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Minacce a Report: «Meritereste una punizione stile Charlie Hebdo»

15 November, 2024

«Agghiaccianti minacce arrivate alla redazione di Report dopo il servizio sul conflitto tra Israele e Palestina realizzato da Giorgio Mottola». Lo ha denunciato il conduttore di Report, Sigfrido Ranucci, con un post pubblicato sul suo profilo Facebook martedì 12 novembre 2024.

Ranucci ha proseguito riportando il contenuto del messaggio intimidatorio: «”Vi dovreste vergognare per l’ignobile servizio anti Israele della scorsa settimana. Pulizia etnica da parte dell’esercito israeliano a Gaza!? La meritereste Voi, stile redazione di Charlie Hebdo”, evocando l’attentato del 17 gennaio 2015, quando un commando di due uomini armati con fucili d’assalto Kalashnikov fece irruzione nei locali della sede del giornale durante la riunione settimanale di redazione, sparando sui presenti. Furono uccise dodici persone, tra le quali il direttore Stéphane Charbonnier detto Charb, diversi collaboratori storici del periodico (Cabu, Tignous, Georges Wolinski, Honoré) e due poliziotti».

Il giornalista ha chiuso il post comunicando che «l’episodio è stato segnalato ai poliziotti della mia scorta».

Sull’accaduto è intervenuto anche il presidente della Fnsi, Vittorio Di Trapani, con un post su X: «Gravissime e inquietanti le minacce alla redazione di @reportrai3. Bisogna fermare questo clima di odio. I giornalisti non fanno altro che il proprio lavoro: il diritto e il dovere di raccontare, nell’interesse esclusivo dei cittadini».

Secondo quanto riportato in serata dall’agenzia Ansa, la questura di Roma ha proceduto ad acquisire la mail con le minacce a Report.

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Agcom, faro sul diritto di cronaca dopo il caso delle immagini di Roma – Udinese

14 November, 2024

L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha istituito un tavolo tecnico per discutere gli attuali regolamenti in materia di cronaca sportiva, con particolare riferimento alle modalità di confezionamento delle immagini da mettere a disposizione degli operatori della comunicazione e di esercizio del diritto di cronaca.

L’iniziativa è stata adottata ad esito dell’istruttoria avviata su proposta del presidente, in relazione all’incontro Roma-Udinese del 22 settembre 2024, volta ad accertare l’adeguata copertura delle immagini della protesta dei tifosi della Roma.

Nel corso del procedimento, è stato appurato che la manifestazione di protesta dei tifosi della Roma era stata correttamente ripresa dalla Lega Nazionale Professionisti Serie A (Lnpa) e messa a disposizione degli operatori della comunicazione ai fini dell’esercizio del diritto di cronaca come previsto dal decreto Melandri, non configurando quindi alcuna violazione della normativa vigente.

Nonostante questo, per meglio approfondire alcune delle sollecitazioni mosse dagli operatori dell’informazione, il Consiglio dell’Agcom, con voto contrario della commissaria Giomi, ha deciso di avviare il tavolo tecnico al quale parteciperanno le Leghe sportive professionistiche, l’Ordine Nazionale dei Giornalisti, la Federazione Nazionale della Stampa Italiana e le principali associazioni di categoria dell’emittenza radiotelevisiva nazionale e locale.

«Una importante vittoria di chi da anni lotta per affermare il diritto di cronaca negli eventi sportivi», commenta il presidente della Fnsi, Vittorio di Trapani, che sul social Threads ringrazia il presidente Lasorella e i commissari Agcom per aver accolto la richiesta di istituire il tavolo tecnico. «Dopo anni di denunce, finalmente qualcosa si muove», conclude.

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Statuto Inpgi, il Tar accoglie le tesi della Fnsi

13 November, 2024

È competente il giudice civile a valutare la legittimità del nuovo Statuto dell’Inpgi – Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani ‘Giovanni Amendola’. Lo ha deciso il Tar del Lazio con una sentenza nella quale ha riunito due specifici ricorsi proposti da Pierluigi Roesler Franz, in qualità di iscritto all’Inpgi come giornalista professionista in pensione e di componente del collegio sindacale del medesimo Ente, e dalla Figec – Federazione Italiana Giornalismo Editoria Comunicazione.

