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Buongiorno. Il mandato della Corte Penale Internazionale contro il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il suo ex ministro della Difesa; le nuove minacce del presidente russo Vladimir Putin all’Occidente; l’intesa per il vicepresidente italiano Raffaele Fitto alla Commissione Ue; il primo dietrofront sulle nomine della prossima amministrazione Trump negli Usa. Sono queste le principali notizie sul Corriere di oggi. Vediamo.
La richiesta di arrestare Netanyahu
La Corte Penale Internazionale, il più importante tribunale per i crimini di guerra del mondo, ha chiesto a tutti i Paesi che riconoscono la sua autorità di arrestare il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il suo ex ministro della Difesa e il capo militare di Hamas, accusandoli di crimini contro l’umanità durante la guerra in corso da 13 mesi a Gaza. È la prima volta che il leader in carica di una democrazia viene accusato di crimini di guerra e crimini contro l’umanità da una corte di giustizia globale.
La Corte Penale Internazionale ritiene che Netanyahu e l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant (sostituito due settimane fa perché contrario a proseguire l’offensiva a Gaza) abbiano usato «la fame come metodo di guerra» limitando gli aiuti umanitari ai palestinesi rinchiusi nell’enclave sotto assedio. E che abbiano intenzionalmente preso di mira i civili nella campagna contro Hamas a Gaza. Israele nega tutte le accuse.
Le vittime dell’offensiva israeliana a Gaza sono ormai oltre 44 mila, mentre oltre 100 mila persone sono rimaste ferite, secondo le autorità sanitarie locali (il conteggio non distingue tra civili e combattenti). Più della metà delle vittime sono donne e bambini. La campagna israeliana è iniziata in risposta all’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre 2023 in cui 1.200 persone, per lo più civili, sono state uccise e altre 250 sono state rapite. In relazione a quell’attacco la Corte penale internazionale (Cpi) ha emesso invece un mandato di cattura nei confronti di Mohammed Deif, capo dell’ala armata di Hamas. La Corte ritiene che Deif sia coinvolto in omicidi, stupri, torture e prese di ostaggi che costituiscono crimini di guerra e crimini contro l’umanità (Israele sostiene di averlo ucciso in un bombardamento, ma Hamas non ha mai confermato la sua morte).
Netanyahu ha condannato il mandato che lo riguarda, affermando che Israele «rifiuta con disgusto le azioni assurde e false» della Corte. «È una decisione antisemita che corrisponde a un moderno processo Dreyfus e finirà allo stesso modo», ha detto riferendosi alla vicenda che alla fine dell’800 portò ingiustamente davanti ai giudici per tradimento e spionaggio il capitano francese di origine ebraica, poi assolto. «Non c’è nulla di più giusto della guerra che stiamo combattendo a Gaza», ha aggiunto Netanyahu. «La Corte mette sullo stesso piano lo Stato di Israele e gli assassini di Hamas. Legittima così l’omicidio di bambini, lo stupro di donne e il rapimento di anziani dai loro letti» ha detto invece Gallant, accusando la Cpi di creare «un pericoloso precedente contro il diritto all’autodifesa e alla guerra morale» e di «incoraggiare il terrorismo omicida» (la Corte però non accusa i leader israeliani per la guerra ad Hamas in sé, ma per il modo in cui la stanno conducendo). La decisione è arrivata sei mesi dopo che il procuratore capo della Corte Karim Khan (poi finito a sua volta sotto inchiesta con l’accusa di molestie sessuali) ha richiesto i mandati di cattura. La Corte ha trovato comunque fondata la maggioranza delle sue accuse a Israele.
