“Abusi insanabili”: le ultime cerimonie a casa del “boss”
L’hotel della celebre serie tv Real Time – Il castello. Sulla location del kitsch esasperato si abbatte la scure dei giudici. Ma il paese non ci sta: “La famiglia dà lavoro a 150 persone”
Di Vincenzo Iurillo
26 Novembre 2024
Al Grand Hotel La Sonrisa di Sant’Antonio Abate, o se preferite al Castello delle Cerimonie, dal nome del programma tv di Real Time che ha spopolato in mezzo mondo, fanno finta di niente. “Abbiamo prenotazioni fino al 2026”. Avevamo letto sui quotidiani locali di una imminente chiusura, della revoca delle licenze, della imminente confisca per abusi edilizi insanabili. “I giornalisti scrivono quello che vogliono, ma ci sono delle cause in corso e noi intanto continuiamo a stare aperti e a lavorare”. In effetti il giardino è curato a puntino, e su ogni tavolino all’aperto c’è un pupazzetto di Babbo Natale. Poco fuori il cancello ti rivelano che proprio quel pomeriggio è prevista una kermesse con pizzaioli provenienti da tutta la Campania, “dovrebbe venire anche la Rai”. Le telecamere, qui, sono sempre state di casa.
È l’orchestrina che continua a suonare mentre il Titanic affonda. A febbraio la Sonrisa – albergo a cinque stelle, villa d’eventi e brand cinquantennale della famiglia Polese, capostipite don Antonio Polese, “il boss delle cerimonie” delle prime stagioni del programma, morto nel 2016 – si è schiantata contro l’iceberg della sentenza di Cassazione che ha reso definitivo l’accertamento del reato di lottizzazione abusiva. Sentenza che prevede come conseguenza l’acquisizione al patrimonio comunale del complesso immobiliare e dei terreni adiacenti, una piccola cittadella di 44.000 metri quadrati che ha ospitato calciatori e artisti di livello mondiale, matrimoni di brava gente e di camorristi “perché ai nostri clienti mica chiediamo il certificato penale”, rispondeva don Antonio a chi gli faceva qualche domanda scomoda sulla qualità degli avventori, superfeste organizzate con cucine capaci di sfornare 2.000 pasti al giorno, perché al Castello delle Cerimonie le mezze misure non sono mai esistite. Basta scorrere il nastro delle 150 puntate delle 13 edizioni del reality vendute in 20 nazioni, guardatevene una qualsiasi, e intuirete che qui ci sono state famiglie che per un battesimo o un matrimonio hanno bruciato l’equivalente di cinque anni di stipendi, tra menu di lusso e neomelodici di grido, nel tripudio di un trash estremo. L’ultima puntata è andata in onda il 22 novembre e dalla produzione filtrano voci che si andrà avanti comunque e in ogni modo. Anche cambiando location, se necessario. Il format piace e continua a piacere.
Incerta la sorte del programma, si sta invece definendo quella dell’immobile. La sindaca Ilaria Abagnale e l’amministrazione comunale hanno preso tempo finché hanno potuto, dietro il mantra “aspettiamo la notifica della sentenza”, ascoltando con pazienza i delegati dei circa 150 lavoratori che chiedevano una sorta di “subentro” nella gestione, balenando l’ipotesi di riassegnare il complesso edilizio tramite bando pubblico così da salvarne l’utilizzo alberghiero.
Il plico della Cassazione è pervenuto soltanto a ottobre, e con esso è arrivata la decisione finale. Che è andata verso un’altra direzione: l’albergo chiuderà per i Polese, e non sarà possibile continuarci a svolgere attività recettive perché, spiegano dal palazzo di piazza Mascolo, gli abusi sono insanabili e le licenze di ristorante e albergo non possono sopravvivere in assenza del presupposto di regolarità urbanistica della struttura. Per ora, nessun bando per il riutilizzo. E, anzi, l’avvio del procedimento per chiudere tutto e poi vedere cosa fare. Con un documento su carta intestata del Comune che porta la data del 14 novembre: i Polese hanno 15 giorni – scadono dopodomani – per controdedurre “trascorsi i quali, in assenza di informazioni pervenute, si procederà alla revoca dei titoli abilitativi”. Ovviamente i titolari eserciteranno questo diritto e proveranno a strappare altro tempo. Settimane? Mesi? Chissà. Su Booking intanto le stanze sono sempre in vendita, tutto esaurito per sabato prossimo ma venerdì ci sono disponibilità per 121 euro.
