NOTA: QUESTA MATTINA L’AGENZIA ANTEPRIMA LA SPREMUTA DEI GIORNALI PER CAUSE SCONOSCIUTE NON E’ PERVENUTA. ABBIAMO AGGIUNTO IL MEGLIO DA IL FATTO QUOTIDIANO
Arresti ma in lunga attesa: buco della riforma Nordio
Giustizia – Un manager pubblico accusato di corruzione attende da giorni la decisione del Gip. Così le nuove norme stanno ingolfando i tribunali
Di Valeria Pacelli
Ogni mattina, un indagato che è stato interrogato da un giudice, si sveglia e sa che quello potrebbe essere il giorno del suo arresto. Oppure no.Succede da una settimana all’amministratore unico della società pubblica umbra di rifiuti “So.Ge.Pu. Spa”, Cristian Goracci. Lui, con altri due coindagati in un’inchiesta per corruzione della Procura di Perugia, vive con una spada di Damocle sulla testa. Finirà in carcere oppure no? Quello che lo riguarda è, infatti, uno dei primi casi di “contraddittorio preventivo”. Si tratta della norma, prevista dalla riforma Nordio, in base alla quale in caso di pericolo di reiterazione del reato ed esclusi alcuni delitti, l’indagato – sul quale pende una richiesta di misura cautelare – deve essere sentito prima della decisione del giudice.È successo a Goracci di essere interrogato, ma anche ad altri. Ieri non c’era la decisione. E questo perché la norma appena varata manca di un termine entro il quale il Tribunale è obbligato ad esprimersi. Non c’è un limite. Come invece era previsto, ad esempio, dall’articolo 294 del codice di procedura penale: qui si stabiliva che, dopo la misura cautelare, il giudice doveva sentire l’arrestato non oltre 5 giorni dall’inizio dell’esecuzione della custodia. Ora con il nuovo corso del governo Meloni tutto è ribaltato: in determinate situazioni viene prima l’interrogatorio e poi l’eventuale arresto. Ovviamente ciò non è previsto per una serie di reati (mafia, estorsioni, terrorismo, rapine, violenze sessuali, stalking) o nel caso in cui vi sia pericolo di fuga o di inquinamento probatorio: qui l’arresto è ancora a sorpresa. Non lo sarà più però per altri delitti, come la corruzione (sempre qualora vi sia il solo pericolo di reiterazione del reato). Che poi sono le tipiche inchieste che coinvolgono colletti bianchi e politici.C’è dunque il caso di Goracci e degli altri indagati dell’inchiesta perugina. Il 5 settembre si sono visti recapitare un invito a presentarsi all’interrogatorio dal giudice Natalia Giubilei. Goracci “soggetto incaricato di pubblico servizio, in quanto amministratore unico della società ‘So.Ge.Pu. Spa’” è accusato, con altri, di corruzione. Secondo i pm – per citare un capo di imputazione – “riceveva indebitamente” 750 mila euro circa da Antonio Granieri, “legale rappresentante della società privata Ece srl, esercente l’attività di ‘recupero per il riciclaggio di rifiuti solidi e biomasse’, per la messa a disposizione delle proprie funzioni”. Il denaro sarebbe stato corrisposto a Goracci tramite consulenze per i pm “mai effettuate” in favore della Ece srl. In questo “accordo corruttivo”, secondo i pm, Goracci “agevolava la partecipazione di Ece srl” in un bando di gara, vinto poi da “Sog. Eco. Srl” (51 per cento Ece srl, 49 per cento So.Ge.Pu Spa). L’indagato per difendersi da queste accuse (per le quali è stato chiesto il suo arresto) era stato convocato a rendere interrogatorio il 19 settembre. Da quel giorno attende la decisione del giudice.
Una misura cautelare, essendo un provvedimento importante che limita la libertà delle persone, non si può scrivere in pochi giorni perché i giudici devono studiare, spesso, centinaia di atti. Sono decisioni importanti e delicate. E così la norma voluta da Nordio ha due effetti: da una parte aumenta il rischio del pericolo di fuga, come sottolineato da molte toghe; dall’altra, per i tribunali, si traduce in un ulteriore aggravio di lavoro, su un sistema già ingolfato da anni. Con gli indagati che ora attendono, giorno dopo giorno, senza neanche l’esistenza d’un termine stabilito, il loro destino.
