Scemare

sce-mà-re (io scé-mo)

Significato Diminuire, calare di intensità, quantità e simili

Etimologia attraverso l’ipotetica voce del latino parlato exsemare, dall’aggettivo tardo semus ‘mezzo’, da semis ‘metà’.

  • «La pioggia sta scemando, approfittiamone!»

È una parola che qualche prurito lo dà: alla festa gli amici non scemano quando fanno idiozie, ma quando via via se ne vanno. Però ecco, questa è l’occasione per capire che anche lo scemo è più raffinato di quanto l’uso serrato non suggerisca — rendiamocene conto, di quando pranziamo al volo con  di un certo pregio.

‘Scemare’ significa ‘diminuire’, anzi propriamente ‘dimezzare’. Infatti la sua base è la famosa parola latina semis, che significa ‘metà’, che in epoca tarda produce l’aggettivo semus, cioè ‘mezzo’. Secondo l’etimologia si ricostruisce come nel latino parlato quest’ultimo abbia dato origine a un exsemare da cui sarebbe nato il nostro ‘scemare’.

Diciamolo qui: è dallo scemare che viene lo scemo —  un non intero, e quindi un giudizio, un senno, un intelletto ammezzato. Un’immagine con una finezza e una potenza  che si stagliano bene sulle immagini prestate da parole colleghe, come l’espressione imbalordita dello stupido, la povertà commiserata del , il profilo  dell’idiota, e perfino la sottile, complessa compromissione della fermità dell’.
È una mancanza piena di , quella dello scemo, che è stata raccolta con particolare vigore d’uso dopo il Duemila, e di cui è importante conservare anche lo spazio originale. Quando Dante, appena rivista Beatrice al sommo del Purgatorio nel XXX canto, si volta verso Virgilio, dice «Ma Virgilio n’avea lasciati scemi / di sé, Virgilio dolcissimo patre, / Virgilio a cui per mia salute die’mi»: se n’è andato senza dire , lasciandoci privi di lui, Virgilio dolcissimo padre, a cui, dice il poeta, mi diedi per la mia salvezza.

Ora, lo scemare è stato un ‘diminuire’ esplorato dalla lingua comune in ogni senso possibile e immaginabile — il fatto che sia una parola ereditaria, di tradizione popolare, significa che ha subito qualche  ma ha letteralmente migliaia di anni sulle spalle, di uso e di sperimentazioni. Però oggi, anche col fatto che da verbo popolare si è fatto più ricercato, è diventato un ‘diminuire’ d’uso più particolare.
Certo, è un diminuire di intensità, energia, quantità e via dicendo, ma prospera in un certo impressionismo percettivo, verte nelle zone dell’ anche quando è chiaro.

Scema il vento all’improvviso, dandoci ; scemano forza e concentrazione a fine giornata; scema la folla dopo il  della sera; scema l’autorevolezza dell’istituzione che si lascia ; scema il dolore, col tempo.
Non ha quell’allentamento, quel moto sospeso verso il basso proprio del calare, non è un ridurre geometrico, resecato o ristretto, né un diminuire che confronti il suo meno su una scala. Più che del , ha il profilo dello svaporare, del venir meno, del disperdersi. Un  di grande, incorporea eleganza.

Che sorte complessa: parola di popolarità remota e , che si fa fine e ricercata con una sfumatura d’inafferrabilità, pur nella vicinanza con una delle ingiurie più piane e a buon mercato che abbiamo, la quale però  a sua volta a una metafora di rara  poetica. Il basso è alto, l’alto è basso.