CORTE DI APPELLO NAPOLI, MAXI RISARCIMENTO E “DANNO DA STRESS” PER MEDICI CHE LAVORANO TROPPO

Una sentenza che ora apre la strada dei ricorsi a tutti i medici italiani: “Non può essere il singolo medico a risolvere il problema degli ospedali che hanno carenze di personale”

ASL di Napoli condannata a versare 100mila euro ad un medico ospedaliero per la violazione delle direttive europee sulle prescrizioni minime di sicurezza e di salute connesse all’orario di lavoro

Non c’è pace per la Sanità in Campania. La Corte di Appello di Napoli ha condannato una ASL campana a risarcire i danni sofferti da un medico ospedaliero per averlo esposto a periodi di lavoro eccessivi, senza garantirgli il minimo di riposo giornaliero e l’adeguato riposo notturno, tutelati dalle norme europee.

Il caso riguarda un medico napoletano che, dopo varie esperienze lavorative, ha iniziato dal 2008 ad operare all’interno del reparto di ortopedia e traumatologia dell’ASL di Napoli.

“La situazione dell’ospedale, caratterizzata da grave carenza di personale – spiegano gli avvocati sanniti Egidio Lizza e Giovanni Romano, che hanno promosso l’azione giudiziaria – lo ha esposto a richieste da parte della dirigenza sempre più pressanti rispetto all’orario di lavoro da svolgere, che è progressivamente divenuto insopportabile e al quale gli era sostanzialmente impossibile sottrarsi, a meno di voler lasciare totalmente scoperto il reparto. Si è trovato a svolgere, per quindici anni, un orario lavorativo ben superiore a quello contrattualizzato, che non gli ha permesso di usufruire di un periodo minimo di riposo giornaliero di 11 ore consecutive, e ad effettuare lavoro notturno per più di 8 ore per periodi di 24 ore continuative nell’arco di una settimana, andando ben oltre le 48 ore di lavoro settimanali. Pur percependo per questo motivo lo straordinario, ha però sviluppato un grave stress che ha minato la sua salute fisica e mentale”.

Constatato questo, la Corte di Appello di Napoli gli ha riconosciuto un maxi risarcimento per danno da stress o da “usura psicofisica” – quantificato dai giudici, nel caso esaminato, in 100mila euro – che ora apre la strada dei ricorsi a tutti i medici italiani che si trovano nella medesima situazione e che deve essere corrisposto con efficacia retroattiva, anche in aggiunta alla retribuzione ordinaria e al così detto “straordinario” stabiliti dal contratto di lavoro.

“D’altronde – continuano gli avvocati Lizza e Romano – anche la nostra Carta costituzionale, all’art. 36 Cost., tutela il diritto al rispetto dell’orario di lavoro, sicché l’usura psicofisica derivante dalla mancata fruizione del riposo, deve essere risarcita, perché il riposo rappresenta di per sé un bene giuridico da tutelare. Non può essere il singolo medico, dunque, a risolvere il problema degli ospedali che hanno carenze di personale”.

Un problema tutto italiano, che nasce da lontano. Da tempo, l’Unione europea – con diverse norme e in particolare con la direttiva 2003/88/CE – ha delineato una disciplina in materia di orario di lavoro finalizzata a garantire al lavoratore le condizioni minime necessarie affinché ne sia tutelato il diritto alla salute.

Dopo aver recepito questa normativa nei confronti di tutti i lavoratori, lo Stato Italiano l’ha illegittimamente esclusa (con la legge n. 112/2008) per il personale medico.

A seguito di una procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea, l’Italia ha poi provveduto, soltanto a partire dal novembre 2015, ad adeguare l’orario di lavoro dei medici alle prescrizioni comunitarie.

Resta fermo che, nel periodo antecedente, il personale medico ha svolto un orario di lavoro contrastante con le regole europee e da ciò può conseguire il diritto a vedere risarciti i danni sofferti.

Le disposizioni europee sono focalizzate su alcuni importanti profili tra cui – ricorda la Corte di Appello di Napoli – “quello di garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori, facendo in modo che essi possano beneficiare di periodi minimi di riposo e di adeguati periodi di pausa”.

La Corte di Giustizia dell’UE ha ricordato al riguardo che ogni periodo trascorso “fisicamente sul luogo indicato dal datore di lavoro” mettendosi “a disposizione di quest’ultimo per poter fornire immediatamente la propria opera in caso di necessità”, deve essere considerato rientrare “nell’esercizio delle funzioni” e deve dunque essere tenuto in considerazione al fine di programmare le pause necessarie, anche perché, durante tale periodo il medico, assicurando la sua presenza fisica in struttura, resta così “lontano dal suo ambiente familiare e sociale”.

Come riconosciuto dalla Corte di Giustizia dell’UE – ricordano i giudici di Napoli – “le varie prescrizioni enunciate dalle norme europee in materia di periodi minimi di riposo, costituiscono disposizioni della normativa sociale dell’UE, che rivestono importanza particolare” e dunque sono destinate a prevalere sia sulle norme nazionali che su quelle dei CCNL che, eventualmente, ne siano in contrasto.

“L’obiettivo principale della direttiva europea – come ricorda nelle sue pronunce anche la Corte di Giustizia dell’UE – è quello di proteggere in modo efficace la sicurezza e la salute dei lavoratori. Ognuno di essi deve beneficiare di periodi di riposo adeguati ed effettivi, tali dunque da consentire di recuperare la fatica dovuta al lavoro e ridurre il più possibile il rischio di alterazione della salute e della sicurezza”.

Se questo è importante per tutti i lavoratori, lo è certamente anche per i medici ospedalieri, in relazione al delicato compito che svolgono giornalmente.

La Corte europea, in particolare, ha ricordato che, nel campo dei sanitari, le deroghe a tali principi non sono possibili, se non nei limiti in cui siano concessi effettivi e adeguati “periodi di riposo compensativo” rispetto all’eccessiva durata del periodo di lavoro consecutivo che si è chiamati a svolgere.

Tali riposi compensativi – conclude la Corte di Appello di Napoli – devono però essere “immediatamente successivi” all’orario di lavoro che sono intesi a compensare, al fine di sterilizzare lo stato di fatica o di stress che si accumulano durante eccessivi periodi di lavoro consecutivi.

LA SENTENZA : 20176491s