Il partito del “Calippo”, un antidoto per la destra che avanza?!*
di Vincenzo D’Anna*
Le elezioni politiche svoltesi in Austria, in questi giorni, hanno visto praticamente confermata la tendenza dell’elettorato a scegliere formazioni della destra radicale. Più che partiti politici organizzati secondo i canoni classici tali organismi sono aggregati di movimenti popolari con un collante nazionale individuato nel leader che maggiormente ha aderito ai ragionamenti ed alle proposte dei cittadini. Niente ideologie trainanti, dunque. Nessun nodo organico di tipo storico, oppure un vincolante modello di riferimento socio economico, canonico e noto. Solo un comune idem sentire, un disagio condiviso che si è tramutato in proposta politica coagulata in uno schieramento di rappresentanza sul piano nazionale. Un processo nuovo insomma, inverso rispetto ai modelli del passato: niente manifesto dei valori, nessun riferimento alla tradizione politica, nessuna identità ideologica di base. Lo scontento semmai è riferito ai problemi concreti: migrazioni di massa, sicurezza, multiculturalismo, crisi economica ed inflazione, politiche agricole e sanitarie, spoliazione dei poteri decisionali dei governi nazionali e regionali. Definire questi “partiti” un pericoloso salto all’indietro nel tempo, un pericoloso ritorno ad un passato nefasto, rappresenta un artificioso paradosso che credo convenga a coloro che escono sconfitti dalle urne, bastonati dagli elettori insoddisfatti. Se i partiti bocciati dal voto governavano da decenni tranquillamente nei loro contesti il loro scalpore diventa un grido d’allarme dai toni apocalittici. Che nessun esercito di barbari sia alle porte lo testimonia il mezzo legittimo, lecito e democratico con il quale è avvenuto il cambiamento. Quindi rievocare i fantasmi del passato in quelle terre ove nacque e prese forma il nazionalsocialismo hitleriano, appare più una forma di esorcismo che un pericolo reale. Poiché i partiti politici (Popolari in Austria e Socialisti in Germania) sono organicamente collegati tra loro, nel più vasto contesto dei partiti europei, da un comune retaggio ideologico e politico, è naturale che l’eco della disfatta riecheggi forte ovunque, in uno con gli accesi toni degli “allarmi democratici”. Insomma: ogni mondo è paese e, così come in Italia, alla sconfitta dei partiti di centro o di sinistra, si tirano in ballo i fantasmi mussoliniani del passato, ecco che a quelle latitudini si spaccia la vittoria delle destre come un insidia incombente sulle libertà dei cittadini. Messi da parte i pericoli ipotetici sarà bene però che si analizzino le cause del fenomeno che, come tutti quelli politici, poggia su basi sociali ed economiche ben delineate. Certo quelli che hanno vinto sono partiti di chiara impronta nazionalista, per non dire regionalista, ma questo non sempre significa essere contrari per principio alla Unione europea, quanto invece alle politiche che questa mette in campo in determinati settori. La maggioranza che governa a Bruxelles ha infatti la pessima abitudine di conferire patenti di ortodossia agli Stati che si accordano alle sue scelte e, viceversa, lanciare anatemi contro chi vi si oppone, accusandoli di “sovranismo”. Da qui il passo è breve per dipingere taluni Paesi – ed i leader che li governano – come reazionari, vocati a restaurare, nostalgicamente, un vecchio ordine politico. Quest’ultimo ritenuto l’anticamera del ritorno ai regimi illiberali ed autoritari del Ventesimo secolo. Gli è che la discussione scivola dai fatti concreti agli allarmi per il futuro della democrazia. Una mistificazione bella e buona che evita a chi governa di dare conto delle proprie scelte relegando i contestatori nel vago e scomodo ruolo di portatori di idee eversive. Illiberali in verità sarebbero le scelte che non tengano conto di tutte le esigenze dei paesi aderenti, di governare a colpi di maggioranza, di imporre a coloro che sono in minoranza, la tirannia del “più forte”, senza alcun confronto o mediazione, riducendo i “governati” ad dover accettare una servitù senza gioia. Nel Belpaese siamo maestri in materia allarmistica ogni qualvolta la sinistra ed i suoi alleati escono battuti dalle elezioni. Ne consegue l’esigenza non di rivedere e correggere le posizioni programmatiche risultate sgradite agli elettori, quanto di dar vita ad una generale “chiamata alle armi” per arginare la barbarie di un futura incipiente dittatura. Prendono così vita nuove formule e fantasiose etichette per ritornare al governo, come il “campo largo” e l’eterna rinascita del “centro”. Ma pare non basti. Ecco allora assurgere al ruolo di nuovo “astro politico” Francesca Pascale, che nella veste LGBT e sodale di Vladimir Luxuria, viene blandita e corteggiata dalla sinistra. Blandita e corteggiata, attenzione, dopo essere stata vituperata e offesa dalla stessa come concubina del Cavalier Berlusconi e protagonista della sua alcova. Insomma: per arginare la dittatura ora va bene anche la Pascale e di conseguenza potrebbe nascere il…partito del “Calippo”, il celebre gelato che, tanti anni fa, consegnò l’ex soubrettina agli onori delle cronache!!
*già parlamentare