Autoriciclaggio ed evasione: quattro anni a Irene Pivetti
L’ex leghista – “Persecuzione, io le tasse le ho sempre pagate”
Di fq
Milano. Quattro di anni di carcere. Irene Pivetti, volto notissimo della Lega ed ex presidente della Camera, ieri è stata condannata in primo grado per evasione fiscale e autoriciclaggio. L’11 giugno scorso, l’accusa, rappresentata in aula dal pubblico ministero Giovanni Tarzia, aveva chiesto la stessa condanna “senza attenuanti”, e perché per Pivetti “si pretende che abbia sensibilità agli obblighi di legge”, dato che “ha avuto modo di conoscere le istituzioni dello Stato dall’interno”, ed è stata “la terza carica dello Stato (…) beneficiaria di un vitalizio pagato dai cittadini”. Ieri dunque la condanna e un sequestro di 3,4 milioni già confermato in Cassazione e ieri confiscato. Oltre a Pivetti, sono stati condannati, tra i vari, il pilota di rally ed ex campione di Granturismo, Leonardo Isolani, 2 anni. A far di conto, il pm ha chiesto (condanne, ndr) per l’ex presidente della Camera una pena senza attenuanti generiche. Dopodiché, in aula, ha spiegato che da lei (Pivetti, ndr) è arrivata una “sostanziale mancanza di collaborazione”. Nell’interrogatorio, durante le indagini, Pivetti, secondo l’accusa, si è avvalsa della facoltà di non rispondere e in aula, in un’udienza in cui ha respinto le accuse, ha offerto, stando ai pm, “una ricostruzione confusa”, mentre, stando agli atti, si legge in sentenza, portato a casa “un guadagno in modo occulto”. Ieri la condanna. Irene Pivetti ha spiegato: “Questa è solo la fine del primo tempo. Non aspettavo nulla di diverso. Sono curiosa di vedere le motivazioni. Ricorreremo in appello e sono serena perché sono perfettamente innocente. Le tasse le ho sempre pagate. Ma qui l’oggetto del contendere è far passare la Pivetti come un evasore fiscale”. Che a vedere le indagini della Procura di Milano al centro ci sono una serie di operazioni commerciali nel 2016 del valore di 10 milioni di euro. Su tutte la compravendita di tre Ferrari Granturismo che, secondo il pm, sarebbe servita per riciclare soldi dell’evasione fiscale. Secondo l’indagine, coordinata dal Nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di finanza di Milano, si ipotizza un ruolo di intermediazione di Only Italia, società riconducibile a Pivetti, in operazioni del Team Racing, che, secondo l’accusa, voleva nascondere al fisco (aveva un debito di 5 milioni) alcuni beni, tra cui le tre Ferrari.Da qui, le auto sarebbero state al centro di una finta vendita al gruppo cinese Daohe per essere, invece, trasferite in Spagna, dove ci sarebbe stato il tentativo di venderle. L’unico “bene effettivamente ceduto, ovvero passato” ai cinesi, ricostruisce il capo di imputazione, sarebbe stato “il logo della Scuderia Isolani abbinato al logo Ferrari”. Da qui, secondo l’accusa, “l’obiettivo perseguito da Irene Pivetti” sarebbe stato“di acquistare il logo Isolani-Ferrari per cederlo a un prezzo dieci volte superiore al gruppo Dahoe, senza comparire in prima persona”. Chiusa questa indagine, per Irene Pivetti ci sono altri scogli da superare. Un altro scoglio giudiziario: un processo a Busto Arsizio su una compravendita dalla Cina di mascherine per 35 milioni di euro durante l’emergenza Covid. Per l’accusa, ne furono consegnate molte meno, per un valore di 10 milioni, e di qualità scadente.
FONTE:
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