Con i ricorsi in questione si contestavano gli atti con i quali si è perfezionato l’iter di approvazione del nuovo Statuto e sono state indette le elezioni per il rinnovo degli organi collegiali dell’Istituto, sostenendo: che lo Statuto dell’ente discriminerebbe la Figec-Cisal in favore della Fnsi, giacché la formulazione letterale di alcune sue disposizioni riserverebbe l’accesso alle cariche elettive dell’Istituto agli iscritti della seconda e, viceversa, lo precluderebbe agli iscritti della prima; la delibera d’indizione delle elezioni contrasterebbe con la legge e con il nuovo Statuto giacché tra l’altro l’interruzione notturna del voto online comprimerebbe ingiustificatamente il diritto di voto degli iscritti all’estero e la data di svolgimento delle elezioni discriminerebbe i giornalisti già andati in pensione.

Il Tar ha ritenuto fondata l’eccezione d’inammissibilità dei ricorsi per difetto di giurisdizione, riguardo al motivo di ricorso attinente alle prospettate illegittimità che concernerebbero il procedimento elettorale di rinnovo degli organi collegiali dell’Inpgi. Al riguardo i giudici hanno ritenuto di non discostarsi dal consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo il quale «la giurisdizione in materia di procedimento elettorale degli Enti previdenziali privatizzati appartiene al giudice ordinario».

Riguardo, poi, all’altro tema sollevato, ovvero quello attinente al paventato carattere discriminatorio di alcune disposizioni dello Statuto adottato dal commissario ad acta con l’approvazione dei ministeri vigilanti, il Tar, precisando come nello specifico il carattere discriminatorio consisterebbe nel fatto che le stesse disposizioni non contemplano espressamente la Figec tra gli enti di categoria, ha rilevato come «la difesa erariale ha escluso il carattere discriminatorio delle disposizioni, sostenendo diffusamente che la corretta interpretazione delle stesse (e quindi dell’approvazione ministeriale) sta nel ritenere che la menzione expressis verbis tra le associazioni di categoria soltanto della Fnsi e delle Associazioni Regionali di Stampa sia avvenuta per ragioni di carattere meramente esemplificativo»; e «nella stessa linea di pensiero si colloca, a ben vedere, anche la linea difensiva dell’Inpgi».

Interpretazione, questa, che secondo i giudici «è da ritenersi già satisfattiva della domanda di giustizia proposta dagli odierni ricorrenti».

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Nuovo accordo tra Casagit Salute e SMI per la Campania: al via il “Poliambulatorio diffuso”

13 November, 2024

Attivo in Campania il primo “Poliambulatorio Diffuso” a livello nazionale grazie all’accordo tra Casagit Salute società di mutuo soccorso per le prestazioni sanitarie dei giornalisti italiani, attiva dal 1974 e il Sindacato dei Medici Italiani (SMI).

Firmato stamane nella sede napoletana della Casagit dai vertici nazionali delle due organizzazioni, frutto di una visione comune, che ha come obiettivo la sperimentazione di un modello di assistenza sanitaria più capillare, che consenta di migliorare l’accesso alle prestazioni per gli assistiti di Casagit Salute.

Grazie all’intesa, una serie di medici professionisti, presso le loro strutture, presenti sul territorio campano applicheranno delle tariffe fortemente scontate per le visite specialistiche e prezzi convenzionati per gli esami strumentali non solo ai giornalisti ma a tutti gli iscritti alla Casagit.

“La convenzione e l’accordo quadro sottoscritto oggi con il Sindacato dei medici italiani aprono interessanti prospettive”. Ha sottolineato il presidente di Casagit Salute Gianfranco Giuliani. “Oltre ad avere esteso agli iscritti allo Smi l’assistenza sanitaria integrativa riservata in passato esclusivamente ai giornalisti e ai loro familiari, consentono infatti l’avvio della prima esperienza in Italia di poliambulatorio diffuso, con il coinvolgimento di un nucleo di specialisti che operano nel territorio campano e il cui numero potrà essere aumentato in futuro. Una formula, per altro, che potrà essere riproposta in altre aree del Paese, per rendere sempre più capillare e di prossimità la presenza di Casagit Salute accanto ai propri soci e assistiti”.

