Fatto Quotidiano
I pagliacci eversivi
Dopo 30 anni di berlusconismo con o senza B., è probabile che i clown della cosiddetta destra siano davvero convinti delle castronerie eversive che dicono. Se un giudice dà loro torto su qualunque tema dello scibile umano, vuol dire che è comunista, fa politica, “esonda” (Mezzolitro Nordio) e complotta con la Schlein (capace di cose serie come i complotti: come no). Segue il solito armamentario di slogan berlusconiani prêt-à-porter, tipo che “i magistrati hanno solo vinto un concorso” (e che dovevano fare: perderlo?) e, “se vogliono fare politica, devono farsi eleggere” (infatti fanno indagini e sentenze, riservate per legge a chi non si fa eleggere). Il povero Tajani spiega il diritto, ma soprattutto il rovescio, ai giudici di Roma che hanno bocciato il trattenimento dei 16 migranti in Albania: “La separazione dei poteri è uno dei principi fondamentali dello Stato di diritto”. Già, ma lui non sa cosa sia: separazione dei poteri significa che quello giudiziario è indipendente dal legislativo e dall’esecutivo, non che è ai loro ordini. Il tapino vuole pure regalare a Elly “l’opera omnia di Montesquieu”, che lui o non ha letto o non ha capito. Poi c’è il Corriere che, come ai bei tempi di B., spaccia l’aggressione sovversiva dei melones alla magistratura per uno “scontro governo-toghe”. Come titolare sulla donna di San Severo uccisa dal marito a pistolettate “Scontro fra coniugi”.
La verità è che la campagna d’Albania, oltre a costare un occhio e servire a nulla, era già nata illegale. E lo è ancor di più dopo la sentenza della Corte di giustizia europea del 4 ottobre, che ha ristretto il concetto di “Paese sicuro” per i rimpatri. Sentenza vincolante per tutta la Ue, che nessun decreto Nordio potrà ribaltare o aggirare, a meno di uscire dall’Ue (ma neanche: la magistratura inglese ha respinto varie volte le deportazioni di migranti in Ruanda decise dal governo Sunak). Dal 4 ottobre i giudici di tutta Italia ed Europa non fanno che bocciare i trattenimenti di migranti per rispedirli in Paesi esclusi dalla (minuscola) lista di quelli “sicuri”. Strano che i giuristi per caso del governo non lo sapessero: sennò si sarebbero risparmiati il tragicomico viaggio di andata e ritorno dei famosi 16 in Albania. E ora, anziché annunciare inutili decreti votati al fiasco, smantellerebbero i due centri di raccolta albanesi, destinati a restare semideserti.
P.s. Giulia Bongiorno, al processo Open Arms, racconta che l’Ong nell’agosto 2019 non voleva far sbarcare i migranti, ma “far cadere Salvini. E Salvini è caduto”. Qualcuno – magari Salvini – dovrebbe informarla che il suo leader e cliente non cadde: sfiduciò il governo Conte per “andare alle elezioni anticipate a settembre” e governare con “pieni poteri”. L’ennesimo autocomplotto.
Ecco il decreto per aggirare l’Ue col timore che il Colle non firmi
L’esecutivo contro i magistrati – Nordio: “Decisione abnorme”. In Cdm ricorsi più rapidi e Paesi sicuri per legge. Mattarella cauto: garante dei Trattati Ue
Di Gia.Sal.
L’ira anti-giudici del governo dopo la decisione del Tribunale di Roma di respingere il trattenimento in Albania di 12 migranti si trasformerà in un decreto legge. Da approvare già domani in Consiglio dei ministri (poi la premier Giorgia Meloni parlerà, di questo e della manovra, martedì mattina in conferenza stampa). Una legge che servirà per mettere subito una toppa alla sentenza dei giudici di Roma che hanno, di fatto, dichiarato fallito il protocollo con l’Albania.
Il provvedimento arriva dopo le parole del ministro della Giustizia Carlo Nordio che ieri ha definito “abnorme” la sentenza dei giudici di Roma. Ergo: “se la magistratura esonda bisogna intervenire”, ha concluso. Una frase che ha provocato la richiesta di dimissioni di Pd, Avs e M5S nei confronti del Guardasigilli, difeso dagli esponenti di maggioranza.
