Civetteria
ci-vet-te-rì-a
Significato Comportamento accattivante di chi ama attirare su di sé l’attenzione benevola altrui; mania vanesia, piccolo vezzo
Etimologia da civetta, uccello rapace notturno degli Strigiformi, a sua volta onomatopea tipicamente romanza, derivata dal verso ciù ciù.
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«Le abbiamo salutate con gran civetteria.»
Cacologia
ca-co-lo-gì-a
Significato In retorica, espressione difettosa dal punto di vista dell’abituale logica del discorso, anche se non costituisce una scorrettezza grammaticale
Etimologia voce dotta recuperata dal greco kakología ‘maldicenza, calunnia’, composto di kakós ‘cattivo’ e -logia ‘discorso’.
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«È un discorso pieno di cacologie, ma spiritoso.»
Qui abbiamo una parola che alla nostra sensibilità contemporanea può sembrare doppiamente tagliente, come il becco di una civetta. Togliendoci però i paraocchi, scopriamo in che modo possa rivelarsi una risorsa preziosa, un bel filo ornamentale da intessere nel discorso per parlare dei piccoli vizi e vezzi della nostra umana condizione.
Civetteria è il comportamento accattivante, civettuolo appunto, di chi ama essere lodato e ottenere l’apprezzamento altrui. Ma è anche una mania vanesia, un vezzo nel vestire, un’abitudine dettata dalla vanità. Il problema è che, storicamente e soprattutto erroneamente, la civetteria è addebitata in maniera pressoché esclusiva alle donne. Sfogliando il vocabolario, infatti, alla voce civetta, da cui essa deriva, oltre al significato di uccello rapace notturno, di locandina da edicola e di articolo di giornale abbiamo anche quello di ‘donna frivola che attira su di sé l’attenzione maschile’.
E certo, perché la frivolezza, quella, è un altro peccato tutto tinto di rosa, come se gli uomini fossero solo campioni di sobrietà e asciuttezza! Invece, spezzando una lancia a favore della civetteria femminile, va tenuto conto che, nella millenaria storia dei sessi, alle donne ottenere il favore benevolo degli uomini non solo è convenuto, ma — più spesso di quanto si possa sopportare — è risultato addirittura questione di sopravvivenza.
Per fortuna che i dizionari si ravvedono e, nel passaggio da civetta a civetteria, si ricordano di riportare che è il comportamento di chi vuole attirare l’attenzione altrui su di sé o un vezzo vanitoso. Neutro e corretto, può adattarsi a tutte le forme e a tutte le taglie, senza distinzione di genere. Addirittura, scendendo di un lemma in più, troviamo il civettone, l’accrescitivo, che è la persona vanesia, amante delle civetterie. Sia mai che diciamo chiaro e tondo che stiamo parlando di un uomo tutto frizzi e lazzi!
Ebbene, la civetteria, è a tutto tondo e senza distinzioni tra signore e signori; perché sì, l’anziana zia si appunta una spilla sul revers del cappotto con civetteria quando esce con le amiche a bere la cioccolata calda al caffè in piazza, ma anche il vedovo canuto che vorrebbe chiederle di accompagnarlo al cinema domenica pomeriggio si è messo il papillon bordeaux con altrettanta civetteria! E quel civettone del nostro amico che veste con gusto dandy, non pecca di civetteria nell’abbinare il calzino al fazzoletto da pochette? Forse tanto quanto la professoressa che ha appaiato lo smalto per le unghie al foulard di seta.
Ora chiariamo un ultimo punto: perché siamo andati ad arruffare le penne della civetta, che ha già tanto da fare a trasportare le lettere da Hogwarts? Perché proprio a lei addossiamo la responsabilità di tanta vanità, quando nell’antica Grecia era invece simbolo di saggezza ed era sacra nientemeno che ad Atena? Be’, nell’arte venatoria le civette venivano ammaestrate per essere usate come richiamo per altri uccelli, per attirare la loro attenzione. Tutto qui. Se poi ci chiediamo come cavolo siamo arrivati alla parola civetta, quando in latino l’animaletto veniva chiamato strix (da cui strega), lo dobbiamo al potere delle onomatopee: il verso ciù ciù ha dato vita ad esiti simili in altre lingue romanze, come il francese chouette, che oltre a voler dire civetta, significa anche carino, grazioso. Chouette, no?