L’accordo stipulato prevede anche delle giornate di prevenzione gratuita per gli iscritti per una serie di patologie maggiormente diffuse tra la popolazione. Un primo esperimento, quello campano, che potrà essere declinato successivamente anche in altre realtà italiane grazie all’accordo nazionale Casagit e Sindacato Medici Italiani.

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Cdr della Tgr Campania e Coordinamento Tgr Usigrai: fare informazione è sempre più difficile

13 November, 2024

Il Sindacato unitario giornalisti della Campania condivide quanto affermato nel comunicato ed esprime solidarietà.
Da mesi fare informazione nella sede Rai in Campania è più difficile: tre unità di personale in forza alla segreteria di produzione sono andate in pensione senza essere sostituite. Un’altra unità è prossima all’uscita per raggiunti limiti di età. I compiti che svolgevano sono stati ripartiti sul carico di lavoro degli impiegati di produzione rimasti in servizio ed è accaduto più volte che l’ufficio sia rimasto sguarnito, costringendo i giornalisti di line a dover reperire troupe in appalto per esigenze legate alla cronaca.
Apertura di un avviso di selezione per l’assunzione di assistenti di redazione nelle diverse sedi della Rai avrebbe potuto dare una boccata di ossigeno alla redazione, ma l’azienda intende assegnare una sola unità alla Campania per far fronte alle esigenze che sono diventate emergenze.
Rimpinguare l’organico con una sola unità è assolutamente insufficiente, anche in considerazione del personale impiegato negli uffici di produzione di sedi omologhe. Preoccupa che il perdurare di questo vuoto di organico possa incidere in termini di qualità, precisione, rispondenza agli standard del servizio pubblico radiotelevisivo, su tutte le produzioni informative messe in onda dalla sede campana.
Chiediamo con forza il ripristino della pianta organica di cui l’ufficio di produzione della TgR Campania si è dotato fino al gennaio 2022, e cioè 11 unità di personale.

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Rai, Costante al presidio dei giornalisti precari: «Una lotta che deve essere di tutti»

12 November, 2024

«La Federazione nazionale della Stampa italiana è al vostro fianco come è stata, è e sarà al fianco di tutti i colleghi precari. Perché il precariato è una questione nazionale, è il più forte bavaglio alla libertà di informazione». Così Alessandra Costante, segretaria generale della Fnsi, intervenendo martedì 12 novembre 2024 a Roma al presidio convocato dai giornalisti precari della Rai a viale Mazzini.

«Le vostre testimonianze – ha aggiunto – sono le stesse che sento ripetere ormai da anni fuori dalla Rai. La flessibilità ad ogni costo ha portato via la vita a decine di migliaia di giovani lavoratori. Su questo dobbiamo portare avanti una lotta che deve essere di tutti, che riguardi la Rai come i quotidiani, dove da anni il lavoro è stato appaltato all’esterno, dove si fa dumping tra lavoratori. Non c’è solo il finanziamento alla Rai, il taglio del canone, il fatto che non ci siano risorse certe per il servizio pubblico, al contrario di quello che prescrive il Media freedom act. La precarietà riguarda tutti. Tutta l’informazione ha bisogno di risorse».

Costante ha poi ricordato che «negli anni la Fnsi ha costituito coordinamenti dei precari nelle testate dei principali gruppi editoriali. Un lavoro che ha dato grandi risultati. Nel 2019 è stato firmato un accordo fra Rai, Usigrai e Fnsi per stabilizzare i colleghi. È da quello che dobbiamo ripartire. Noi oggi siamo al tavolo con gli editori per ridare dignità al lavoro dei giornalisti e risorse nelle tasche dei colleghi. Invece gli editori chiedono contratti più leggeri per i nuovi assunti: ancora dumping contrattuale e generazionale. Questo – ha concluso – non fa bene all’informazione e non fa bene al servizio pubblico».

