Radio

Un secolo di radio in Italia. Prove “piratate” e cavi ai Parioli

10 giugno 1924 – Dalla prima parola trasmessa, “Peloponneso”, ai proclami del duce

Di Renato Nunziata

5 Ottobre 2024

“Peloponneso!”: sembra essere questa la prima parola trasmessa per radio, se dobbiamo far fede a uno scritto di Riccardo Morbelli sul Radiocorriere del 1961, in cui ci rende noto anche il nome di chi l’ha pronunciata, il tecnico del Liberatis, la mattina del 6 ottobre 1924. In realtà, oggi sappiamo che la nascita del broadcasting in Italia è avvenuta diversi mesi prima con Radioaraldo, frutto dell’intraprendenza dell’ingegner Luigi Ranieri che riesce a trasmettere, con una piccola potenza di 250 W, in tutta Roma e nel Lazio, in virtù anche di una concessione temporanea data dall’allora ministro delle Poste Antonio Colonna di Cesarò e in assenza di una legge che ne regolamentasse gli sviluppi.

Le prime prove di trasmissione della Uri – nata dall’unione della marconiana Radiofono con una società costruttrice di radio, la Sirac emanazione dell’americana Rca – avvengono il 10 giugno 1924 a Roma, da un locale adibito ad auditorium di fronte all’abitazione di Luigi Solari, uomo di fiducia di Guglielmo Marconi, colui che mise in pratica i progetti e le intuizioni dello scienziato bolognese. Da palazzo Corrodi vengono effettuate le prime prove con un trasmettitore in zona Parioli collegato tramite cavi sostenuti su una palificazione provvisoria a circa tre chilometri di distanza. Per una ironica fatalità del destino, a poche centinaia di metri e in quegli stessi momenti di frenetica preparazione, si consuma una delle più grandi tragedie che l’Italia ha subito durante il regime fascista: il rapimento dell’onorevole Giacomo Matteotti. Una vicenda che acquista ulteriore interesse se consideriamo che uno dei principali indiziati del delitto – il sottosegretario all’Interno Aldo Finzi – è uno dei protagonisti nella costituzione di una società radiofonica, e dunque acquista interesse l’idea di come la politica abbia fatto da sostrato alla nascita della radio. E non è da sottovalutare come l’allora ministro delle Comunicazioni Costanzo Ciano ne abbia da subito capito l’importanza in termini di consenso: “Credo opportuno far presente che le trasmissioni auditive circolari vengono effettuate all’aria e potendo essere ricevute da tutti i possessori di apparecchi radio elettrici muniti di regolare licenza, e quindi da una moltitudine di persone, rappresentano un potente ed efficace mezzo di informazione e di propaganda”, scrive alla presidenza del Consiglio all’indomani della prima trasmissione.

Il 6 ottobre, quindi, è una data scelta in fretta e furia dopo la costituzione legale della società Uri, avvenuta il 27 agosto. Così come frettolosamente si sono avviate le procedure per la ricerca del personale: “Artisti, strumentisti, cantanti desiderosi provarsi per radioaudizioni circolari possono dirigersi Unione Radiofonica Italiana”, si legge tra gli annunci de Il Messaggero di Roma il 15 ottobre 1924. Le due ore di trasmissione previste dalla Convenzione Stato-Uri – dopo che l’azienda ha firmato un atto di sottomissione al governo – vengono portate a sei dal 1° gennaio dell’anno seguente. Due giorni dopo Benito Mussolini pronuncerà alla Camera il famoso discorso che di fatto avvia il nuovo corso con la demolizione del sistema di garanzie dei precedenti governi liberali: la radio inizia così a essere assoggettata al totalitarismo, contribuendo poi in modo definitivo – con la trasformazione in Eiar tre anni più tardi – a essere un potente megafono del regime.

Al di là dell’ingerenza fascista, gli inizi della radiofonia italiana sono un esempio di passione che i protagonisti della prima ora hanno portato avanti, sviluppando quel senso di appartenenza alla comunità per renderla partecipe a un progetto di vicinanza sociale che il nuovo mezzo poteva offrire. È così, ad esempio, che si esprime Marconi, appena nata la radio: “Vada dunque il mio saluto ai giovani della nuova generazione che applicano il loro ingegno alle moderne manifestazioni della tecnica o dell’arte; alle gentili signore alle quali questo nuovo mezzo di comunicazione assicura un nuovo fascino nella loro intimità domestica; agli uomini di studio e di lavoro, che rientrando al loro focolare, troveranno non solo nelle radio audizioni una dilettevole ed elevata distrazione, ma anche il riflesso di quanto avviene nel mondo e di quanto più li interessa”.

Oggi, cento anni dopo, oltre 35 milioni di persone in Italia si sintonizzano: da casa, in auto, da ogni luogo la radio è parte di noi, la sua importanza non è scalfita neppure dai mezzi di comunicazione più moderni. Ed è tale, probabilmente, la sua forza, da quella prima parola – “Peloponneso” – ai milioni di termini che ogni giorno si ascoltano nell’etere.