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giovedì 05 dicembre 2024
La Francia di nuovo senza governo
French Prime Minister Michel Barnier arrives to address the National Assembly prior to a vote on a no-confidence motion that could bring him down and his cabinet for the first time since 1962, Wednesday, Dec. 4, 2024 in Paris. (AP Photo/Michel Euler)Il primo ministro francese Michel Barnier in parlamento prima della sfiducia (Michel Euler/Ap)
editorialista di Elena Tebano

 

Buongiorno.
La Francia è di nuovo senza governo. Il partito di sinistra radicale La France insoumise (Lfi) e quello di estrema destra Rassemblement national (Rn) hanno votato insieme per la prima volta la sfiducia, che costringe il primo ministro Michel Barnier e il suo esecutivo a dimettersi. Adesso la palla passa di nuovo al Presidente Emmanuel Macron, che ha ribadito che resterà in carica fino al 2027, ma che non può, in base alla Costituzione francese, indire nuove elezioni prima di luglio. Oggi parlerà alla nazione.

 

 

La sfiducia a Barnier arriva dopo mesi di crisi, innescata dalla sconfitta del partito di Macron alle elezioni europee di giugno contro l’estrema destra. E dalla conseguente decisione di Macron di sciogliere il parlamento nazionale e andare a elezioni legislative anticipate. Da quel voto è uscita un’Assemblea Nazionale frammentata in tre blocchi e senza una vera maggioranza: Fronte popolare (una alleanza poco solida di centro-sinistra unita dal solo intento di battere l’Rn di Marine Le Pen), macronisti e destra, estrema destra. Dopo 50 giorni di negoziati, all’inizio di settembre è stato finalmente nominato il governo di centro-destra guidato dal conservatore Barnier (con una sorta di appoggio esterno del Rassemblement national). Ora Barnier diventa il primo ministro con il mandato più breve nella moderna Repubblica francese. La sfiducia gli è arrivata in polemica con le sue misure di austerità per ridurre l’enorme debito pubblico francese (si stima che il deficit raggiungerà il 6% del prodotto interno lordo quest’anno).

Adesso, spiega Stefano Montefiori:
Ci sono due strade fondamentali. Quella più lunga prevede qualche giorno di pausa, magari fino alla fine della prossima settimana, per dare tempo all’«arco repubblicano» di trovare un accordo o, come lo chiama l’ex premier Gabriel Attal, un «patto di non sfiducia» tra tutte le forze politiche esclusi i partiti di Marine Le Pen e di Jean-Luc Mélenchon. I socialisti vorrebbero essere protagonisti di questa soluzione e chiedono che il prossimo premier sia uno di loro, per esempio Boris Vallaud.
L’altra strada, quella cortissima, potrebbe vedere la nomina di un nuovo premier subito, entro 24 ore, un nome da annunciare magari già nel discorso di stasera, replicando la formula politica appena fallita — ministri di centro e di destra, appoggio esterno di Le Pen — ma con un nuovo leader. Si fanno i nomi di Sébastien Lecornu, François Bayrou, Bernard Cazeneuve (ex premier socialista), François Baroin e altri. Sullo sfondo, la profezia sinistra di Mélenchon: «Può cambiare premier ogni tre mesi, ma tanto Macron fino al 2027 non dura».

 

 

La crisi francese è destinata ad avere ripercussioni su tutta l’Unione europea. Commenta Aldo Cazzullo nell’editoriale di oggi:
Il fallimento di Macron non è una buona notizia per l’Europa. Anche perché è speculare al fallimento del cancelliere Olaf Scholz. L’impotenza dei governi europeisti dei due più grandi Paesi dell’Ue conferma che il vento della storia tira nella direzione del sovranismo, o per meglio dire del neo-nazionalismo. Che può essere letto come una sorta di egoismo di massa, ma anche come una legittima reazione dei popoli, che chiedono allo Stato nazionale la protezione dallo strapotere del capitalismo globale. Eppure non saranno Le Pen e Mélenchon a risolvere il crollo del potere d’acquisto, l’indebolimento del ceto medio, l’irrilevanza dell’Europa nelle guerre alle sue frontiere orientali e meridionali.
Certo, il fallimento di Macron all’apparenza è una buona notizia per Giorgia Meloni, che con il presidente francese non ha mai legato. Ma se i Paesi dell’Ue, a cominciare dal nostro, pensano di affrontare Trump e le sue minacce — i dazi, il disimpegno dalla Nato, l’abbandono del continente a Putin — ognuno per proprio conto, preparano davvero il suicidio europeo.