Il presidio, davanti alla sede Rai, è stato animato dai giornalisti che lavorano nei principali programmi di informazione della tv pubblica, ma non hanno il contratto di lavoro giornalistico: autori, programmisti registi, programmisti multimediali, ‘artisti’, alcuni dei quali hanno raccontato la loro storia – che è la storia di troppi giornalisti italiani – sventolando cartelli come ‘Giornalisti di fatto senza giusto contratto’, ‘Stop al precariato’ , ‘Stop programmisti senza giusto contratto’, ‘Né ferie né maternità ecco la denatalità’.

«Senza il contratto giornalistico – hanno detto – non c’è libertà e dignità per i giornalisti della Rai. Chiediamo la riapertura immediata del tavolo di trattative che riconosca il contratto giornalistico a chi tutti i giorni fa informazione in Rai, come avvenne nel 2019 con l’accordo del ‘giusto contratto’».

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ESTERICharlie HebdoFranciaIntervisteIsisServizi segretiTerrorismo

Charlie Hebdo, parte il processo per la strage in redazione. «Anche quell’attacco svelò le falle dell’intelligence europea: indebolito l’Isis, oggi siamo più sicuri» – L’intervista

02 Settembre 2020 – 08:31 Riccardo Liberatore

L’attentato al settimanale satirico francese ha segnato l’inizio di una nuova sanguinosa stagione di attacchi terroristici. Ma negli ultimi anni sono diminuiti sia di numero sia di intensità

Il 7 gennaio 2015 verso le 11:30, due fratelli, Saïd e Chérif Kouachi, si sono introdotti negli uffici del settimanale satirico francese, Charlie Hebdo a Parigi dove hanno ucciso 12 persone e ne hanno ferite altre 11. In seguito si sono identificati come appartenenti al gruppo terroristico islamico al-Qaeda, che si è assunto la responsabilità dell’attacco. A distanza di oltre cinque anni, oggi, mercoledì 2 settembre, inizia il processo alle 14 persone accusate di aver aiutato gli attentatori.

Alla vigilia del processo, la rivista ha ripubblicato la stessa vignetta che li rese un bersaglio nel 2015. Emmanuel Macron ha difeso la loro scelta. «In Francia c’è libertà di blasfemia», ha dichiarato il presidente francese da Beirut. All’attacco a Charlie Hebdo ne sono seguiti altri, ancora più sanguinosi, come l’attentato al teatro del Bataclan il 13 novembre 2015 o quello di Bruxelles nel 2016.

Per il direttore editoriale di Charlie Hebdo, Laurent “Riss” Sourisseau, rimasto ferito nell’attacco, «l’odio che ci ha colpito è ancora lì e, dal 2015, ha avuto il tempo di mutare, cambiare aspetto, passare inosservati e continuare silenziosamente la sua spietata crociata». Eppure non ci sono più stati attentati come quelli del Bataclan o della stazione della metropolitana di Maelbeek in Belgio. Cosa è cambiato? Ne abbiamo parlato con Raffaele Marchetti, docente di relazioni internazionali alla Luiss.

L’attentato a Charlie Hebdo ha catalizzato una nuova politica di antiterrorismo? 

«Non direi che quello di Charlie Hebdo sia stato più impattante del Bataclan o di altri attentati – anche se di certo ha avuto un forte valore simbolico. Complessivamente è chiaro che questi attentati in qualche modo hanno sollecitato una reazione più efficace degli apparati di sicurezza e dell’intelligence dei paesi coinvolti, facendo emergere delle falle clamorose come nel caso dell’attento in Belgio».

In che modo? 

«Hanno permesso di ricostruire le catene nazionali e internazionali di contatti, le modalità attraverso le quali i terroristi si sono radicalizzati e quindi sono stati portati al martirio. Di fatto questi attacchi terroristici sono stati particolarmente importanti perché hanno fatto vedere un tipo di radicalizzazione diversa: mentre l’adesione ad Al-Qaeda richiedeva anni di preparazione e coinvolgeva persone con un profondo spirito religioso, gli ultimi attentati sono stati compiuti da soggetti radicalizzati in pochi mesi o addirittura settimane, di solito provenienti da situazioni di estrema marginalizzazione e che attraverso il terrorismo – e quello che loro considerano un gesto “eroico” – cercavano di dare un senso alla propria vita. Ogni attentato lascia delle tracce che poi la buona intelligence è in grado di seguire».

