*Onore e disciplina? Valgano per tutti!!* di Vincenzo D’Anna*
Se in questa benedetta nazione qualcuno ricordasse quel che è scritto nell’articolo 47 della Costituzione forse finalmente vedremmo sorgere l’alba di una nuova etica pubblica. “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge” recita la Magna Carta. Parole che, ahinoi, restano pressoché ignorate dalla maggior parte di coloro che sono chiamati a rappresentare la Repubblica. Da qui la domanda: esiste ancora un vincolo di mandato etico per gli eletti, la consapevolezza che ogni funzione pubblica non possa essere orbata dal decoro, dall’onorabilità intesa come il complesso degli attributi civici e morali che una comunità ci riconosce? Ha ancora una sua complessiva valenza questa modalità dell’agire da parte di quanti servono lo Stato? E’ ancora compatibile questo modo di pensare nell’era della progressiva sostituzione dei tradizionali valori umani, travolti dalle più disparate teorie “emancipanti”? Non è che il politicamente corretto, il lassismo dei costumi, il relativismo morale, la trasfigurazione del genere, la cancellazione della funzione sociale della famiglia, l’abolizione di ogni forma di correttivo per educare i giovani e l’irrefrenabile volontà di ritenere taluni concetti obsoleti se non retrogradi, rischiano di lasciare poco spazio alla speranza? Parliamoci chiaro: in questo bailamme di interrogativi, ad aggravare le cose vi sono la superficialità della comunicazione e l’abuso dei social: due aspetti che hanno conferito a chiunque il “diritto” di potersi ritenere libero da ogni vincolo e misura, ben al riparo dell’anonimato di una tastiera. E tuttavia, questo stato di cose pare sparire, miracolosamente, in determinati frangenti, quando fa capolino la madre di tutti i vizi sociali del terzo millennio, ossia il moralismo a buon mercato. Questo accade non tanto perché c’è la voglia di volersi mostrare al mondo come persone inappuntabili ed integerrime, dotate di educazione civica e morale, quanto per dare sfogo alle proprie frustrazioni denigrando il prossimo, misurando i comportamenti degli altri con l’avara e gretta misura di giudizio che attinge, nello specifico caso, a vecchi e classici luoghi comuni, stereotipi e pregiudizi. Insomma: un’inversione momentanea e repentina della scala dei valori che da nuovi ritornano vecchi, con tanti mister Hyde pronti a trasformarsi in dottor Jekyll. Incalliti innovatori dei costumi sociali trasfigurati d’incanto in cauti e pensosi ultra conservatori. Un comportamento stupefacente ed imprevedibile, da veri trasformisti, con il risultato che gli atei incalliti diventano chierici osservanti, trasformandosi da quei libertini che dicono dì essere in vecchi gentleman inglesi, da predicatori di libertà senza responsabilità a gelosi custodi del vecchio bon ton. Uno stato di cose, questo, che ha finito per travolgere le certezze sociali, l’esacerbare i rapporti interpersonali con pesanti ricadute nei giudizi politici e negli orientamenti di voto, fino a culminare nell’organica delegittimazione della politica operata dalla ditta Grillo & Casaleggio da cui è poi nato il Movimento 5 stelle. In vero prima ancora era capitato nella campagna di denigrazione morale operata contro Silvio Berlusconi con le pruderie sui fatti d’alcova di quest’ultimo, elevati a discrimine negativo per l’etica politica. Oggi con il caso Sangiuliano, sul quale ci siamo già espressi su queste stesse colonne, ecco riprendere fiato il battage scandalistico nel mentre si era taciuto in molti e ben più gravi casi del recente e del lontano passato. Un esempio viene dai trecentomila euro di soldi pubblici beccati da Beppe Grillo come consulente dei gruppi parlamentari del M5S. Ecco perché si rende necessaria una riflessione generale su quali siano, per tutti, senza eccezione alcuna, gli stili deontologici ai quali debbano attenersi i rappresentanti a tutti i livelli dello Stato. Contrariamente a quanto pensano i moralisti in servizio permanente effettivo e quelli più strabici e distratti, la vicenda di gossip sentimentale che ha visto coinvolto il ministro dei Beni Culturali non sta procurando solo disdoro alla Repubblica ed i toni pure qualcosa di ben più esecrabile e di infimo livello, come il ridicolo. Questo codice etico richiamato in Costituzione sulla disciplina e l’onorabilità a cui sono tenuti i rappresentanti dello Stato non può tuttavia essere rispolverato solo per i casi di specie che portano acqua a determinati mulini politici. Quel dettato, per dirla tutta, deve valere per tutti ed in ogni epoca. Sì, anche quando la trasformazione decadente dei costumi sociali appare legittimare certe leggerezze. Così, quando le rivoluzioni semantiche del “politicamente corretto” introducono una nuova morale ed una selva di diritti scaturiti da bisogni soggettivi e status particolari, proposti da segmenti del corpo sociale, diventa doveroso accettarli ed osservarli. Insomma, per dirla chiaramente, la Repubblica andrebbe servita a prescindere dai gusti, dalle tendenze morali dell’epoca e dalla licenziosità dei costumi, perché la disciplina e l’onore non possono essere discrimini morali applicabili ad intermittenza. Stiamo infatti parlando di obblighi diffusi che devono valere non solo per i politici di livello ma anche per chiunque altro si cimenti in funzioni di rappresentanza collettiva e del governo della cosa pubblica. Non ne sono esentati, ad esempio, nemmeno gli impiegati dello Stato o quelli che a vario titolo lo rappresentano. Pretenderlo solo dai ministri è cosa ben più ipocrita e squallida della querelle del povero Sangiuliano. Insomma ad onestà e disciplina occorrerebbe aggiungere un pizzico di serietà.
*già parlamentare