*Politica e gossip, ma Boccia non è la Petacci* di Vincenzo D’Anna*
Chissà quanti, tra i giovani studenti, conoscono Claretta Petacci, la donna che amò e seguì Benito Mussolini fino alla morte. Appartenente ad un agiata ed aristocratica famiglia romana, la bella “pasionaria” ebbe, col Duce, una lunga e ricambiata storia d’amore, che negli ultimi anni del Ventennio, divenne addirittura di dominio pubblico a tal punto che Claretta fu rispettata e ritenuta la donna del capo del governo. Alla fine morì con lui, fucilata in circostanze mai del tutto chiarite, dai partigiani comunisti, a Giulino di Mezzegra e successivamente appesa a testa in giù con lo stesso dittatore ai tralicci di un distributore di carburante di piazzale Loreto a Milano dove fu esposta all’oltraggio della folla inferocita. Quello della Petacci fu amore vero, privo di componenti opportunistiche e di convenienza: una comunione sentimentale, insomma, che la condusse a condividere il sacrificio estremo scontando colpe non sue. Erano quelli altri tempi storici, che per quanto nefasti e dissennati per il popolo italiano, videro comunque protagoniste figure di ben altro spessore umano, a cominciare proprio dalla Petacci che pagò con la vita la propria dedizione all’uomo per il quale aveva perso la testa e che, dittatore ed alleato dei Nazisti aveva prima promulgato le leggi razziali contro gli ebrei e poi trascinato l’Italia in una sciagurata guerra le cui disastrose conseguenze pesano, ancora oggi, come retaggio storico. Una tragedia richiamata ogni qualvolta la sinistra italiana la ripropone, quasi sempre strumentalmente, per trarne motivo di vantaggio politico ed elettorale a poco meno di ottant’anni da quei tragici fatti. Una recrudescenza dei cosiddetti “allarmi democratici” è venuta con la presidenza di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi e con il varo del governo di centrodestra che pure, fino a prova contraria, è uscito legittimamente vincitore nelle ultime elezioni. Insomma: il “fascismo che ritorna”. Un argomento ormai abbastanza logoro oltre che anacronistico eppure puntualmente tirato in ballo dagli eredi di “falce e martello” per movimentare un elettorato che ha preferito guardare altrove. In fondo, pur ignorante e quindi insensibile agli allarmi di un incipiente pericolo dittatoriale, gran parte dell’opinione pubblica italiana si forma sui social ove in tanti danno il peggio di sé, coperti dall’anonimato e dalla auto-referenzialità. Sono costoro ad alimentare rancore sociale, maleducazione e sfrontata supponenza pur essendo depositari di sole parziali ed epidermiche conoscenze. In questa cloaca massima ove si riversa un’umanità farlocca quanto impudente, il pettegolezzo, il cosiddetto gossip, diventa merce che si vende bene e che molto interessa al popolo dei maestri della tastiera. Basta poco quindi per trasformare le “fake news” in notizie virali, capaci di alimentare quelle pruderie di bassa lega che costituiscono il substrato per sfogarsi contro la gente nota, soprattutto se appartiene al ceto politico. E’ risaputo che il dileggio della politica e delle sue istituzioni consente a chiunque di sentirsi migliore e più capace di chi ci governa. Questo appaga complessi e frustrazioni conferendo un’aura immacolata ad improvvisati moralisti. Un’ipocrita costumanza esercitata allorquando questo stessi censori non esercitano il mestiere di clienti del sistema politico, per trarne personali benefici. Per dirla tutta: una storia vecchia quella dell’italica furbizia e del doppio peso levantino degli abitanti dello Stivale. Sia come sia resta, come segno di questi tempi, la diffusa vocazione da parte di molti cittadini a determinare personali convincimenti attraverso lo scandalo, frutto della sistematica raccolta di cenci sporchi nella pattumiera della maldicenza. Su questo noto presupposto negli ultimi decenni si è alimentata la politica di casa nostra e bersaglio Silvio Berlusconi, con il complice e segace intervento, laddove possibile, della magistratura sempre pronta ad aprire inchieste veicolate da giornali che di questo campano, come sodali della politica di parte. I sussurri e le calunnie prendono corpo e si elevano ad indagini che conferiscono al fango una consistenza sia morale che giuridica. E’ quanto sta accadendo con il caso della “Mata Hari” pompeiana Maria Rosaria Boccia, che spopola ormai da diversi giorni. Costei, da oscura accompagnatrice di personaggi e volti noti della politica, eclettica tuttofare nelle relazioni sociali a fini di lucro, è diventata, come d’incanto, la pietra di uno scandalo che ha finito col travolgere l’oramai ex Ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, inquisito peraltro per il presunto e risibile danno erariale derivato da qualche viaggio in macchina di Stato e colazioni di lavoro. Il vero sospetto è che, più che defenestrare Sangiuliano, l’intento di fondo di questa contorta e pruriginosa vicenda sia quello di screditare altri pezzi da novanta del governo Meloni. Un agire, quello della Boccia, che appare sempre più etero diretto, con finalità che vanno ben oltre l’episodio. Si ha come l’impressione che nella mani della sinistra e dei moralisti a senso unico la Boccia sia diventata in una sorta di grimaldello capace di delegittimare la premier con i suoi amici e parenti!! Pur di detronizzare la Meloni un’intera massa di giornalisti di parte è arrivata al punto di dipingere la Boccia come una specie di moderna…Claretta Petacci in organica intimità con un intero partito !!Eppure, a ben guardare, così non è assolutamente perché la signora di Pompei non è mai andata oltre l’opportunismo dei piccoli traffici e senza altri sentimenti che il guadagno. Se Arianna Meloni avverti Sangiuliano della inopportunità di quella frequentazione, compi un atto presago, legittimo ed opportuno, che non testimonia alcunché di negativo. Se ne facciano una ragione sia i polemisti che i prezzolati.
*già parlamentare