*L’Europa che verrà: la ricetta di Draghi di Vincenzo D’Anna*
Se fossimo nella schiera di coloro che di tutto si dolgono e tutto criticano, pur di aver ragione, potremmo commentare, con un pizzico di sarcasmo, le ultime dichiarazioni di Mario Draghi. L’ex “numero uno” della Banca Centrale Europea e presidente del Consiglio in Italia, ha ricevuto, da Ursula Van Der Leyden, primo ministro della Commissione Europea, l’incarico di redigere una proposta per rilanciare il ruolo del Vecchio Continente. La stampa, di recente, ha anticipato le direttive principali che compongono il lavoro commissionatogli via Bruxelles. Attingendo nel sarcasmo potremmo richiamare la massima seconda la quale si comincia a dare buoni consigli non potendo più dare cattivi esempi. Tuttavia non c’è alcuna intenzione di rimarcare le insufficienze e le contraddizioni alle quali, in passato, è andato incontro sia l’economista che il politico Draghi, quanto valutare il grado di novità e di compatibilità delle sue idee nello scenario europeo. In verità l’annuncio sulle direttive future, ancorché per grandi linee, è di quelli che prefigurano una vera rivoluzione copernicana, sia sotto il profilo della politica economica, sia sotto il piano delle decisioni politiche vere e proprie e dei nuovi rapporti tra gli Stati aderenti. Oltre 170 le proposte operative sul tavolo con le parole chiave “urgenza e concretezza”. Per poterle esercitare, occorrerà cambiare anche le regole decisionali: niente più vincolo di unanimità in seno al Consiglio Europeo dei capi di Stato e di Governo, ma solo una maggioranza numericamente qualificata. Per realizzare tutti gli obiettivi indicati occorrerà uno stanziamento di 800 miliardi di euro, ossia circa il 5 percento del Pil europeo del 2023. Questo per ciascun anno. Volendo fare un paragone con il passato l’impegno finanziario corrisponde al doppio di quello che gli Usa stanziarono, nel primo dopoguerra, per il famoso piano Marshall. Ma è proprio questo parallelo citato da Draghi, come “voce dal sen fuggita”, a far storcere il naso ai più diffidenti. Insomma oggi in Europa occorre incentivare la competizione, aumentare la concorrenza per implementare la ricerca in campo tecnologico, sopperire alla denatalità che ci porterà, nel 2040, ad un deficit di manodopera di 4 milioni di unità. Un buco che dovrà essere colmato con l’uso di tecnologia d’avanguardia nel ciclo produttivo. Ancora, bisogna accentrare i progetti comuni con finanziamenti provenienti da paesi diversi utilizzando, in sinergia, competenze diverse in ogni settore. Anche nel campo militare occorre intervenire realizzando un esercito comune, tecnologicamente avanzato. Insomma, siamo al cospetto di un lungo elenco di progetti ma anche di potenziali ulteriori passi in avanti politici per poter costruire un Europa che si imponga nel suo complesso sia in ambito geo politico che economico per fronteggiare superpotenze come Stati Uniti, Cina e l’altro competitor emergente India. Insomma, sarebbe il caso di ragionare come se l’Europa fosse un tutt’uno e non quel frastagliato e spesso litigioso agglomerato di paesi sovrani. Solo che altrove è il libero mercato a decidere quello che occorre, con il suo corredo di efficienza e di competitività, non le industrie statali e le conventicole politiche. Ma il colpo da maestro enunciato da Draghi risiede nella proposta di un debito comune, il cosiddetto Recovery Found, che fu già utilizzato dalla Comunità europea per fronteggiare la crisi dovuta alla pandemia da Covid e che si sovrappose al progetto PNRR. Quest’ultimo ha immesso nel ciclo di recupero economico italiano oltre 220 miliardi di euro dei quali una parte a fondo perduto ed il resto da restituire a partire dal 2050. Insomma la ricetta Dreghi e’ un grandioso investimento di denaro che creera’ un debito comune per tutti i beneficiari che restituiranno in futuro, con comodo, una parte di quanto incassato. Se vogliamo utilizzare la sintesi del tutto, rendendo comprensibile al lettore la reale natura dell’operazione su vasta scala, dobbiamo dire che si tratta di un massiccio intervento statale col quale incentivare l’economia europea. Alla fine della fiera, enucleati i buoni propositi e la reale opportunità di questa manovra mai concepita di così grandi dimensioni finanziarie, si tratta di stampare più moneta con la Bce e distribuirla agli Stati membri in modalità coordinata e comune, spostando a Bruxelles il debito così prodotto. Stampare moneta senza che questa sia espressione di un aumento del Pil, ossia della ricchezza realmente prodotta, comporta inflazione della moneta, che varrà meno sui mercati, ed incentiva il caro vita e le tasse. Il debito pubblico aumenta ma lo si carica sul bilancio dell’Unione, lo si decentra e lo si mimetizza altrove. La vocazione di Draghi resta la stessa di sempre: keynesiano fino al midollo, egli intende incrementare la spesa pubbica facendo debiti e presumendo di recuperare efficienza e gap economico. Tuttavia così non è mai stato, poiché laddove intraprende lo Stato con denaro preso in prestito non ci saranno mai vera concorrenza e vera efficienza ma solo debiti accollati in futuro ai contribuenti che li dovranno pagare. L’Europa che verrà somiglierà molto all’Italia che, ahinoi, è già venuta: spendere quello che non si ha beneficiando i contemporanei, che votano e protestano, accollandone il costo ai posteri, che non essendo ancora venuti, non votano e non protestano !!
*già parlamentare