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Geremiade e Mistico le parole di oggi a cura del prof. Innocenzo Orlando
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Geremiade
ge-re-mì-a-de
Significato Sequela di lamenti e piagnistei prolissa e noiosa
Etimologia attraverso il francese jérémiade ‘sequela di lamentazioni’, dal nome del profeta biblico Geremia, celebre per le profezie nefaste, e a cui fu attribuito il Libro delle Lamentazioni.
«Non gli chiedo nemmeno com’è andata o parte con un’altra geremiade.»
Si parla di profeti: ne parleremo in maniera almeno rispettosa, no?
Il fatto che un nome abiti la religione non lo mette al riparo dal dissacrante, anzi semmai lo espone. In chiesa tutti col cappello in mano, ma fuori si può parlare male e con fantasia a piacere di un sacco di personaggi di questa saga domenicale. Figuriamoci: come abbiamo visto ai tempi, non si riparano nemmeno gli apostoli Giovanni e Giacomo, che in quanto figli di Zebedeo, fili Zebedei, hanno dato vita alla coppia eufemistica degli Zebedei. Ma ecco, la geremiade, per quanto dissacrante, si attesta su un registro raffinato.
Il detto ‘nessuno è profeta in patria’ si attaglia alla figura di Geremia in maniera tremenda. Certo non si può dire che le profezie di Geremia avessero il pregio di essere allettanti: annunciava al popolo ebraico la venuta incontrastabile di Nabucodonosor e l’esilio a Babilonia come parte di un disegno divino di castigo della corruzione di Gerusalemme e di futuro riscatto; non fu ascoltato e anzi si tramanda che finì per essere ucciso — così avrebbe finalmente taciuto. Un collega di Cassandra, insomma.
Tradizionalmente, oltre alle non rosee profezie contenute nel Libro di Geremia, gli è anche attribuito il Libro delle Lamentazioni, attribuzione probabilmente apocrifa — ma comunque verte sul medesimo argomento, su una sorte di distruzione. Facile capire perché quello stesso orecchio malizioso che ha trasmutato i figli di Zebedeo abbia fatto della geremiade una lagna. Una prolissa, noiosa, tetra sequela di lamentazioni e piagnistei, volentieri in foggia di predica. Beninteso: una roba interessantissima, per la lingua.
Infatti questo genere di discorsi è ricorrente, nella nostra vita, e troviamo importante rappresentarli in maniera calzante nei loro tratti distintivi: sono dei groppi complessi in cui si stringono moniti e riprensioni e recriminazioni, ora acri ora lacrimevoli, ragionevoli o irragionevoli ma puntualmente di un’antipatia pungente.
Abbiamo le lagne, agili e fragili, le lamentazioni stesse, larghe e con un tono solenne, perfino funereo, abbiamo la ripetitività delle litanie e delle tiritere e magari anche delle giaculatorie, il profilo sminuito del piagnisteo — e non dimentichiamo le solfe. In questo panorama, già ricco e variegato, la geremiade si distingue per altezza. Il suo riferimento non è di interpretazione immediata, non evoca direttamente lagne e lamenti e pianti; ma irriverenza a parte, il fatto che sia un riferimento biblico lo fa stagliare sul resto dei sinonimi — e quindi la geremiade tende al pomposo, e magari ha anche ambizioni moraleggianti. In questa complessità non facciamoci obnubilare dallo sprezzo: non scordiamo che comunque può essere un discorso schietto e accorato, e per quanto noioso e lungo può veicolare richieste e offerte di cura.
Così posso parlare delle continue geremiadi del vicino di casa che mentre fuma sul pianerottolo lamenta di come un tempo ci fosse più rispetto fra la gente del condominio, del discorso di commemorazione che invece di essere slanciato e vibrante si trasforma in una fiacca geremiade, delle geremiadi della nonna che non finisce mai di raccomandarsi e di ricordare che cos’è successo quando non è stata ascoltata.