 

La richiesta di impeachment per il presidente sudcoreano
Il parlamento della Corea del Sud ha presentato una mozione per l’impeachment del presidente Yoon Suk Yeol, dopo quella che Paolo Salom definisce: «La notte più assurda degli ultimi 40 anni». («Il presidente Yoon Suk-yeol che dichiarava la legge marziale, i soldati che provavano a prendere d’assalto il palazzo dell’Assemblea nazionale, il corpo a corpo tra i cittadini – più scandalizzati che furiosi – e gli uomini in divisa. Poi la marcia indietro del capo dello Stato»).

People hold candles during a candlelight vigil against South Korean President Yoon Suk Yeol in Seoul, South Korea, Wednesday, Dec. 4, 2024. (AP Photo/Ng Han Guan)Una protesta a Seul contro il presidente  Yoon Suk Yeol (Ng Han Guan/Ap)

 

Il Partito del Potere del popolo di Yoon Suk Yeol (cha ha 108 seggi in parlamento) ha dichiarato che si opporrà alla richiesta di impeachment che dovrebbe essere votata domani. Per approvarla servono i due terzi dei 300 parlamentari sudcoreani, che l’opposizione da sola non ha. Ma Han Dong Hoon, leader di Potere del popolo, ha chiesto al capo dello Stato e al premier Han Duck Soo di lasciare il partito. Ieri intanto si è dimesso anche il ministro della Difesa Kim Yong Hyun, legato a Yoon (e secondo alcuni colui che gli avrebbe suggerito di proclamare la legge marziale).

 

 

Se la richiesta di impeachment verrà approvata, dovrà essere confermata dalla Corte costituzionale (un processo che potrebbe richiedere fino a 180 giorni). Yoon sarebbe subito sospeso dall’esercizio del potere e il primo ministro Han Duck-soo assumerebbe il ruolo di leader. Se invece si dovesse dimettere o dovesse lasciare, si terrebbero nuove elezioni entro 60 giorni. Alle ultime, ad aprile, il partito al governo del presidente Yoon era stato sconfitto dall’opposizione, che ha conquistato poco meno di due terzi dei seggi in parlamento.

 

 

Yoon, un procuratore di carriera, ha ottenuto una vittoria di misura alle elezioni presidenziali del 2022, cavalcando un’ondata di malcontento per la politica economica, gli scandali e la polarizzazione senza precedenti tra uomini e donne nel Paese (Yoon, oltre a essere un sovranista con tendenze autoritarie, è un feroce antifemminista). Ma il suo indice di gradimento è rimasto molto basso (intorno al 20%) e la sua popolarità è scesa ancora il mese scorso dopo che  la moglie Kim Keon Hee è stata accusata di corruzione per aver accettato il dono di una borsa di Dior da parte di Abraham Choi Jae-young, un pastore protestante  («un po’ politico e un po’ faccendiere», spiega Guido Santevecchi) che predica la riconciliazione con la Corea del Nord.

 

 

La legge marziale è stata dichiarata più di una dozzina di volte da quando la Corea del Sud è stata fondata come repubblica nel 1948. Nel 1980, i militari costrinsero l’allora presidente Choi Kyu-hah a proclamare la legge marziale per reprimere le richieste di ripristino di un governo democratico.

 

 

Racconta ancora Salom da Seul:
Con la chiusura di fabbriche e uffici, ieri, le strade di Seul si sono riempite di una folla variegata, giovani, impiegati, operai, disabili in carrozzella, madri di famiglia. Tutti con cartelli che sembravano essersi moltiplicati per miracolo: ognuno il proprio ben esposto. “Yoon dimettiti” ripetono con caratteri rossi o neri davanti alle telecamere e alle fiaccolate. Un corteo di migliaia di persone ha sfilato quindi ordinatamente dal centro verso il Parlamento e la residenza presidenziale. Il traffico non si è bloccato: le auto passavano lentamente ma senza essere ostacolate al fianco dei manifestanti. Il messaggio non poteva essere più chiaro. Mentre i deputati presentano un disegno di legge per l’impeachment di Yoon (sarà discusso a partire da oggi in aula, dovrà ottenere una maggioranza dei due terzi), perché “la libertà va protetta”, come dice il parlamentare democratico Kim Yong-min, la società civile sudcoreana ha già chiarito senza ombra di dubbio di non essere minimamente attratta dalla suggestione delle “maniere forti”: non si torna indietro, la stagione dei governi semi-dittatoriali, chiusa negli anni Ottanta del secolo scorso, appartiene a un passato che non affascina più nessuno.