Per domani però il governo prepara un decreto legge che servirà, di fatto, ad aggirare la sentenza dei giudici romani. Un testo ancora non c’è ma ci sta lavorando il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano e, secondo fonti di governo, si baserebbe su due pilastri: in primis, il governo vuole inserire il concetto di “Paese sicuro” in una legge dello Stato. Oggi infatti questi sono certificati solo da un decreto ministeriale del ministero degli Esteri e dai rispettivi allegati (quindi una fonte di rango secondario) e i giudici, è la tesi dell’esecutivo, hanno vita facile a non applicarlo. Con il decreto legge in vigore, invece, i tribunali di tutta Italia dovrebbero fare ricorso alla Corte Costituzionale e i tempi per bloccare il trattenimento dei migranti nei centri per il rimpatrio si allungherebbero molto. Il secondo pilastro del provvedimento, invece, sarà quello di inserire una sorta di “giudizio di appello” nei ricorsi dei migranti: oggi se un Tribunale dichiara illegittimo il trattenimento, lo Stato può fare ricorso solo in Cassazione mentre con la nuova legge si inserirà un giudizio intermedio. Un modo per rendere più rapide le decisioni sui singoli sbarchi.
Resta da vedere, però, cosa dirà il Quirinale, con cui sono in corso interlocuzioni. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha passato il fine settimana a Palermo e dal Colle le bocche sono cucite. Un silenzio dietro cui si cela una cautela da parte di Mattarella sull’attacco da parte del governo nei confronti della magistratura: il presidente della Repubblica, che è anche presidente del Csm, nei suoi discorsi passati ha spesso auspicato la leale collaborazione tra i poteri dello Stato. Sul decreto, invece, il Quirinale resta in attesa di capire quale sarà la soluzione dell’esecutivo. Se sarà confermata l’impostazione di Palazzo Chigi, il nodo da affrontare non sarebbe tanto la mancanza del requisito di “necessità e urgenza” (i criteri per firmare un decreto) ma quanto più il fatto che la norma potrebbe confliggere con il diritto comunitario e in particolare con la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 4 ottobre sulla base della quale si è pronunciato venerdì il Tribunale di Roma. Il rischio, infatti, è che un minuto dopo i giudici impugnino il provvedimento di fronte alla Corte Costituzionale che debba valutare la supremazia sul diritto comunitario a quello interno. Tant’è vero che una soluzione, seppur impossibile politicamente, è quella proposta dal leghista Claudio Borghi: cambiare la Costituzione specificando che il diritto italiano deve essere “sempre prevalente” a quello Ue.
Ieri, intanto, alle accuse del ministro della Giustizia Nordio, ha risposto il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia che ha parlato di semplice “applicazione di norme cogenti non solo per i magistrati ma per gli Stati”. E mentre Papa Francesco ha ribadito l’importanza di accogliere i migranti, le opposizioni hanno annunciato un esposto alla Corte dei Conti per danno erariale sulla gestione dei migranti in Albania.
Fazzolari fa un editto anti-toghe: “I giudici arroganti e illegittimi”
Salvini ora “chiama” la piazza – Chat e linea ai giornali: così Chigi va all’assalto. La Lega ha cavalcato la sentenza del Tribunale di Roma insieme al processo di Palermo nei confronti del leader sul caso Open Arms
Attaccare i giudici. E, in primis, Silvia Albano. Colei che, da componente della Sezione Immigrazione del Tribunale di Roma, venerdì ha smontato l’accordo con l’Albania sui migranti del governo. E che, per l’entourage della premier Giorgia Meloni, non solo doveva astenersi dal decidere viste alcune sue recenti dichiarazioni in punta di diritto sulla gestione dei flussi migratori, ma soprattutto perché sarebbe una “toga rossa”. È così che parte l’assalto di Palazzo Chigi nei confronti dei giudici di Roma. Un conflitto istituzionale che ricorda i tempi del berlusconismo e le liste di proscrizione nei confronti dei magistrati.