La richiesta di arresto della Cpi rende Netanyahu e Gallant ricercati a livello internazionale, mettendoli teoricamente a rischio di essere arrestati quando viaggiano all’estero. La Cpi è il tribunale permanente internazionale istituito nel 2002 per perseguire i responsabili dei crimini di guerra, crimini contro l’umanità, genocidio e aggressione. Alla Corte aderiscono 124 Paesi. Ma molti altri non hanno firmato il trattato che lo istituiva e non accettano la giurisdizione del tribunale. Tra questi ci sono Israele, Stati Uniti, Russia e Cina, dove quindi Netanyahu e Gallant possono viaggiare liberamente. I Paesi membri invece sono tenuti a arrestare i destinatari di un mandato di cattura se mettono piede sul loro territorio (la Cpi ne ha emessi circa 60 dalla sua fondazione, compreso quello contro il presidente russo Vladimir Putin per rapimenti di bambini dall’Ucraina). La Corte però non può sanzionarli se non lo fanno.
Per quanto riguarda Netanyahu e Gallant la Corte penale internazionale ha dichiarato che, pur non potendo giungere a una conclusione sul crimine contro l’umanità di sterminio, l’accusa di omicidio è supportata dalle accuse secondo cui i residenti di Gaza sono stati privati di beni di prima necessità come cibo, acqua, elettricità e forniture mediche. Questo ha creato condizioni «calcolate per portare alla distruzione di parte della popolazione civile di Gaza», che hanno causato la morte di bambini e altre persone per malnutrizione e disidratazione. La Corte ha anche appurato che, impedendo l’accesso a Gaza alle forniture ospedaliere e alle medicine, i medici sono stati costretti a operare e a eseguire amputazioni senza anestesia o con mezzi di sedazione non sicuri che hanno causato «grandi sofferenze». La Corte infine ha dichiarato di aver riscontrato due episodi in cui le prove fornite dall’accusa hanno permesso di stabilire che gli attacchi israeliani erano intenzionalmente diretti contro i civili. I crimini ipotizzati sono «denutrizione come strumento di guerra, sterminio, persecuzione, assassinio, aver diretto intenzionalmente attacchi contro la popolazione civile».
La richiesta di arresto divide gli alleati occidentali di Israele. Scrive Francesco Battistini:
Joe Biden, il presidente americano, respinge i mandati di arresto per i due israeliani, ma non quello per il leader di Hamas, e ribadisce che «la Corte non ha giurisdizione su queste questioni», gli Stati Uniti, come Israele, non aderiscono allo Statuto di Roma. E il nuovo leader dei repubblicani al Senato, John Thune, ha già proposto una legge che «in segno di ritorsione» sanzioni la Cpi (…). Josep Borrell, per ora a capo della diplomazia della Ue, ribadisce che «tutte le nazioni dell’Unione sono obbligate a rispettare la decisione». L’Olanda — sotto accusa in Israele per la caccia ai tifosi del Maccabi nella notte di Amsterdam — ha subito aderito: «Siamo pronti a eseguire i fermi».
Prudente Antonio Tajani, il ministro degli Esteri italiano, commenta: «Sosteniamo la Corte ricordando sempre che deve svolgere un ruolo giuridico e non politico». Guido Crosetto, ministro della Difesa, dichiara: «Sentenza sbagliata ma dovremo applicarla».
L’Ungheria e la Slovacchia fanno sapere che non eseguiranno l’ordine. (…) La Gran Bretagna preferisce non pronunciarsi limitandosi a sottolineare, tramite un portavoce del governo, che «rispetta l’indipendenza della Corte penale internazionale».
Netanyahu spera nel sostegno del prossmo presidente americano, ma la sua posizione è più complicata (e compromessa) di quanto potrebbe sembrare. Spiega Davide Frattini:
In teoria e sempre più in pratica con il passare delle settimane verso l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca: è all’amico americano che il premier israeliano si starebbe già affidando per nullificare i mandati di cattura emessi contro di lui e Yoav Gallant, l’ex ministro della Difesa. Spera che Trump eserciti pressioni anche sulle nazioni aderenti perché non eseguano gli ordini di arresto. Adesso che Yoav Gallant è stato cacciato da Bibi, com’è soprannominato, gli assistenti raccontano che l’ex generale si presentava alle riunioni del consiglio di guerra con l’avvocato. Proprio perché voleva proteggersi dalle decisioni del capo del governo: Gallant non pensava all’Aia, teneva lo sguardo più vicino a casa e si premuniva in vista di una commissione di Stato israeliana che investigasse gli errori strategici precedenti ai massacri del 7 ottobre e sulla gestione del conflitto.
