HomeAttualitàTaccagno la parola di oggi a cura del prof. Innocenzo Orlando
Taccagno la parola di oggi a cura del prof. Innocenzo Orlando
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Taccagno
tac-cà-gno
Significato Restio a spendere, a dare
Etimologia etimo incerto.
«Non ti aspettare grandi regali, è notoriamente un taccagno.»
È una specifica qualità, o meglio, un particolare vizio umano con una quantità di nomi formidabile. Ci interessa enormemente nominarlo, denunciarlo — evidentemente perché lo consideriamo un disvalore come pochi altri. È il vizio di chi dà poco, che nel taccagno ha una manifestazione centrale, espressiva e compassata insieme, buona per tante occasioni.
Peraltro è uno dei casi in cui, nel fare un carotaggio dei sinonimi (senz’altro divertente) non sempre si arriva a discriminazioni sostanziali: qui sono importanti anche solo le discriminazioni di registro e forma, spesso sottili.
La scelta fra spilorcio, tirchio e taccagno, ad esempio, ha più che altro a che fare con come ce la sentiamo in bocca: cerchiamo un effetto più schifato, e quindi ci viene buono lo spilorcio? O cerchiamo un effetto più ringhiato, che il tirchio rappresenta felicemente? Oppure qualcosa di più largo e battente, come il taccagno?
Certo abbiamo sinonimi che si distinguono meglio: ad esempio il gretto e il sordido vantano un respiro più ampio, hanno una dimensione morale che travalica il dar poco. L’avaro d’altro canto si è guadagnato un posto più olimpico, distante, diciamo pure (senti qua) paradigmatico, gemello diverso dell’avido — mentre il tirato è asciutto, sobrio, essenziale. Ma possiamo aggiungerci il pidocchio, il pitocco, la lesina, il tignoso, il micragnoso, il parsimonioso, lo sparagnino… Il panorama lessicale, insomma, è lussureggiante.
Diversi di questi termini sono trasparenti, altri hanno origini poco perspicue, e fra queste il taccagno. Ci sono almeno un paio di ricostruzioni etimologiche da menzionare, col beneficio del dubbio.
Secondo quella che forse è più riportata, saremmo davanti a un derivato dello spagnolo tacaño col significato di ‘imbroglione, picaro, scroccone’. Però se guardiamo in dizionario di spagnolo, il primo significato è ‘taccagno’, e si dice che tacaño viene da ‘taccagno’. Non uno scaricabarile, ma un rimbalzo, anzi quello che si dice un cavallo di ritorno — ma fatto resta che questo tacaño non si sa bene da dove derivi in prima istanza, con i suoi significati imperniati su gente dappoco e non dabbene (è di origine germanica? è di ascendenza ebraica? ne sono state dette molte).
Forse un’ipotesi plausibile si può trovare in parallelo nell’altra ipotesi: che ‘taccagno’ derivi da ‘tacco’ o ‘taccone’, di origine germanica, col primo significato di ‘zeppa, pezzo di legno’. L’idea procederebbe da un materiale grezzo che di fa persona gretta, e quindi avara. Con qualche differenza, potrebbe essere accaduto qualcosa di analogo con lo spagnolo taco, ma siamo in un campo più che incerto.
Quello che ne traiamo, in ogni caso, è che la scaturigine ha un profilo di scarso valore. E questo, per quanto laconico, è molto eloquente.
Infatti è curioso come la disposizione al dare e allo spendere sia così tremendamente polarizzante.
Da un lato abbiamo gli splendori della generosità — alla lettera l’appartenenza a un genere, a una gente, a una stirpe di valore — che si accompagnano alla liberalità, alla munificenza, alla larghezza, alla magnificenza stessa: tutte parole non solo sfolgoranti, ma anche di origine chiarissima, con un pedigree etimologico ialino.
Dall’altro un groppo di miserabile, irredimibile meschinità, in cui la brama più vile si condisce di parassiti, in una sfilza schifosa di sinonimi variamente grugniti e sputacchiati, che si sono deformati di bocca in bocca fra innumerevoli tartagliamenti disgustati, tanto che ricostruirne l’origine è una fatica. Anche se, in fondo al vaso di Pandora, la parsimonia qualche ragione la offrirebbe.