Tutto inizia venerdì, dopo pranzo. Il comunicato del Tribunale di Roma arriva a Palazzo Chigi. Era atteso. I fedelissimi di Meloni avevano già notato alcune dichiarazioni di esponenti del Pd che avevano ipotizzato la decisione. Così parte la controffensiva. Ci pensa il responsabile della comunicazione Giovanbattista Fazzolari, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, a dare la linea. È durissimo. Nella chat interna composta da dirigenti e parlamentari di Fratelli d’Italia scrive parole feroci contro i giudici di Roma: “assurdo” che si sostituiscano “al ministero degli Esteri e a qualsiasi altro organo dello Stato” perché da ora in poi nessun Paese sarà considerato “sicuro” e quindi in grado di potersi riprendere i migranti che sbarcano in Italia. Poi l’attacco frontale: Fazzolari definisce la sentenza “illegittima” e che denota una “supponenza e arroganza preoccupante”.
È il segnale. Dopo l’ordine di Fazzolari ci pensano i dirigenti di Fratelli d’Italia a “uscire” dichiarando guerra ai giudici: prima un tweet sul profilo del partito sulla “sinistra giudiziaria che aiuta quella parlamentare”, poi intervengono in fila i capigruppo Lucio Malan, Tommaso Foti, Giovanni Donzelli, passando per il presidente del Senato Ignazio La Russa e infine la stessa premier Meloni che vuole parlare a tutti i costi dal Libano, dimenticandosi la solita ritrosia di Palazzo Chigi a fare dichiarazioni di politica interna durante le missioni internazionali.
La “bestia” anti-giudici non si ferma qui. Coinvolge anche i giornali di destra. Il collegamento tra Palazzo Chigi e i direttori dei quotidiani d’area sui fatti del giorno è cosa nota. E venerdì si ripete. Tant’è vero che, oltre alle critiche nei confronti della decisione, ieri sul Giornale e sul Tempo escono due articoli che prendono di mira la giudice Albano. “La giudice anti-protocollo è il capo delle toghe rosse”, titola il quotidiano di Alessandro Sallusti facendo riferimento all’iscrizione di Albano a Magistratura Democratica. “Chi è la giudice fan della Apostolico che un anno fa disse no”, fa eco Il Tempo. Anche la deputata Sara Kelany, responsabile immigrazione di FdI, concede un’intervista al Corriere per dire che Albano avrebbe dovuto “astenersi” dalla decisione. Articoli che vengono citati ieri mattina nel “mattinale” di FdI. Il partito cavalca la protesta anti-giudici: ieri l’ufficio studi di FdI ha anche diffuso ai parlamentari un dossier (una “nota informativa”) dal titolo emblematico: “I giudici politicizzati non convalidano il trattenimento dei migranti in Albania”.
L’attacco ai magistrati ieri ha coinvolto anche altri partiti di governo, a partire dalla Lega di Matteo Salvini che ha cavalcato la sentenza del Tribunale di Roma insieme al processo di Palermo nei confronti del leader sul caso Open Arms. Ieri Salvini ha spiegato che da ora e in poi entreranno in Italia “cani e porci” e che i magistrati usano il tribunale come “un centro sociale”: “Se qualcuno di questi migranti stuprerà qualcuno chi paga? I magistrati?”. Poi ha convocato il Consiglio federale del Carroccio proprio contro “la magistratura politicizzata”: dopo 40 minuti di discussione è stato deciso di presentare mozioni per ribadire “la necessità di difendere confini” e di fare gazebo il 14 e 15 dicembre in tutta Italia, alla vigilia della sentenza di Palermo. Il leader del Carroccio vorrebbe una nuova mobilitazione a Palermo anche per il 20, giorno della sentenza, ma ci sarebbe un problema: in quei giorni gli eletti dovranno essere in aula per la legge di Bilancio e non potranno tornare in Sicilia. Durante il consiglio federale, la linea è stata chiara: la decisione dei giudici è “politica” e con una finalità “anti-governo”.
