Medio Oriente, la resa dei conti* di Vincenzo D’Anna*
Come era prevedibile, oltre che legittimo (per tutelare la popolazione del confine orientale), Israele ha mosso guerra contro gli Hezbollah in Libano. E lo ha fatto dopo aver ridotto ai minimi termini i terroristi palestinesi di Hamas. Anche il territorio libanese, come quello della stessa Palestina, è nato dopo il disfacimento dell’impero ottomano finendo, prima di diventare Stato autonomo, sotto il protettorato francese. Stiamo parlando di una terra che è apparsa martoriata sin dalla nascita, a causa delle lotte intestine tra le diverse etnie religiose, in primis i cristiani maroniti ed i musulmani di rito sunnita. Negli anni Settanta del secolo scorso i contrasti sfociarono in una sanguinosa guerra civile fatta di azioni militari ed attentati terroristici. A fomentare lo scontro nella “terra dei cedri” contribuì non poco l’ingerenza dei paesi arabi confinanti, in particolar modo la Siria di Hafiz Al Hadsad (cui poi è succeduto il figlio Bashar al-Assad), leader del partito unico Bath di matrice marxista, alleato, in quegli anni, con l’Urss sovietica ed oggi vicino ai plenipotenziari di Mosca. Dopo la cacciata dei palestinesi dalla Giordania, il Libano si trasformò in una sorta di rifugio per i guerriglieri dell’Olp, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina guidata da Yasser Arafat, e di “Settembre Nero”, altra frangia terroristica, capitanata invece da Abu Abbas ed anch’essa filo marxista. Tale raggruppamento trasse il proprio nome da ciò che accadde nel settembre del 1970 quando iniziò lo scontro tra l’esercito del re di Giordania Hussein e le bande armate palestinesi che intendevano rovesciarne la monarchia. Il Libano si tramutò così in un vero e proprio luogo di scontro vissuto a trecentosessanta gradi tra fazioni religiose e movimenti politici contrapposti. Fattore, quest’ultimo, che la Sinistra italiana e quella europea hanno sempre sottaciuto finché nel conflitto ha prevalso l’aspetto etnico religioso. Oltre che in Libano, le infiltrazioni si estesero infine, dalla Siria, anche alla neonata Palestina. Accadde subito dopo gli accordi di Camp David tra Arafat e Peres. Insomma: il seme del terrorismo, in tutti questi anni, non ha mai smesso di attecchire. E lo ha fatto anche quando i gruppi terroristici originari (Olp e Settembre nero) hanno cessato di esistere. Risultato: il Medio Oriente nella sua complessità, si è trovato letteralmente investito da una guerra civile senza più limiti né confini. Eppure il Libano, dopo il tremendo “confronto” tra le forze maronite di Michel Aoun e quelle musulmane-socialiste di Walid Jumblatt, era riuscito a trovare un proprio equilibrio raggiungendo una difficile ma insperata pace, fino a diventare un paese democratico, dotato di istituzioni parlamentari, di una florida economia e di commerci capaci di determinarne una stupefacente e rapida ricostruzione. Insomma: era la pace. Quella vera. Siglata anche con l’intervento e la mediazione degli americani e vigilata da una forza di controllo dell’ONU che opera in loco da decenni . Tutto questo fino ai tragici fatti dei giorni nostri, quando, come un fulmine a ciel sereno, quell’incantesimo si è improvvisamente spezzato. E’ accaduto nel momento in cui anche dalla sponda libanese sono iniziati i lanci di missili su Israele con il risultato, per l’esercito di Tel Aviv, di doversi muovere per forza. E’ accaduto semplicemente perché la storia si è ripetuta: al posto dell’Olp sono arrivati i gruppi musulmani sciiti, armati ed aizzati dall’Iran degli Ayatollah. Si tratta dei temuti Hezbollah, i quali “pungono” Israele con razzi e droni forniti da Teheran. Risultato: il paese della Stella di David ha dovuto rivolgere il proprio esercito nuovamente contro il Libano, non tanto contro ciò che quello Stato rappresenta da un punto di vista delle istituzioni democratiche, quando contro le bande para-militari che lì operano indisturbate. Insomma, nulla di nuovo sotto il sole: sono mutate le sigle e le etnie ma non le strategie dei gruppi terroristi che mirano, oggi come ieri, a cancellare lo Stato ebraico dalla faccia della Terra ed a combattere il Sionismo. C’è da scommetterci che una parte dei sostenitori della causa palestinese tout court, quelli che hanno deprecato gli orrori e le persecuzioni degli israeliani – certo deprecabili quando vanno oltre la legittima difesa e colpiscono i civili – dimenticando la strage degli innocenti del 7 ottobre 2023 da parte di Hamas, assegneranno agli ebrei la parte dei cattivi aggressori!! Ci siamo dilungati sui precedenti storici delle vicende mediorientali, proprio per chiarire che, per quanto oltre il segno del buon senso a Gaza, quella di Tel Aviv è l’eterna lotta per difendersi dalla sua distruzione che i terroristi perseguono. Se nessuno muove un dito, se l’Onu, con il suo corpo di interposizione (peraltro già presente in Libano dal secolo scorso) non fa nulla, se le superpotenze si girano dall’altra parte, tutto resterà inevitabilmente regolato con la forza delle armi. A nulla servono gli appelli disarmati, a nessuno giova la lotta politica contro il governo destrorso di Bibi Netanyahu corroborato dagli integralisti religiosi ebrei che lo compongono, ed inutili sono destinati a rimanere anche gli allarmi per l’estensione del conflitto se, alla fine, nessuno vorrà rischiare di sporcarsi le mani per pacificare quei luoghi. Per quei popoli resterà infatti il solito destino di recitare il ruolo di “scacchiere” laddove però i grandi della Terra preferiscono giocare la propria partita da lontano e bene al sicuro. Il tutto nel mentre si svolge una nuova sanguinosa “resa dei conti”…
*già parlamentare