Gallant sta prendendo le distanze da quello che sembra ormai delinearsi come il piano della coalizione di estrema destra al potere per mantenere il dominio militare sul nord di Gaza, un primo passo verso la ricostruzione delle colonie nella Striscia dopo l’evacuazione ordinata da Ariel Sharon nel 2005. Ogni scontro — locale o internazionale — crea l’occasione per i ministri più oltranzisti di rafforzare il progetto di annessione, non solo della Striscia: «La nostra risposta ai giudici dell’Aia deve consistere nel prenderci la Giudea e la Samaria», come indica con i nomi biblici la Cisgiordania, controllata da Abu Mazen il presidente palestinese. Bezalel Smotrich, ministro della Finanze e anche lui rappresentante dei coloni, invoca di causare «il collasso dell’Autorità palestinese.
Intanto Netanyahu ha qualche problema anche con i giudici di casa sua: la Corte Suprema israeliana ha stabilito che non può più evitare di testimoniare al processo in cui è accusato di corruzione e abuso d’ufficio e che dovrà presentarsi in aula il 2 dicembre. Secondo molti suoi critici, anche in Israele, la decisione di Netanyahu di prolungare la guerra a Gaza ed estenderla al Libano è legata proprio al tentativo di rimanere a oltranza al potere. Rimanere premier gli garantisce l’immunità proprio in quel processo.
Il missile sperimentale e le minacce di Putin all’Occidente
Ieri la Russia ha colpito un impianto militare-industriale nella città ucraina di Dnipro con un nuovo missile balistico. L’obiettivo del missile non era tanto danneggiare gli arsenali dell’Ucraina, quando mandare un messaggio all’Occidente e alla Nato. Poche ore dopo il presidente russo Vladimir Putin in persona è apparso in tv e ha detto si trattava di un nuovo tipo di missile balistico a raggio intermedio capace di viaggiare a una velocità 10 volte superiore a quella del suono. «I moderni sistemi di difesa aerea esistenti nel mondo e le difese antimissile create dagli americani in Europa non possono intercettare questo tipo di missili», ha detto Putin. Esperti occidentali hanno confermato che il missile multitestata (che potrebbe portare anche testate nucleari) è difficile da intercettare. È la prima volta che un missile di questo tipo viene usato in guerra. La Russia mezz’ora prima del lancio aveva avvertito gli Stati Uniti.
Putin ha detto che il missile si chiama «Oreshnik», che in russo significa «albero di nocciole», e che la Russia lo ha testato in risposta agli attacchi ucraini contro le strutture militari russe all’inizio della settimana con armi fornite dall’Occidente. Uno di questi attacchi ha provocato la morte e il ferimento di un numero imprecisato di militari russi e secondo Putin ha aggiunto «elementi di carattere globale» al conflitto. «Crediamo di avere il diritto di usare le nostre armi contro le strutture militari dei Paesi che permettono di usare le loro armi contro le nostre strutture», ha dichiarato l’autocrate russo. «E in caso di escalation di azioni aggressive risponderemo in modo risoluto e speculare». Se la Russia lancerà altri attacchi contro l’Ucraina con il nuovo missile, avvertirà in anticipo del suo utilizzo per consentire ai civili di mettersi in salvo come gesto «umanitario», ha aggiunto, spiegando di non temere di allarmare il nemico dal momento che non può fermare l’attacco. «Vorrei raccomandare alle élite al potere dei Paesi che stanno covando piani per utilizzare i loro contingenti militari contro la Russia di pensarci seriamente», ha detto Putin.