Ha il pregio di essere di una cultura alta ma popolare, come tanta parte della cultura biblica. Ha il pregio di essere chiara e affilata ma non spiattellata e vile. Ha il carattere, come tutte le parole che nascono da un nome di persona o personaggio, di non rendergli giustizia.
Si parla di profeti: ne parleremo in maniera almeno rispettosa, no?
Il fatto che un nome abiti la religione non lo mette al riparo dal dissacrante, anzi semmai lo espone. In chiesa tutti col cappello in mano, ma fuori si può parlare male e con fantasia a piacere di un sacco di personaggi di questa saga domenicale. Figuriamoci: come abbiamo visto ai tempi, non si riparano nemmeno gli apostoli Giovanni e Giacomo, che in quanto figli di Zebedeo, fili Zebedei, hanno dato vita alla coppia eufemistica degli Zebedei. Ma ecco, la geremiade, per quanto dissacrante, si attesta su un registro raffinato.
Il detto ‘nessuno è profeta in patria’ si attaglia alla figura di Geremia in maniera tremenda. Certo non si può dire che le profezie di Geremia avessero il pregio di essere allettanti: annunciava al popolo ebraico la venuta incontrastabile di Nabucodonosor e l’esilio a Babilonia come parte di un disegno divino di castigo della corruzione di Gerusalemme e di futuro riscatto; non fu ascoltato e anzi si tramanda che finì per essere ucciso — così avrebbe finalmente taciuto. Un collega di Cassandra, insomma.
Tradizionalmente, oltre alle non rosee profezie contenute nel Libro di Geremia, gli è anche attribuito il Libro delle Lamentazioni, attribuzione probabilmente apocrifa — ma comunque verte sul medesimo argomento, su una sorte di distruzione. Facile capire perché quello stesso orecchio malizioso che ha trasmutato i figli di Zebedeo abbia fatto della geremiade una lagna. Una prolissa, noiosa, tetra sequela di lamentazioni e piagnistei, volentieri in foggia di predica. Beninteso: una roba interessantissima, per la lingua.
Infatti questo genere di discorsi è ricorrente, nella nostra vita, e troviamo importante rappresentarli in maniera calzante nei loro tratti distintivi: sono dei groppi complessi in cui si stringono moniti e riprensioni e recriminazioni, ora acri ora lacrimevoli, ragionevoli o irragionevoli ma puntualmente di un’antipatia pungente.
Abbiamo le lagne, agili e fragili, le lamentazioni stesse, larghe e con un tono solenne, perfino funereo, abbiamo la ripetitività delle litanie e delle tiritere e magari anche delle giaculatorie, il profilo sminuito del piagnisteo — e non dimentichiamo le solfe. In questo panorama, già ricco e variegato, la geremiade si distingue per altezza. Il suo riferimento non è di interpretazione immediata, non evoca direttamente lagne e lamenti e pianti; ma irriverenza a parte, il fatto che sia un riferimento biblico lo fa stagliare sul resto dei sinonimi — e quindi la geremiade tende al pomposo, e magari ha anche ambizioni moraleggianti. In questa complessità non facciamoci obnubilare dallo sprezzo: non scordiamo che comunque può essere un discorso schietto e accorato, e per quanto noioso e lungo può veicolare richieste e offerte di cura.
Così posso parlare delle continue geremiadi del vicino di casa che mentre fuma sul pianerottolo lamenta di come un tempo ci fosse più rispetto fra la gente del condominio, del discorso di commemorazione che invece di essere slanciato e vibrante si trasforma in una fiacca geremiade, delle geremiadi della nonna che non finisce mai di raccomandarsi e di ricordare che cos’è successo quando non è stata ascoltata.
Ha il pregio di essere di una cultura alta ma popolare, come tanta parte della cultura biblica. Ha il pregio di essere chiara e affilata ma non spiattellata e vile. Ha il carattere, come tutte le parole che nascono da un nome di persona o personaggio, di non rendergli giustizia.