La fimosi europea (di Stelio W. Venceslai)

 

 

Quando abbiamo votato per le elezioni europee? Dal 6 al 9 giugno 2024. Sono passati quasi sei mesi e l’Unione europea è ancora senza testa. Ad oggi, non c’è ancora una Commissione ed è in forse la stessa composizione dell’Esecutivo concepito dalla von der Layen.

Trump diventerà Presidente degli Stati Uniti fra un paio di mesi, ma ha già un governo quasi fatto, scegliendo gli uomini che gli servono. E l’Europa vorrebbe competere con gli Stati Uniti?

Francia e Germania sono in crisi profonda. L’Europa va peggio. In un momento così delicato, con due guerre principali in corso (Ucraina e Medio Oriente) e un’altra cinquantina minori in tutto il pianeta, con il cambio di passo in America e l’avvento dei Nordcoreani in Ucraina, con l’Iran stretto tra la voglia di emergere e i limiti della sua potenza, non c’è da stare allegri.

L’Unione europea è sull’orlo dell’abisso. Non è determinante, perché non ha politica, è la grande assente sul piano internazionale, ma è anche un grande vuoto che coinvolge tutti noi, volenti o nolenti.

Paradosso dei paradossi, in Europa l’Italia è l’unica ad avere un governo stabile, insidiata da beghe di provincia (ex beghe da parrocchia) da quattro soldi, ma stabile. L’Italia potrebbe essere il vettore della nuova amministrazione Trump.

Alcuni segnali sono importanti. Elon Musk, il pupillo miliardario di Trump, ha una relazione di amicizia con la Meloni, che ha incoronato come la donna più importante dell’anno.

Elon Musk è presente in Italia al punto da giudicare uomini e cose, sollevando un vespaio. Ma può farlo, perché nella sua posizione è intoccabile. Qualcuno potrebbe anche dire, magari sottovoce, che dopo tutto ha pure ragione a criticare la nostra magistratura.

Risvegliare il nazionalismo e rivendicare la sovranità per difendere un sistema difettoso può farlo la Schlein, che si attacca a tutto pur di attaccare la Meloni, ma è cosa tristemente inutile. Vogliamo fare la guerra all’America per le dichiarazioni di Musk?

Il fatto vero è che l’Italia, oggi, si trova in una posizione preferenziale nei disegni della nuova politica trumpiana ed ha, lo ripeto, l’unico governo stabile in Europa. Dobbiamo rendercene conto.

La crisi politica europea, secondo me inevitabile, porterà o alla rinuncia della von der Layen, il cui programma è stato già approvato dal Parlamento europeo o, se ne ha il coraggio, verso una nuova composizione dell’Esecutivo, spostandosi da centrosinistra a centrodestra. Non vedo altre soluzioni. In questo momento sembra che la Spagna, l’unico governo socialista, sia a guidare il gioco. Non potrà essere determinante.

Se la von der Layen dovesse abbandonare la partita, la ricomposizione di un Esecutivo europeo, dopo i colloqui Macron-Draghi, farebbe supporre che solo quest’ultimo abbia le chances per guidare un’Unione europea totalmente diversa. Un compito veramente difficile.

D’altro canto, o si fa un salto di qualità, come auspicato dai rapporti Letta e Draghi, oppure ne verrà fuori il solito pateracchio che non darà certo le ali al rinnovamento dell’Unione.

In realtà, occorre avere il coraggio di ridisegnare le regole che disciplinano l’Europa. Il principio dell’unanimità delle decisioni è una follia paralizzante, come lo è il balbettio fra le Istituzioni comunitarie. Si è perso troppo tempo nelle discussioni e nelle complicazioni burocratiche tra ventisette Paesi diversi, la vera fimosi europea.

L’Unione europea non è uno Stato, non è una Federazione e neppure una Confederazione di Stati. È un corpo molle e massiccio, con un cappottaccio sgualcito e un po’ liso, dopo più di un mezzo secolo, che non ripara dal freddo e non serve a coprire le debolezze dell’Occidente europeo.

Rispetto a chi ci ha creduto, poi, queste non sono debolezze, ma incapacità che hanno portato all’impotenza.

Un libro recente di Federico Rampini “Grazie, Occidente!”, ricorda agli sciocchi, agli ignari ed agli Europei di quale fondamentale importanza sia stato il contributo della civiltà occidentale al mondo che, oggi, minaccia di sommergerci.

C’è un futuro immanente, pieno d’insidie, climatiche e sociali, politiche e tecnologiche, che solo strutture stabili e forti potranno gestire, nell’interesse di tutti. Un’Europa traballante è fuori da questa competizione fra Cina, Russia e Stati Uniti.

Qual è il nostro interesse? Entrare in questa competizione. L’alternativa è la morte per burocrazia e veti incrociati. Ottocentesche contese verbali.

La politica italiana è a una svolta importante. Si dà troppa importanza alle elezioni regionali, alla questione albanese, al permanente conflitto con la Magistratura. Di fronte alle grandi questioni che determineranno l’evoluzione mondiale (penso, ad esempio, alla crescente importanza dei BRICS) sono questioni secondarie, da bassa cucina. Trascurabili.

Credo, invece, che la questione di Fitto come vice Presidente esecutivo dell’Unione sia importante, non solo per il ruolo dell’Italia come Paese fondatore (un refrain inutile) ma come rappresentante di un Paese che potrebbe diventare fondamentale per il nuovo, auspicabile assetto europeo.

Bene ha fatto il Presidente della Repubblica a riceverlo e a indicare in lui le speranze di una nostra decisiva presenza nel contesto europeo in evoluzione. Fitto non è l’uomo che deve difendere i nostri interessi. C’è già un governo per farlo. Deve fare gli interessi di tutta la Comunità, questo deve essere ben chiaro e in questo senso si è espresso davanti al Parlamento europeo.

Il compito che spetta alla Meloni non sarà agevole, ma è un’occasione unica nella storia del nostro tormentato continente. Stupisce che l’opposizione non lo capisca e in tutti i modi cerchi di contrastare questi possibili sviluppi.

L’interesse per l’Italia dovrebbe prevalere su qualunque banale competizione elettorale.