Intanto l’Ucraina spera di resistere all’avanzata russa con le nuove forniture (e soprattutto le nuove regole di ingaggio) delle armi americane, in attesa che si insedi alla presidenza Donald Trump, che potrebbe costringerla a trattare (cioè a cedere) con la Russia. Spiega Lorenzo Cremonesi:
Intanto negli ambienti del governo Zelensky si sta studiando quali potrebbero essere i possibili compromessi territoriali. «L’Ucraina non può stare in piedi senza Kiev, oltre a Odessa, Mykolaiev e Zaporizhzhya nel Sud, Dnipro al centro e la linea Kharkiv-Sumy nel Nord est. Il Donbass, Mariupol e la Crimea potrebbero essere lasciati ai russi in cambio della certezza di essere difesi dalla Nato, o da una seria coalizione di truppe occidentali bene armate e anche stazionate nel nostro territorio», ci spiegano ufficiosamente nella capitale.
Quanto ai rapporti tra la Russia e la Nato rispetto all’Ucraina, è significativo quello che secondo le anticipazioni racconta l’ex cancelliera tedesca Angela Merkel nelle sue memorie. Merkel spiega perché, al vertice Nato di Bucarest nel 2008, insieme al presidente francese Nicolas Sarkozy, si oppose all’ingresso del Paese nella Nato: «Ritenevo che fosse illusorio pensare che lo status di candidato all’adesione avrebbe protetto l’Ucraina (e la Georgia) dall’aggressione di Putin».
La trattativa su Fitto alla Commissione Ue
Le commissioni parlamentari Ue hanno approvato a larga maggioranza i sei vicepresidenti esecutivi — Raffaele Fitto, Teresa Ribera, Kaja Kallas, Roxana Mînzatu, Stéphane Séjourné e Henna Virkkunen — della seconda Commissione Ue guidata da Ursula von der Leyen, grazie a un’intesa politica tra Ppe, S&D e Liberali. Ma l’accordo, che include Fitto nonostante faccia parte dell’Ecr, ha diviso i Socialisti.
Racconta Francesca Basso:
I tedeschi, francesi, belgi e baltici avevano espresso la loro contrarietà alla capogruppo Iratxe García Pérez, che però ha dovuto difendere a tutti i costi la vicepresidente Ribera sotto attacco del Ppe, trascinato in questa battaglia dal Partido Popular. Così García Pérez ha oltrepassato quella linea rossa sbandierata come invalicabile nelle settimane passate (anche dai Liberali). Un passo indietro, che alla radio spagnola Rne García Pérez ha descritto diversamente: «La negoziazione significa porre avanti un progetto comune con rinunce ma anche con vittorie. Se facciamo un bilancio, evidentemente la vittoria è chiara». Tesi difficile da sostenere. È probabile che nel voto sul Collegio l’S&D si spaccherà e tedeschi, francesi, belgi e baltici possano votare contro.
Con i prossimi due passaggi – il voto in plenaria a Strasburgo sull’intero Collegio dei commissari previsto per mercoledì 27 novembre e l’ultimo via libera da parte del Consiglio, che è una formalità – si concluderà così una trattativa particolarmente lunga e difficile sulla Commissione (l’unico organo dell’Ue che ha il potere di redigere leggi che, una volta approvate dal Parlamento europeo, vengono applicate in tutta Europa).