Il Pd fa la mossa anti-De Luca: Fico in prima fila per la Regione
Il convegno dei dem – A napoli dicono basta a “Vicienz”. Presente il big 5S: “Se cambia la regola, vedremo…”
Di Wanda Marra
Il convitato di pietra non viene praticamente mai nominato. Perché l’iniziativa organizzata da Sandro Ruotolo, “Il Sud in Europa” a Napoli non è solo una manifestazione contro Vincenzo De Luca, ma anche il tentativo di dimostrare che il tempo del presidente della Campania è già finito. “Nessuno è eterno”, ha detto Elly Schlein giovedì sera a Piazza Pulita. E anche se l’interessato per tutta risposta venerdì sera si è paragonato a Aldo Moro (nessuno gli direbbe che “è indispensabile, eterno”, ha scandito), la posizione del Nazareno sembra definitiva, nella scelta di andare oltre, di non appoggiare la sua ricandidatura. Anche a costo di perdere la Regione. Nelle parole di Ruotolo, quando afferma che l’“invitato di pietra” sono “le mafie e la corruzione, l’uso privato del potere” sembra proprio di scorgere in filigrana lo Sceriffo, soprattutto quando affonda: “Sono stanco di aspettare l’intervento della magistratura per scoprire il marcio, la corruzione, il rapporto con le mafie”.È il Pd dopo De Luca quello che si riunisce al Palazzo Caracciolo di Napoli. Isaia Sales venerdì pomeriggio ha fornito dei dati eloquenti: negli ultimi dieci anni in Campania sono stati sciolti per infiltrazioni della camorra 21 consigli comunali di cui 10 di centrosinistra (4 con un sindaco dem). E ieri mattina sono intervenute le varie anime dem: da Stefano Graziano (preso di mira personalmente dal presidente) a Marco Sarracino, da Roberto Speranza a Teresa Armato, da Dario Nardella (in collegamento) a Toni Ricciardi. Non pervenuta la minoranza del partito, che però certo non si sbraccia a difenderlo. Il tentativo di disegnare la traiettoria del futuro si svolge attraverso due punte. Roberto Fico, il primo a cui a Napoli si guarda come candidato del centrosinistra, che però per le regole di M5s è fuori perché ha già due mandati alle spalle: “Ora non posso candidarmi, ma se le cose cambieranno, vedremo”, dice. Sembra proprio una disponibilità di massima da uno che “non ha mai posto veti”. E a Napoli, il campo largo (o “il campo santo” o “il campo morto”, come scherza la Armato, consigliera comunale) esiste, con i renziani in giunta. E, infatti, l’altra punta è il sindaco, Gaetano Manfredi, favoritissimo per la presidenza dell’Anci, nonostante l’altolà di Beppe Sala, che mentre tira in ballo il malgoverno della Campania, per esempio sulla sanità, fa un richiamo all’unità. Contro il terzo mandato intervengono un po’ tutti i presenti, da Graziano a Peppe De Cristofaro (Avs). Ma tocca a Sarracino, responsabile Mezzogiorno dem, ribadire che non era scontato mettere al primo posto per la “sfida” della costruzione del centrosinistra la battaglia contro Autonomia e lavoro. Mentre ricorda che questa non passa per la delegittimazione delle persone. Come non passa per gli insulti, per un libro scritto contro il Pd. E neanche “per le telefonate ai segretari provinciali con la richiesta di non organizzare manifestazioni per Ruotolo”. Ogni riferimento a De Luca non è puramente casuale. Sarracino fa anche una denuncia, raccontando come alle Europee De Luca aveva proibito le iniziative elettorali per il responsabile Informazione dem.
Ci sono accenti diversi negli interventi. Roberto Speranza, per dire, ci tiene a esserci, ma anche a fare un discorso che si tiene volutamente distante dalle questioni più prettamente campane. “Va bene parlare di diritti, ma il tema è la manovra”, dice in giornate in cui la Schlein è concentratissima sul tema dell’immigrazione. Distinguo rispetto al Nazareno, che riguardano anche la convinzione che De Luca vada mollato, ma con più prudenza. Nel frattempo, alla fine ieri non si presenta il pur annunciato Mario Casillo, consigliere regionale, campione di preferenze. Deve accompagnare la moglie a Lucca a cercare casa, dove si trasferirà per lavoro per un anno, fa sapere. Una presa di distanza molto parziale. Di certo il suo sostegno a De Luca è sempre meno scontato. E i suoi incontri con gli uomini di Schlein proseguiranno nei prossimi giorni.
