Baby omicidi, un fenomeno sociale non criminale* di Vincenzo D’Anna*
Le cronache di questi ultimi mesi sono infarcite di “nera”. Vi prevalgono tragedie che riguardano adolescenti passati al rango di assassini, di giovani sbandati che ammazzano senza alcun apparente motivo se non quello della futilità del movente. Niente a che vedere, dunque, con la criminalità organizzata. Sfilano i grani di un rosario fatto di tanti episodi sanguinosi, che originano da motivazioni banali ed occasionali, oppure dalla degenerazione di rapporti sentimentali nei quali a pagarne le spese sono soprattutto le giovani donne. Femminicidi di ragazze, molte delle quali minorenni come epilogo di storie di gelosia e di amore malsano compiute da ragazzi fragili ed insicuri, che sostanzialmente non riescono a gestire il dolore di un addio oppure il rifiuto che segue al logoramento di un rapporto. In sintesi: il malinteso senso del valore da attribuire ai sentimenti un carattere inamovibile ed eterno, come avviene per i bambini che ancora non hanno maturato il senso degli affetti ma li pretendono incondizionati e senza alcuna misura. Oppure si uccide per il gusto di scoprire cosa si provi o per impossessarsi di oggetti futili e di nessun valore venale come un paio di cuffie per lo smartphone. Insomma la banalità del crimine, l’assenza di un registro morale, di una scala di valori, di una dirittura civile, di una distorta visione della libertà senza alcuna limite e responsabilità, dell’immaturità di saper affrontare i dolori che la vita ci propone. Oscar Wilde, lo scrittore e drammaturgo irlandese, vissuto nell’era Vittoriana inglese, noto per i suoi aforismi e per aver scritto il famoso “Il Ritratto di Dorian Gray” soleva dire che “la vita è un brutto quarto d’ora fatti di momenti squisiti”. Ed è a sopportare i disagi e le pene durante quel brutto quarto d’ora che occorrerebbe educare in famiglia, nella scuola e nella società le nuove generazioni. Tuttavia così non è il messaggio che ormai passa, veloce e disinibito, accattivante superficiale ed irriflessivo, nel fiume delle notizie che scorre sui social network: uh messaggio mendace e fuorviante. Sia tra le mura domestiche che sui banchi si scuola le difficoltà, la drammaticità degli eventi che ci colpiscono ed il valore, superiore ad ogni altra cosa, della vita, sono cancellati, in favore dell’accoglienza e della tolleranza che finiscono per rappresentare l’esistenza per ogni giovane come un insieme di momenti felici, uno stile di vita nel quale sacrifici non se ne fanno e tutto è tollerato in caso di errori. La difesa ed il rispetto dei diritti di cui sono depositari anche i bambini, gli adolescenti ed i giovani, finisce per costituire una cinta muraria entro la quale nasce la mala pianta del convincimento che tutto sia un diritto, un margine di libertinaggio dovuto e che tutto sia a portata di mano. Ormai nessuno declina l’elenco degli obblighi e se si interviene si è ritenuti dei pessimi genitori, retrogradi che non hanno colto l’emancipazione ed il segno dei tempi nuovi. Quello che maggiormente colpisce nella criminalità giovanile è la violenza cinica, la circostanza che le motivazioni di base siano di tipo banale, senza alcun pathos. Solo un’affermazione di supremazia sull’altro è niente più. Rari i pentimenti, ancor di più la presa di coscienza di quel che di orrendo si è commesso, la soppressione del valore di una vita che si è spenta con un gesto criminale. Personaggi che somigliano molto a Patrice Meursault il protagonista del romanzo l’Etranger (lo sconosciuto) di Albert Camus, indifferente alla morte della madre e che uccide senza remore alcune uno sconosciuto solo perché teme di esserne aggredito, senza dunque provare rimorsi quasi fosse estraneo al gesto definitivo compiuto. Insomma quelli che erano definiti i “bamboccioni“, oggi figli del terzo millennio, si scoprono atarassici ed anaffettivi, egoisti e fragili al tempo stesso. Dietro queste storie c’è un mondo di affettività distorta, di incomunicabilità, di solitudine esistenziale, di dispersione dei legami etici che si acquisivano tra le mura di casa, con l’istruzione non disgiunta dal rigore comportamentale. Un vecchio adagio popolare recita: “Chi non ti ha mai punito non ti ha mai voluto bene”. Punizione adeguata, ovviamente, la cui funzione pedagogica insegna a distinguere il bene dal male. Se tutto, infatti, è permesso allora nulla diventa vietato, biasimato o deprecato. Ne consegue che la confusione dei ruoli in famiglia, lo sconquasso delle medesime, la fluidità morale e la permissività ad oltranza, disorientano gli adolescenti inducendoli a credere che siano padroni di una vita senza regole e responsabilità. Dietro questi drammi ricorrenti non si cela solo la violenza criminale ma il disagio di una società che rigetta ogni regola e condanna ogni dovere. Siamo anche noi i mandanti di quelle morti.
*già parlamentare