Affinamento

 Le parole del vino

af-fi-na-mén-to

Significato L’affinarsi; perfezionamento

Etimologia da affinare, composto parasintetico di fine, con prefisso a-.

  • «Ha passato un lungo periodo di affinamento da cui, sentirai, è uscito trasformato.»

Le parole che insistono su questo campo di significato hanno spesso dei tratti , e delle messe a fuoco piuttosto grosse. Pensiamo al miglioramento, a quanto riesce ad essere insieme  e incardinato su una performance, su un risultato, pensiamo alle secolari, fanfarone ambiguità del progresso, pensiamo alle alte pretese, non di rado dozzinali, del perfezionamento; se ci spingiamo al dirozzamento, evochiamo in modo poco elegante e non sempre opportuno uno stato precedente di rozzezza. Mentre l’evoluzione, pur raffinata, non  alcun indirizzo.

L’affinamento è — nemmeno a dirlo — finissimo. Gemma da una delle metafore  più ardite, pervasive e radicate della nostra mente, che contrappone il fine e il grosso. Da un lato abbiamo la cima, la sottigliezza, la  — dall’altro il non lavorato, lo sgraziato, il volgare (verrebbe da dire il non rifinito e il grossolano ma ci morderemmo la coda: è difficile spiegare questa metafora senza questa metafora). Ma notiamo il prefisso: non è ruvido come il ra- del raffinato e della raffinazione, che senza  ripercorre l’azione in un’opera complessa. È un mero, lieve avvicinamento al fine della finezza. Sentiamo un po’ che effetto fa.

Se dico che mi prendo del tempo per l’affinamento di un’arte, si coglie la direzione di una compiutezza interminata, un intento avanzato e non  — come invece potrebbe essere se evocassi un perfezionamento. L’affinamento di un’opera portato avanti negli anni ci mostra la pazienza con cui viene resa più sottile e penetrante — se fosse un’evoluzione starebbe andando da un’altra parte. Se dico che certe esperienze mi hanno portato a un miglioramento del mio gusto, la frase risulta grezza: come gli altri sensi, anche il gusto può piuttosto godere di un affinamento, che non è maggior potenza del senso, ma percezione più fine e lettura più consapevole.

Già così la parola risulta estremamente interessante, e dà una tonalità che è importante tener presente, nel nostro modo di esprimerci. Se non che è usata anche nel mondo del vino, e anzi si trova spesso sulle  con un significato specifico — e quindi un rilievo enologico ed economico.

Una volta che la fermentazione alcolica che ha trasformato il mosto è conclusa, il vino non è pronto da bere. Al momento è squilibrato, aggressivo, spigoloso: questo vino, come ogni giovane promettente, deve maturare. Quella che più strettamente viene chiamata ‘maturazione’ è il tempo che intercorre fra la vinificazione e l’imbottigliamento: a seconda del vino e di quel che se ne vuol fare può durare pochi mesi o diversi anni, da trascorrere in botti piccole, grandi, o in contenitori inerti. Ma il momento in cui il vino viene imbottigliato arriva, e l’affinamento è il tempo che passa fra l’imbottigliamento e la messa in : il vino continua a trasformarsi, a evolvere, a levigarsi — ed è a questo , segno di cura nella realizzazione del prodotto (può durare mesi ma anche decenni), che l’etichetta si riferisce quando parla di ‘affinamento’. Anzi spesso ragiona proprio di ‘affinamento in bottiglia’ per fugare ogni  (perché in effetti variabilità e incertezze negli usi di questi termini permangono). Il tempo successivo, che pure è rilevante per poter bere un vino al suo meglio, è il famoso invecchiamento.
Ma ecco, ‘affinamento’ è un nome che su quella fase calza, perché è forse la fase più , in cui il lavoro interno sulla finezza è più  — lontano dalle alchimie delle botti e dalle  rapaci delle nostre cantinette.