Dunque oggi siamo effettivamente più sicuri? 

«Se dovessi dare una risposta molto semplice direi che il motivo principale per cui c’è stato un calo negli attentati ha a che fare con il depotenziamento dello stato dell’Isis in Iraq e Siria. Questi attentati avevano un significato simbolico e politico che serviva a creare un’escalation con l’Occidente finalizzata a rafforzare le campagne di proselitismo: quanto più ci si mostrava capaci di attaccare l’impero del male – l’Occidente, l’Europa, gli Stati Uniti ecc. – tanto più “a casa”, si diventava forti. Venuto meno lo Stato Islamico – anche se non del tutto eliminato – assistiamo a una minore pressione sulle varie cellule sparse in Europa. Parallelamente, è sicuramente aumentata la capacità di prevenzione dell’intelligence».

ANSA | Il settimanale satirico francese Charlie Hebdo ripubblica le caricature di Maometto che ne avevano fatto un bersaglio del terrorismo islamico, 01 settembre 2020

Gli attacchi non sono finiti del tutto. Come mai? Ha senso parlare di lupi solitari?

«Certo non sono scomparsi, ma mi sembra che oggi il numero di attacchi non sia comparabile con quello di qualche anno fa. Da un lato rimane, anche se molto indebolito, un legame con i gruppi di estremisti, dall’altro il livello di radicalizzazione è stato molto forte – in qualche modo anche a causa della grande mediatizzazione che questi attacchi hanno avuto, cosa che ha finito per promuovere il reclutamento. Oggi la radicalizzazione è entrata nella società: c’è chi rimane dormiente, in una sorta di fase grigia di radicalizzazione a metà tra il simpatizzante e l’atto di sacrificio estremo. Un soggetto simile, in determinate circostanze, può superare la linea rossa».

Il ritorno dei foreign fighters rappresenta ancora un pericolo?

«Certo, sono –  utilizzando la metafora del virus, – delle cellule patogene che si innestano in un corpo più o meno sano e lo possono contaminare. Ci sono foreign fighters che tornati si de-radicalizzano, o quantomeno si moderano, mentre altri diventano dormienti. Il problema è che quando una persona è stata ideologizzata, è molto difficile che venga reintegrata nella società».

C’è chi fa notare che i suprematisti bianchi rappresentano una minaccia più grande rispetto al terrorismo di matrice islamica. Cosa ne pensa?

«La caratterizzazione del profilo del terrorismo è purtroppo affetta da un fortissimo etnocentrismo, se non addirittura razzismo. Mentre il terrorista islamico è subito considerato un terrorista, l’attentatore di estrema destra rimane un pazzo, un criminale, e molto raramente viene classificato come terrorista. Si tratta di un fenomeno abbastanza noto, anche se non arriva al dibattito pubblico. Ora, che i terroristi di estrema destra, bianchi, occidentali, possano rappresentare una minaccia maggiore per alcuni gruppi – come per esempio per la comunità degli ebrei in Europa e negli Stati Uniti – è certamente vero. Possono anche rappresentare una minaccia molto seria contro la democrazia occidentale – lo abbiamo visto due giorni fa con l’assalto al Bundestag a Berlino. Ma direi che, con qualche eccezione, il numero di vittime di attacchi di questo tipo è stato minore».

Abbiamo rinunciato a troppe libertà individuali in nome della sicurezza? 

«È chiaro che oggi l’intelligence pratica un tipo di investigazione molto più approfondita. Ma noi stessi abbiamo concesso questo allargamento della sua sfera d’azione, questo sbilanciamento del rapporto tra sicurezza e libertà a favore della sicurezza, che è avvenuto ovviamente come risposta agli attacchi terroristici, e come quasi ovvia conseguenza dello sviluppo tecnologico».

Giornalisti Campania
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