Dalla loro i Polese hanno il sostegno incondizionato dell’opinione pubblica locale. I residenti non si capacitano della chiusura di un luogo che altrove farebbe sorridere d’imbarazzo, ma che qui viene venerato come un santuario. Poco fuori al bar Via Roma non c’è avventore che non celebri “la bravura e le capacità imprenditoriali di don Antonio e dei suoi eredi, ma vi rendete conto di cosa sono stati capaci di fare, hanno reso Sant’Antonio Abate famosa in tutto il mondo”, per mutuare le parole (le urla) di Giuseppe, un signore di mezza età che alla Sonrisa dice di averci battezzato un figlio. E gli abusi edilizi? “Chi non ne ha, scusate? E non si potrebbe risolvere, che so, pagando una multa allo Stato?”. Purtroppo no, signore mio. “Ma allora perché non si fa un bando e lo si assegna a un altro albergatore”? È la domanda, ragionevole, di un avvocato diretto a Napoli. Ma il brand “La Sonrisa”, con il suo indotto e la capacità di attirare produzioni televisive e il mondo dello show business, è dei Polese e a loro resterà, non può essere oggetto delle procedure di confisca: senza quello, il complesso edilizio e i suoi lussi in uno stile veneziano esagerato, sono solo un ammasso di cemento pacchiano che spaventerebbe qualsiasi potenziale investitore. E la Procura di Torre Annunziata aveva già chiarito che un’eventuale gara per il riutilizzo a fini alberghieri di una struttura gravata da abusi edilizi non poteva essere aperta a chi quegli abusi li aveva realizzati.
La sentenza è definitiva, dicevamo. Anzi, no. L’avvocato dei Polese, il professore Vincenzo Maiello, ha preparato un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, nella speranza della declaratoria di illegittimità della confisca. La Corte europea ha i suoi tempi, lenti. Mentre al Comune confidano in procedure sprint. In una nota, la sindaca Abagnale ha dichiarato che la Sonrisa “dovrebbe cessare le sue attività entro fine dicembre 2024”. Se non dovesse riuscirci, su Booking la notte del 30 dicembre al Castello delle Cerimonie è in vendita a 103 euro: quella di Capodanno “non è disponibile”.
Aversa, bullizzata a scuola: “Si abbassano i pantaloni e mi mostrano le parti intime”
AVERSA – La città è scossa da una grave vicenda di bullismo che ha avuto luogo nel plesso scolastico ‘Cimarosa’, una scuola media della città. Una giovane studentessa è stata vittima di atti di bullismo ripetuti da parte di un gruppo di suoi coetanei. Gli episodi, che si sono verificati per settimane durante l’ora di ricreazione, hanno assunto una gravità preoccupante: minacce con coltelli, e atti umilianti come l’abbassamento dei pantaloni davanti alla ragazza. La ragazza, purtroppo, ha dovuto subire in silenzio queste azioni violente e psicologiche, ma, con grande coraggio, ha trovato la forza di raccontare quanto stava accadendo ai suoi genitori. Una volta venuti a conoscenza della situazione, il padre e la madre della giovane non hanno esitato un attimo: si sono immediatamente recati alla caserma dei carabinieri per denunciare gli episodi di bullismo che la figlia stava subendo. La denuncia dei genitori, dettagliata e circostanziata, ha portato i militari dell’Arma ad aprire un fascicolo d’indagine per fare chiarezza sui fatti e identificare i responsabili. La vicenda ha suscitato grande preoccupazione nella comunità locale, mettendo in luce un fenomeno che, se non fermato, può portare a conseguenze devastanti per le vittime. Il bullismo, purtroppo, è un problema che riguarda molte scuole italiane e che deve essere affrontato con fermezza da parte delle istituzioni scolastiche, della giustizia e della comunità. L’episodio che ha coinvolto questa giovane ragazza non è un caso isolato e richiede una riflessione seria da parte di tutti, in particolare delle autorità scolastiche, per garantire un ambiente sicuro e rispettoso per ogni studente.
Le istituzioni devono intervenire con urgenza, attuando politiche efficaci per prevenire il bullismo e per sostenere le vittime, affinché simili episodi non si ripetano. Questo caso deve far riflettere sulla necessità di rafforzare l’educazione al rispetto, alla convivenza civile e all’empatia, valori fondamentali da trasmettere ai giovani fin dai banchi di scuola. Nel frattempo, la famiglia della ragazza continua a sperare che giustizia venga fatta e che episodi del genere non si ripetano mai più. Un caso grave che merita la massima condanna e un intervento tempestivo per fermare il bullismo prima che possa avere effetti ancora più devastanti.