondaie. Peggio ancora se per gli ebrei il destino ipotizzato è lo sterminio, così come è purtroppo scritto nello stesso statuto dello Stato palestinese. La Storia è il luogo della necessità e non la si indirizza ove si vuole oppure dove più ci fa piacere che sbocchi. Seimila missili lanciati in un solo giorno non rappresentano qualcosa di estemporaneo, elaborato da gruppi raccogliticci di miliziani e terroristi, bensì l’espressione di piani di guerra premeditati e finanziati su larga scala. Ed allora credo che si debba cominciare a fare i conti, seriamente, con l’Iran che in quella zona è la realtà che finanzia e fomenta la lotta armata per cieco fideismo religioso, per idiosincrasia nei confronti dello stile di vita occidentale e la democrazia politica. Rompere il lato più forte della tenaglia che assilla Israele. Solo questo conta. Il resto sono inutili pannicelli caldi.

*già parlamentare