Le difficoltà sono il risultato delle elezioni europee di giugno che hanno indebolito la maggior parte dei partiti centristi ed europeisti, e rafforzato l’estrema destra. Il Partito popolare europeo (di cui fa parte Von der Leyen) è rimasto il gruppo più grande dell’assemblea e ha potuto forzare la mano dei Socialisti e Democratici (S&D) di centrosinistra, dei liberali di Renew e dei Verdi. Più della metà dei membri della nuova Commissione (proposti dai 27 governi nazionali) proviene dal Ppe, solo quattro commissari da partiti di sinistra. E il Ppe ha fatto una sorta di alleanza esterna con Fratelli d’Italia della premier italiana Giorgia Meloni, che inizialmente aveva votato contro la nuova Commissione targata Von der Leyen. Fitto così si è assicurato un posto di vicepresidente esecutivo – una prima volta per un politico dell’Ecr – per supervisionare la «politica di coesione», che aiuta a finanziare progetti infrastrutturali. Gestirà 400 miliardi di fondi, cioè un terzo del bilancio complessivo della Commissione, e coordinerà anche i commissari di Agricoltura, Trasporti e Turismo, Pesca e Blue economy. Infine insieme al lettone Valdis Dombrovskis seguirà l’applicazione del Pnrr.
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La Camera ha dato il primo via libera al cosiddetto Salva Milano, il decreto che deve permettere di riaprire i cantieri bloccati dalla magistratura per irregolarità nei permessi. Si divide l’opposizione: Pd, +Europa, Italia viva e Azione votano sì, Avs e M5S no. L’obiettivo è sbloccare 150 progetti fermati dalla Procura.
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Elanain Sharif, 44enne nato in Egitto ma cittadino italiano, è stato arrestato in Egitto il 9 novembre scorso appena atterrato dall’Italia. Da quel giorno la madre non ha avuto più sue notizie, ma sa che si trova nel carcere di Alessandria. Secondo l’avvocato della famiglia Sharif sarebbe stato fermato perché lavora nel porno (è noto come Sheri Taliani). I suoi film in Egitto sono vietati.
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Pena estinta per il terrorista rosso Raffaele Ventura, rifugiato a Parigi. Ex militante delle Formazioni Comuniste Combattenti, fu condannato per l’omicidio del vicebrigadiere Antonio Custra del 1977, a Milano.
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Google di Alphabet deve vendere il suo browser Chrome, condividere i dati e i risultati delle ricerche con i rivali e adottare altre misure per porre fine al suo monopolio sulla ricerca online. Lo chiede il Dipartimento di Giustizia americano. Un giudice valuterà entro aprile.
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La celebre banana opera di Maurizio Cattelan è stata acquistata all’asta a New York per 6,2 milioni di dollari dal magnate cinese Justin Sun.
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Matteo Berrettini) contro l’Argentina, qualificando l’Italia per le semifinali di Coppa Davis che si terranno a Malaga, dove gli italiani campioni in carica affronteranno l’Australia sabato.
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La Cinebussola: la guida di Paolo Baldini ai film da vedere in sala o in streaming questa settimana.
Il Caffè di Massimo Gramellini
La (panchina) Russa
Prendiamo naturalmente per buona la spiegazione di Ignazio La Russa. La spennellata di tricolore sulla panchina rossa installata nei giardini del Senato non intende affatto suggerire che in Italia le donne vengono uccise quasi esclusivamente dai migranti clandestini (i famigerati Filippalì Turettah e Im-Paghna-Thiel-Loh). Il senso di quel bianco e verde aggiunti al rosso, cito il presidente del Senato, è che «la questione deve appartenere a tutta l’Italia».
Ma perché, fino a ieri la panchina simbolo mondiale dei femminicidi apparteneva solo a una parte d’Italia? E a quale, di grazia? Le donne, i comunisti, i daltonici? Capisco che La Russa, appena vede qualcosa di rosso, parte alla carica come un toro. Ma nel caso specifico la panchina rossa non rimanda alla bandiera omonima, ma al sangue versato dalle vittime e indica il vuoto lasciato dalla donna uccisa nella comunità. Non è una panchina di sinistra, non ci si siedono sopra gli iscritti del Pd, i partigiani dell’Anpi e i sindacalisti della Cgil. Ma soprattutto non è una panchina italiana. La si può trovare, altrettanto rossa, in Estremo Oriente come in America Latina. La politica, per una volta, non c’entra niente. E invece è proprio il tricolore che ce la fa rientrare, perché pianta una bandierina su una campagna universale, trasformandola in una rivendicazione nazionale che a qualcuno, La Russa lo perdoni, sembrerà addirittura sovranista.
