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Lidia Luberto intervista Gabriella Casella, presidente del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, per la rubrica “Donne in carriera” –
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Tentato omicidio durante un processo lei lanciò l’allarme
Una vita professionale molto intensa e, c’è da immaginarsi, anche piena di insidie e problemi, ma anche successi e soddisfazioni. Tra le tante esperienze, quella che l’ha segnata in modo particolare, è un episodio gravissimo che stava per verificarsi proprio sotto i suoi occhi. Presiedeva uno dei tanti processi di camorra, quello al clan Venosa, quando si accorse che un detenuto, mentre si accingeva ad entrare in gabbia insieme agli altri, con le catene che gli le-
gavano i polsi, aveva aggredito un coimputato cercando di strozzarlo. Fu un attimo conci-
tato, ma, allertati dalla stessa Gabriella Casella, gli agenti della polizia penitenziaria riuscirono a sventare l’omicidio.
Un evento inaudito: il segno della spietatezza e dello spregio verso lo Stato di quei boss della criminalità organizzata. Invece, tra le tante soddisfazioni professionali, la presidente Casella mette al primo posto l’apertura della sede del tribunale civile a Santa Maria Capua Vetere. Al suo arrivo, gli uffici erano ubicati in un edificio privato, in pessime condizioni, conosciuto da tutti come “il condominio”: bagni rotti, porte divelte, una condizione che rendeva difficile an-
che un’adeguata sorveglianza. Ciò nonostante, l’amministrazione pagava da 18 anni ai proprietari di quella struttura una importante somma per la locazione. La presidente prese tanto a cuore la vicenda che riuscì a sbloccare i lavori di ristrutturazione dell’ex caserma “Fiore”, destinata ad ospitare il tribunale, che erano fermi da anni. Quindi, impegnandosi con determinazione fra mille difficoltà e intoppi, fra viaggi al ministero, sopralluoghi e burocrazia, nel 2019 si riuscì ad inaugurare la nuova se-
de del tribunale civile, che oggi ospita quattro sezioni, con 43 giudici e tutto il personale della cancelleria.
Tentato omicidio
durante un processo
lei lanciò l’allarme
MI PIACCIONO I PIATTI
DELLA TRADIZIONE NAPOLETANA,
MI RILASSA CUCINARE
VADO AL CINEMA CON LE AMICHE
E ADORO LA RAFFINATEZZA
DEL REGISTA DE ANGELIS
IN PRIMA LINEA
La presidente del tribunale di Santa Maria Capua Vetere Gabriella Casella nel suo ufficio
MIO PADRE DA UOMO DI SCUOLA
AVEVA UN PROFONDO SENSO
DEL DOVERE E DELLE ISTITUZIONI
UNA CARATTERISTICA
CHE DEVE AVER INFLUENZATO
ME E ANCHE MIA SORELLA
Gabriella Casella, presidente del tribunale di Santa Maria Capua Vetere dal 2017, è una delle poche donne che in Italia sono al vertice della magistratura. Casertana doc, vive a Napoli da quando, nel 1991, sposò un avvocato napoletano. Come è stata la sua vita a Caserta?
«Come quella di tante mie coetanee: scuole elementari dalle suore di Sant’Antida, medie alla “Dante Alighieri”, liceo classico “Giannone”. Poi, l’università a Napoli, Giurisprudenza alla Federico II”».
Cosa ricorda di quegli anni?
«Ricordo i metodi didattici duri delle suore, e, in particolare, suor Raffaella che terrorizzava anche i miei sonni, gli anni molto formativi del liceo con le prime manifestazioni, le occupazioni. Allora c’era una gran voglia di cambiare le cose, e anche le contesta-
zioni erano vissute seriamente: si leggeva, si studiava, ci si informava, preparavamo proposte e piattaforme. Insomma, un modo di crescere e di prendere consapevolezza di sé e del mondo intorno».
Suo padre, Giovanni Casella, era il preside del “Manzoni”. Come lo ricorda?
«Era un uomo di scuola. Era una persona rigorosa, con un profondo senso del dovere e delle istituzioni, caratteristiche che devono aver influenzato me e mia sorella (anche lei magistrato, ndr). Era, inoltre, un profondo conoscitore della cultura classica. Ricordo che aveva l’abitudine di scambiarsi lettere in latino e greco con un suo collega. Ha sempre amato scrivere, scriveva anche a me. Quando mi sono trasferita a Napoli, ricevevo da lui almeno due lettere a settimana».