 

 

«Fra tre mesi potremmo avere nuove elezioni. Probabilmente vincerà un esponente dell’attuale opposizione del partito democratico, più propensa a migliorare i rapporti con la Cina e a tentare una normalizzazione col regime della Corea del Nord. Non mi stupirebbe se il primo viaggio del futuro presidente fosse a Pechino» dice il politologo Ian Bremmer di Eurasia a Massimo Gaggi. «Il principale successo diplomatico della presidenza Biden, assieme al rafforzamento della Nato, è stato il patto di Camp David tra Stati Uniti, Giappone e Corea. Importante quanto i patti di Abramo in Medio Oriente tra Israele e Paesi arabi. Il superamento delle divisioni storiche tra Tokyo e Seul. La creazione di un’alleanza politica, militare, di servizi segreti importante quanto quella denominata Quad (la quadrilaterale tra Usa, Australia, India e Giappone, ndr): anche se senza sigle, è un accordo ancor più rilevante. Ha creato ben 15 canali di comunicazione e collaborazione diretta fra i tre Paesi. Yoon, il leader coreano più aperto al Giappone, era il cuore di questa intesa. Non so cosa ne rimarrà dopo un cambio di governo a Seul».

 

I neonazisti che volevano uccidere la premier Meloni
Volevano uccidere la premier Giorgia Meloni, che accusavano di essere una «traditrice», «concubina di Sion», «fascista finché non è salita al potere e ora rinnega di esserlo». Dodici neonazisti, appartenenti a una cellula terroristica che stava preparando «azioni violente contro alte figure istituzionali», sono stati arrestati ieri dalla Digos, al termine di un’indagine durata due anni in cui sono stati intercettati mentre facevano tra le altre minacce ritenute concrete alla premier. «Allenavo cinque persone potenzialmente guerriglieri a dargli un’arma in mano, andare davanti alla Meloni e sparargli in testa» diceva Salvatore Nicotra, uno degli arrestati, in uno scambio intercettato l’anno scorso. Secondo la polizia, la cellula era «già in fase operativa», e «in grado di compiere attacchi con le tecniche utilizzate sia dai suprematisti bianchi che dai jihadisti». L’indagine coinvolge 25 persone in varie città, da Palermo a Milano accusate di aver organizzato e fatto parte dell’associazione Divisione Werwolf, che difendeva ideali suprematisti e neonazisti, negava l’Olocausto, aveva posizioni antisemite e mirava ad abolire la democrazia per istituire uno stato autoritario di ispirazione razzista. Tra le persone prese di mira dal gruppo terroristico ci sono anche il giornalista David Parenzo e il presidente del World Economic Forum Klaus Schwab.

Scrive Andreina Baccaro:
I componenti della Werwolf Division stavano realmente perseguendo, secondo le accuse, il progetto di uccidere la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, come dimostra l’intercettazione del maggio 2023 attribuita a Salvatore Nicotra, bolognese di 45 anni, in carcere, considerato uno degli organizzatori dell’attività di propaganda, dedito al proselitismo e all’addestramento di nuove leve. Frequentatore di palestre di Thai Boxe e appassionato di armi da fuoco, per gli inquirenti risultavano allarmanti i suoi propositi di commettere omicidi anche da solo. Si dichiarava «pronto a morire per la causa».
«C’è un albergo davanti al Parlamento, da lì gli puoi sparare un colpo dall’alto» diceva sempre Nicotra, riferendosi secondo gli inquirenti a uno «scenario operativo» per «attentare alla vita» della premier, definita «traditrice», concubina di Sion, bisogna farla cadere», «fascista finché non è salita al potere e ora rinnega di esserlo». Un progetto inserito a quanto pare in un quadro più ampio: «Io vi stavo addestrando perché volevo unirci appunto all’ordine di Hagal, cioè a Forza Nuova e a quegli altri, per andare giù a Roma e fare un colpo di Stato contro il governo…al Parlamento. Volevo dare un’arma a ciascuno, un fucile a ciascuno, addestrati a dovere per fare la guerriglia».