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“Il brigadiere dei carabinieri Lazzaro Cioffi fu l’esecutore materiale” dell’omicidio del sindaco di Pollica Angelo Vassallo avvenuto la sera del 5 settembre 2010 con nove colpi di pistola. “Me lo disse Giuseppe Cipriano nel dicembre successivo, nell’ufficio del suo cinema”. I virgolettati appartengono al pentito Romolo Ridosso in un verbale investigativo iniziato alle 15.30 dell’11 novembre scorso, 4 giorni dopo il suo arresto e quello degli altri tre accusati del delitto: Giuseppe Cipriano detto ‘Peppe Odeon’ (dal nome della sala cinematografica gestita a Scafati), il colonnello dei carabinieri Fabio Cagnazzo e l’ex brigadiere Lazzaro Cioffi. Ridosso lo afferma poche ore dopo essere stato sentito in carcere a Modena dal Gip per l’interrogatorio di garanzia, il cui contenuto è stato rivelato ieri da ilfattoquotidiano.it. Il collaborante di origini stabiesi, ma con ‘base criminale’ a Scafati, è stato infatti l’unico degli indagati a non avvalersi della facoltà di non rispondere. Anzi, ha parlato. Molto. Tanto da indurre i pm della Dda di Salerno a chiedere un immediato approfondimento dei temi affrontati, che Ridosso – difeso dall’avvocato Michele Avino – ha accettato di fornire. Ci sono voluti due giorni. L’interrogatorio investigativo si è infatti chiuso alle 13 del giorno successivo.Il passaggio chiave è quello nel quale Ridosso ricostruisce come ebbe certezza che fu il gruppo di Cipriano ad organizzare ed eseguire l’omicidio del sindaco pescatore, dopo i sospetti che gli derivavano dall’aver partecipato il 3 settembre con Cipriano ad un sopralluogo in auto ad Acciaroli, che secondo i pm servì ad assicurarsi dell’assenza di telecamere sui luoghi scelti per compiere l’agguato. La notizia sicura il pentito l’avrebbe avuta a dicembre, qualche mese dopo. “Il coinvolgimento di Cioffi e Cipriano nell’omicidio – afferma Ridosso – mi fu invece (…) rappresentato a dicembre, allorquando incontrai Giuseppe Cipriano nel cinema a Scafati… Io mi allontanai dalla mia compagna e salimmo in ufficio con Cipriano. In questa circostanza Cipriano mi disse esattamente che l’omicidio era stato commesso da loro e in particolare da Cioffi come esecutore. In particolare mi disse: “è stato ‘o cumpagno tuo”. Io dedussi che era Cioffi perché era l’unico del gruppo che frequentavo unitamente a Cipriano”.
I motivi? Ridosso insiste, come già fatto poche ore prima davanti al giudice, su alcune piste bocciate dagli investigatori del Ros, aggiungendo solo alla fine il traffico di droga da mettere al riparo dalle eventuali denunce di Vassallo, che secondo gli inquirenti è il movente autentico. “Sempre in quella circostanza – sostiene Ridosso – (Cipriano, ndr) mi elencò tutte quelle che erano state le causali dell’omicidio, rappresentando, in primo luogo, che il sindaco lo voleva cacciare da Acciaroli sia a causa del furto in un locale di sua proprietà, sito vicino al cinema (gestito quell’estate da Cipriano, ndr), commesso da un suo dipendente, sia perché non aveva concesso a Raffaele Maurelli (cugino di Cipriano ed esponente del gruppo dedito al traffico di droga, indagato e morto durante le indagini ndr) la possibilità di fare dei lavori nel porto di Acciaroli e sia perché infine aveva scoperto il loro coinvolgimento in traffici di droga”. La discussione sarebbe avvenuta mentre la compagna di Ridosso e i suoi due figli guardavano un film di prima visione.