Adesso bisognerà aspettare le mosse del commissario regionale, Antonio Misiani. Domani l’assemblea del Pd di Salerno dovrebbe sanare le irregolarità nella commissione di garanzia locale (quella che ha sospeso Franco Alfieri dopo l’arresto, con Misiani pronto a sospenderlo di nuovo in caso di problemi “tecnici). Questa storia potrebbe portare al commissariamento anche del Pd della città-feudo di De Luca. Ma si vedrà, dopo le Regionali.
In Falciano di Carinola nel 1945 – Uccise il vicino perché la cavalla aveva pascolato sul suo terreno/ La sua condanna fu a 18 anni di reclusione – L’accusa sostenuta da Luigi De Magistris nonno dell’ex sindaco di Napoli
di Ferdinando Terlizzi
I Carabinieri della stazione di Falciano di Carinola il 22 marzo del 1945 riferivano che si era presentato nei loro uffici l’agricoltore Angelo Gerardi ed aveva riferito che in contrada Scorticavacca dell’agro di Falciano quella stessa mattina l’agricoltore Giuseppe Taglialatela, aveva ucciso, con due colpi di fucile, il suo vicino di fondo Francesco D’Amico. Mentre il D’Amico era intento ad arare il proprio terreno fu fatto segno da parte del Taglialatela di 2 colpi di fucile che provocarono la morte quasi immediata. Commesso il delitto il Taglialatela si dava alla latitanza asportando l’arma omicida. Dalla perquisizione in casa D’Amico si rinvenne un fucile a due canne calibro 16 carico di 3 cartucce, la canna sinistra presentava “annerimento” di polvere e a parere del maresciallo dei carabinieri da recente esplosione. Le indagini a riguardo accertarono che nella sera precedente al delitto, il D’Amico era stato a caccia insieme con Michele e Raffaele Iovine e aveva esploso contro un volatile un colpo di fucile. La moglie dell’ucciso Giuseppina Fiorellino si costituì parte civile mentre la Sezione Istruttoria della Corte di Appello di Napoli con sentenza il 22 marzo ’47 – su conforme requisitoria del pubblico ministero – rinviò al giudizio dalla Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere il Taglialatela per rispondere del reato di omicidio premeditato aggravato. Il Taglialatela, che si era dato alla latitanza, venne arrestato il 24 febbraio 1948 e la causa fu discussa all’udienza del 2 febbraio ‘49 in presenza dell’imputato.
Nel corso del processo il pubblico ministero d’udienza chiese la condanna del Taglialatela per omicidio volontario a 30 anni di reclusione e l’avvocato Ciro Maffuccini, in difesa del Taglialatela, avanzò la richiesta della scriminante della provocazione e la concessione delle attenuanti generiche e non già una legittima difesa sia pure putativa. In effetti la tesi della legittima difesa non fu sostenuta con effettiva insistenza tanto è vero che la parte civile – rappresentata dal professor Alberto Martucci – mise più volte in risalto il fatto che non era credibile la tesi secondo la quale il Francesco D’Amico si sarebbe abbassato per prendere il fucile. La Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere (Presidente Ignazio Lagrotta; giudice a latere, Domenico Musicco; Procuratore Generale, Luigi De Magistris (nonno dell’ex sindaco di Napoli), dopo le arringhe della parte civile sostenute dagli avvocati Cesare di Benedetto e dal professor Alberto Martucci e quelle della difesa dell’imputato Ciro Maffuccini e Giuseppe Fusco, nell’udienza del 26 febbraio del 1949, condannò l’imputato a 18 anni di reclusione.
Non solo fu quindi accertato il pascolo doloso ma si seppe, finanche, che il D’Amico era vittima della prepotenza del Taglialatela che non si dimentichi – aveva già commesso un altro omicidio.
Fonte: Ferdinando Terlizzi – I processi de la cronaca – Inedito (in pubblicazione per l’anno 2026)
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