In questo brancolamento pieno di sfumature e incertezze, forse s’intende meglio la magia del taccagno, parola di un genere potente e criptico — onestamente incisiva, moderatamente smiagolata, di un registro non aulico ma versatile, che esercitiamo con soddisfazione per inchiodare il vizio che forse la lingua ha più in odio.
È una specifica qualità, o meglio, un particolare vizio umano con una quantità di nomi formidabile. Ci interessa enormemente nominarlo, denunciarlo — evidentemente perché lo consideriamo un disvalore come pochi altri. È il vizio di chi dà poco, che nel taccagno ha una manifestazione centrale, espressiva e compassata insieme, buona per tante occasioni.
Peraltro è uno dei casi in cui, nel fare un carotaggio dei sinonimi (senz’altro divertente) non sempre si arriva a discriminazioni sostanziali: qui sono importanti anche solo le discriminazioni di registro e forma, spesso sottili.
La scelta fra spilorcio, tirchio e taccagno, ad esempio, ha più che altro a che fare con come ce la sentiamo in bocca: cerchiamo un effetto più schifato, e quindi ci viene buono lo spilorcio? O cerchiamo un effetto più ringhiato, che il tirchio rappresenta felicemente? Oppure qualcosa di più largo e battente, come il taccagno?
Certo abbiamo sinonimi che si distinguono meglio: ad esempio il gretto e il sordido vantano un respiro più ampio, hanno una dimensione morale che travalica il dar poco. L’avaro d’altro canto si è guadagnato un posto più olimpico, distante, diciamo pure (senti qua) paradigmatico, gemello diverso dell’avido — mentre il tirato è asciutto, sobrio, essenziale. Ma possiamo aggiungerci il pidocchio, il pitocco, la lesina, il tignoso, il micragnoso, il parsimonioso, lo sparagnino… Il panorama lessicale, insomma, è lussureggiante.
Diversi di questi termini sono trasparenti, altri hanno origini poco perspicue, e fra queste il taccagno. Ci sono almeno un paio di ricostruzioni etimologiche da menzionare, col beneficio del dubbio.
Secondo quella che forse è più riportata, saremmo davanti a un derivato dello spagnolo tacaño col significato di ‘imbroglione, picaro, scroccone’. Però se guardiamo in dizionario di spagnolo, il primo significato è ‘taccagno’, e si dice che tacaño viene da ‘taccagno’. Non uno scaricabarile, ma un rimbalzo, anzi quello che si dice un cavallo di ritorno — ma fatto resta che questo tacaño non si sa bene da dove derivi in prima istanza, con i suoi significati imperniati su gente dappoco e non dabbene (è di origine germanica? è di ascendenza ebraica? ne sono state dette molte).
Forse un’ipotesi plausibile si può trovare in parallelo nell’altra ipotesi: che ‘taccagno’ derivi da ‘tacco’ o ‘taccone’, di origine germanica, col primo significato di ‘zeppa, pezzo di legno’. L’idea procederebbe da un materiale grezzo che di fa persona gretta, e quindi avara. Con qualche differenza, potrebbe essere accaduto qualcosa di analogo con lo spagnolo taco, ma siamo in un campo più che incerto.
Quello che ne traiamo, in ogni caso, è che la scaturigine ha un profilo di scarso valore. E questo, per quanto laconico, è molto eloquente.
Infatti è curioso come la disposizione al dare e allo spendere sia così tremendamente polarizzante.
Da un lato abbiamo gli splendori della generosità — alla lettera l’appartenenza a un genere, a una gente, a una stirpe di valore — che si accompagnano alla liberalità, alla munificenza, alla larghezza, alla magnificenza stessa: tutte parole non solo sfolgoranti, ma anche di origine chiarissima, con un pedigree etimologico ialino.
Dall’altro un groppo di miserabile, irredimibile meschinità, in cui la brama più vile si condisce di parassiti, in una sfilza schifosa di sinonimi variamente grugniti e sputacchiati, che si sono deformati di bocca in bocca fra innumerevoli tartagliamenti disgustati, tanto che ricostruirne l’origine è una fatica. Anche se, in fondo al vaso di Pandora, la parsimonia qualche ragione la offrirebbe.
In questo brancolamento pieno di sfumature e incertezze, forse s’intende meglio la magia del taccagno, parola di un genere potente e criptico — onestamente incisiva, moderatamente smiagolata, di un registro non aulico ma versatile, che esercitiamo con soddisfazione per inchiodare il vizio che forse la lingua ha più in odio.