Com’è nata l’idea di diventare magistrato?
«Non è stata una scelta scontata. Mio padre avrebbe preferito che io e mia sorella seguissimo le sue orme. Di contro mia mamma, docente di materie scientifiche, non era molto contenta dalla sua esperienza professionale: erano gli anni nei quali il ruolo del professore era svilito. Forse da lei abbiamo assorbito questa insoddisfazione e, di conseguenza, la voglia di fare altro».
È stato facile entrare in magistratura?
«Decisamente no. Dopo l’università, dove mi sono laureata con il massimo dei voti e la lode e dove sono rimasta per qualche tempo come assistente volontaria alla cattedra di Diritto costituzionale, è arrivato il concorso. Di quegli anni ricordo solo lo studio: per almeno due anni non ho fatto altro che studiare. Però ho vinto il concorso giovanissima, avevo poco più di 25 anni. Allora le donne in magistratura erano poche e io da subito ho scelto un ruolo complesso, quello di pretore manda-
mentale nella zona di Aversa».
Giovane e donna: complicato all’inizio farsi accettare?
«Non ho mai avuto problemi anche se era un ambiente prevalentemente maschile, anche se mi occupavo di questioni di grande impatto come rifiuti e immigrati».
Poi sostituto procuratore a Napoli.
«Un’esperienza entusiasmante: il mio campo di azione era il lavoro, i danni e i pericoli ambientali, le condizioni degli ospedali, spes-
so tanto critiche da dover chiudere interi reparti».
Quindi, l’arrivo al tribunale di Santa Maria Capua Vetere…
«Era la metà degli anni ’90, l’epoca dei grandi processi di camorra, Spartacus, La Torre, Belforte, ed io presiedevo il collegio penale».
Mai avuto paura?
«Durante il processo La Torre ho ricevuto intimidazioni, minacce, strane telefonate. Perciò avevo un po’ di timori, ma li ho superati con la voglia di affermare la legalità».
Come è riuscita a conciliare vita professionale e privata?
«Ho la fortuna di avere un marito avvocato che ben conosce le dinamiche della giustizia. Certo, ho sottratto un bel po’ di tempo a lui e soprattutto a mio figlio. Nel periodo dei grandi processi di camorra, aveva 5 anni e io spesso tornavo a casa tardissimo e, quando le camere di consiglio si prolungavano per giorni, non potevo rientrare finché non c’era il dispositivo. Però il tempo libero era dedicato alla famiglia e non mi sono mai spostata sebbene questo significava sacrificare qualche tappa della carriera».
Com’è la sua settimana tipo?
«Ogni giorno sono in tribunale, ma nel fine settimana stacco: il sabato lo dedico a me e alla mia famiglia, alle amiche, quando è possibile vado al cinema, a pranzo o a cena fuori. Amo i locali che propongono la cucina napoletana tradizionale. La domenica, cerco di andare a Caserta dalla mia mamma ultranovantenne».
Cinema: che film preferisce?
«Non c’è un genere particolare, ma adoro Edoardo De Angelis, trovo i suoi film “eleganti”, anche quando trattano situazioni difficili, tormentate».
Ama la tradizione culinaria napoletana: lei cucina?
«Mi piace cucinare, mi rilassa, mi accadeva an-
che da ragazza quando, certo, non avevo cari-
chi di lavoro come quelli di oggi. E i piatti che mi riescono meglio sono proprio quelli della tradizione partenopea».
Coltiva qualche hobby?
«L’unico è quello dell’antiquariato. Quando posso, frequento negozi di oggetti antichi. Li preferisco a quelli di abbigliamento. Amo avere una casa calda e accogliente, dove si respira un’aria di altri tempi, mi rassicura: forse è un modo per entrare in un ambiente diverso da quello che frequento per lavoro».
Se tornasse indietro, farebbe di nuovo il magistrato?
«Assolutamente sì, ancora oggi ho l’entusiasmo degli inizi».
Cosa consiglia a chi vuole intraprendere questa professione?
«Di tenere sempre presente che per essere magistrato ci vuole equilibrio e umiltà e che sono necessari anche abnegazione, passione, dedizione e studio continuo».