trè-mo-lo
Significato Come sostantivo: tecnica che consiste nell’esecuzione rapida e ribattuta di una o due note (o di un accordo), in alcuni casi senza tener conto dei valori di tempo misurati; registro dell’organo e dell’armoniumEtimologia derivato da trèmulus, che vale come aggettivo ‘tremante’ e sostantivo ‘affetto da tremore’, da tremulare, diminutivo di trèmere ‘tremare’ da cui, appunto, ‘tremolare’.
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«Stasera canta la serenata sotto la finestra di Luisella, accompagnato dal tremolo del mandolino. Domani si sposano…»
Il verbo tremolare vede la luce nel latino tardo, filtrando nell’aurora del volgare. Dante lo usa nel suo poema capolavoro, la Commedia:
L’alba vinceva l’ora mattutina
che fuggìa innanzi, sì che di lontano
conobbi il tremolar de la marina.
In natura le fronde tremule per eccellenza sono quelle del pioppo, albero che anticamente veniva chiamato tremula. Linneo lo battezzerà proprio Populus tremula, per il caratteristico, rilucente fremito con cui si muovono le foglie al minimo refolo. Jaun Vásquez compose un villancico intitolato De los álamos vengo, madre (Vengo dai pioppi, madre), musicando lo stormire delle fronde con una sillabazione rapida ma non concitata; quattro secoli dopo, Joaquín Rodrigo fu ispirato dallo stesso villancico.
Forse una eco dei versi danteschi si può ritrovare in un altro grande poeta, Torquato Tasso:
Ecco mormorar l’onde
e tremolar le fronde
all’aura mattutina e gli arboscelli,
e sovra i verdi rami i vaghi augelli
cantar soavemente
e rider l’orïente:
ecco già l’alba appare
e si specchia nel mare,
e rasserena il cielo,
e le campagne imperla il dolce gelo,
e gli alti monti indora.
O bella e vaga aurora,
l’aura è tua messaggera, e tu de l’aura
ch’ogni arso cor ristaura.
Su questa poesia Claudio Monteverdi intonò il proprio madrigale Ecco mormorar l’onde. E, come Vásquez, Monteverdi musicò analogamente il vibrare delle foglie al vento.
L’atto delicato e rapido del tremolare fu adottato in musica con fini esornativi e come artificio tecnico. Un caso particolare riguarda invece l’organo; sin dal Rinascimento uno dei suoi registri fondamentali divenne il tremolo, che si ottiene andando a ‘disturbare’ leggermente l’emissione dell’aria, così che il suono vibri in maniera simile alla voce umana.
A proposito di voce, alla fine del Cinquecento il teorico di musica Ludovico Zacconi esortava a produrre «il tremolo, cioè la voce tremante». Riteneva che «facendolo, oltra che dimostra sincerità e ardire, abbellisce le cantilene». Ma nei secoli addietro molte parole erano usate in modo intercambiabile e a volte non è semplice districarsi tra nomi come tremolo, trillo, vibrato, groppo… tutti termini che racchiudono la più tremula delle vibranti: la ‘erre’.
Oggi il tremolo è soprattutto una tecnica, che varia a seconda dello strumento per cui è destinato. Si può eseguire ribattendo una stessa nota sugli strumenti a corda, (sia suonando con le unghie, come questa brava chitarrista, che con il plettro, come nel mandolino), ma anche sul pianoforte, sugli strumenti ad arco, a percussione e così via.
Sebbene sia un abbellimento, in base alle intenzioni del compositore il tremolo può produrre un notevole effetto di tensione. Giuseppe Verdi lo sfruttò, per esempio, nel Dies irae dalla misura 46 sino alla 73, dove interessa l’intera sezione degli archi, spesso con il rinforzo delle percussioni.
Sugli archi il tremolo può essere inoltre ‘diteggiato’ e si esegue alternando rapidamente due note. Si distingue dal trillo poiché le due note sono prodotte cambiando velocemente l’arcata – tecnicamente si dice che sono ‘sciolte’ – mentre nel trillo l’arcata è unica.
Insomma, la versatilità del tremolo si presta a rappresentare tempeste, ira, terrore, agitazione, ma anche il sommesso brusio di un insetto o l’idillio più puro e sereno.