Georgia verso l’Europa, sarà la nuova Danzica?* di Vincenzo D’Anna*

Con meno di quattro milioni di abitanti, lo Stato della Georgia occupa uno spazio di poco più piccolo dell’Austria. Si trova a metà strada tra i territori della Federazione Russa ed il Mar Nero confinando con Turchia, Armenia ed Arzebaigian. Una posizione di “frontiera” tra Europa ed Asia, a dir poco nevralgica per i progetti e gli appetiti di Putin il quale – come dimostra anche l’aggressione all’Ucraina – non disdegnerebbe certo di estendere la potenza geo politica di Mosca anche in quella direzione. Insieme ad un altro piccolo paese, la Moldavia (inglobata nell’Urss stalinista alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale), pure la Georgia ha stipulato un’intesa con l’Ue per divenirne un membro a tutti gli effetti di quella storica Unione. Intesa uscita parzialmente indebolita dall’esito delle ultime elezioni politiche che hanno visto uscire vincitore il partito di governo, “Sogno georgiano”, considerato più vicino agli interessi della Russia (che occupa militarmente circa il 20% del Paese), contro la coalizione delle opposizioni filo-europeista le quali, però, hanno contestato l’esito del voto giudicandolo fraudolento, fino a definire i dati “falsificati” e le elezioni “rubate”. Insomma: una situazione caotica che però non mina il percorso per l’effettiva adesione georgiana alla comunità di Bruxelles. Ora, se mai questo si concretizzerà, l’Ue potrà operare politicamente su un versante geografico mai raggiunto prima d’ora, mettendo piede nel cuore di quella terra di confine che tanto interessa alle ambizioni del despota del Cremlino. Se poi dopo l’eventuale ingresso nell’Unione la Georgia dovesse risollevarsi dalle secche della crisi economica (come già avvenuto per tanti altri paesi dell’Est un tempo legati al blocco sovietico), questa potrebbe addirittura diventare un esempio da seguire per gli altri Stati vicini. Ed è proprio questa potenziale “attrazione”, non solo politica ed economica, ma anche militare, che solletica le brame di potenza della Russia la quale, come già avvenuto nel Donbass ucraino, potrebbe anche decidere di “riaffondare” i colpi contro il paese del Caucaso meridionale. Il termine “riaffondare” non è stato scelto a caso, dal momento che già nel recente passato la Russia ha occupato parte di quel territorio come l’Ossezia del Nord, fomentando e finanziando movimenti separatisti che hanno visto nascere realtà come l’Ossezia del Sud e l’Alpcazia, regioni-Stato resesi di fatto indipendenti dal governo di Tbilisi. Insomma, il copione è quello già noto: ovunque ha potuto farlo, Mosca ha “eccitato” le popolazioni di lingua russofona destabilizzando ed annettendo nuovi (e vecchi) territori. E c’è appunto da scommettere che semmai un giorno la Georgia dovesse diventare membro effettivo della Ue con tanto di conseguente richiesta di aderire alla Nato (l’alleanza militare dei paesi dell’Occidente), i Russi risponderanno con le armi, magari invadendo quel paese per scongiurare una presenza ostile e minacciosa ai loro confini. Magari lo faranno spacciando mendacemente il loro blitz come una nuova “operazione speciale” a scopo meramente difensivo. Insomma, per dirla tutta: un altro focolaio di guerra potrebbe ben presto accendersi da quelle parti. In fondo il piano di restaurazione della “grande Russia” ideato da Putin rientra in più vasto progetto di modifica dell’attuale forza dei regimi occidentali legati agli Usa ed al sistema di predominanza che Washington esercita sul mondo dal dopoguerra in poi. Dal 22 al 24 ottobre, a Kazan, in Russia, si è tenuto il sedicesimo vertice del BRICS (acronimo dei paesi fondatori: Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) nel corso del quale è stato ufficializzato l’ingresso dei quattro nuovi membri (Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia e Iran) nell’organismo concepito come risposta al più celebre “gruppo dei 7”, il forum intergovernativo dei sette paesi più industrializzati del blocco occidentale, nella ricerca di sintonie commerciali ed economici. Tuttavia la prospettiva di fondo di questo “G7” in salsa orientale, è quella di creare un’alternativa all’ordine mondiale esistente, con tanto di multiculturalismo e, perché no, anche di una nuova moneta comune (non a caso i Russi hanno proposto l’adozione di una moneta informatica). L’intento però è anche e soprattutto quello di approfittare degli sconquassi guerreschi e dell’attuale debolezza politica e di leadership degli States, invischiati nelle incerte elezioni presidenziali. Elezioni che, secondo i sondaggi, vedranno un risultato al fotofinish tra Donald Trump ed Kamala Harris, con la conseguente diversa impostazione politica del gigante americano a seconda se alla Casa Bianca entrerà il “tycoon” di New York oppure l’ex procuratrice californiana. Tuttavia, esito del voto a parte, quella che rischia di più è proprio la cara e vecchia Europa, la cui politica estera continua ad essere disarmata, per non dire ambigua e decisamente priva di identità. Un vaso di terracotta, insomma, tra due vasi di ferro per dirla alla Manzoni. Un esempio? La crisi Ucraina, ma anche quella Israeliana, stanno vedendo l’Europa indossare i panni del classico “sparring partner” dei pugili che si misurano sul ring della Storia del Terzo Millennio. Certo, la Ue ha il ruolo di decretare sanzioni e fornire armi a Kiev, ma tutto il peso del conflitto lo sta reggendo il popolo ucraino con l’aiuto massiccio degli armamenti americani. Lo stesso vale per l’attacco sferrato dai terroristi islamici contro Israele di cui sono stati contestati non solo il sistema politico ma anche gli stessi stili di vita (occidentali) indigesti agli jihadisti islamici marxisti. Odio che arriva a negare addirittura il diritto ad esistere di Tel Aviv. Morale della favola: mentre Bruxelles segna il passo i paesi del BRICS si stanno muovendo per saldare, tra loro, prima i rispettivi interessi economici e poi quelli militari. Un nuovo patto per essere antagonisti dell’Europa e degli Usa. Il prossimo passo? Forse sarà quello di stringere un’alleanza ancora più forte tra nazioni marxiste e nazioni confessionali. Con queste premesse la piccola Georgia rischia di diventare la nuova Danzica.

*già parlamentare