 

Cinque dei 12 arrestati sono del Bolognese. Si tratta di Daniele e Federico Trevisani, 37 e 33 anni, di San Benedetto in Val di Sambro, Andrea Ziosi, 37 anni, di Bologna, Salvatore Nicotra, 45 anni, di Granarolo Emilia e Alessandro Giuliano, 51 anni, di Galliera. Secondo gli investigatori, Daniele Trevisani e Andrea Ziosi avrebbero ricoperto ruoli di vertice. Gli altri arrestati sono Luca Porta, 50 anni di Rho (Milano), Simone Sperotto, 19 anni, di Thiene (Vicenza), Valerio Tellenio, 22 anni, di Fano (Pesaro), Pierluigi Cilano, 26 anni, di Palermo, Diego Cavallucci, 44 anni, di Pescara, Davide Armenise, 36 anni, di Bari, Giuseppe Fallisi 76 anni, di Ostuni (Bari). Nel corso delle perquisizioni sono stati sequestrati non cimeli, bandiere e materiale con simboli nazisti o neofascisti, armi da taglio (coltelli e katane) e armi da sparo. Tra le persone perquisite, indagate a piede libero, ci sono anche Fabio Tuiach, ex pugile ed ex consigliere comunale di Trieste, in passato militante della Lega e poi in Forza nuova e Simonetta Cesari, 62 anni modenese, nel 2015 segretaria del Fronte nazionale della città emiliana.

Stellantis, tra i megadividendi degli azionisti e i tagli ai posti di lavoro
Ieri John Elkann, il neo-capo del comitato speciale alla guida di Stellantis e azionista di riferimento dell’azienda, ha visitato la fabbrica Maserati di Modena, nel suo primo incontro dopo le dimissioni a sorpresa del ceo Carlos Tavares. «La nostra industria sta attraversando momenti duri» ha detto Elkann.

 

 

Scrivono Rita Querzè e Francesco Bertolino:
Sono tutti gli stabilimenti italiani dell’ex Fiat a soffrire, tanto che nel 2024 non si arriverà a 500 mila veicoli assemblati nel Paese. Se questi livelli produttivi saranno mantenuti, secondo le stime di AlixPartners, i posti a rischio nel settore auto in Italia saranno almeno 50 mila. Non a caso, il governo ha fissato a un milione il numero di veicoli che dovrebbero uscire dai sei stabilimenti Stellantis entro il 2030. Oltre il doppio.

 

All'esterno dello stabilimento ex Fiat di Pomigliano d'Arco l'albero di Natale con i nomi dei licenziati decritto come ''dono della Stellantis' agli operai della Trasnova azienda cui il colosso automobilistico non ha ancora rinnovato la commessa per le attività nei propri siti produttivi italiani e che da ieri hanno bloccato l'accesso dei mezzi, 3 DICEMBRE 2024 ANSA / NPKL’«albero dei disoccupati» allestito in protesta davanti allo stabilimento ex Fiat di Pomigliano d’Arco

 

Eppure il momento non è egualmente duro per tutti. Spiegano ancora Querzè e Bertolino:
Tavares ha mantenuto la produzione degli stabilimenti al minimo, sfruttando ogni picco di domanda di auto per alzare i prezzi. Il piano ha scontentato governi e dipendenti, ma ha trasformato Stellantis in una macchina da soldi. In quattro anni il gruppo ha distribuito agli azionisti circa 23 miliardi, fra dividendi e riacquisti di azioni proprie. La famiglia Agnelli-Elkann, primo socio della casa con il 14,9% tramite la cassaforte Exor, ha incassato cedole per quasi 3 miliardi.

 

Numeri che stridono con il calo dei dipendenti in Italia, passati da poco meno di 53 mila alla nascita di Stellantis, nel gennaio 2021, ai poco meno di 40 mila stimabili a fine anno: via uno su quattro. Nel 2024 saranno circa 3.000 gli esodi incentivati. Altri 1.500 l’anno scorso e 3.000 nel 2022. I lavoratori in uscita hanno potuto contare su somme variabili dai 30 ai 130 mila euro (a seconda di ruolo e anzianità di servizio). Stimando una buonuscita media da 70 mila euro a lavoratore, si può valutare in circa 500 milioni di euro quanto stanziato negli ultimi tre anni per ridurre i dipendenti in Italia. Ampio nello stesso tempo il ricorso alla cassa integrazione. Dal 2014 al 2020 Fca ha ricevuto dallo Stato per 183 milioni. Dal 2021 al maggio 2024 la spesa dello Stato per la cassa è salita a 703 milioni. Nel 2025 la cassa scadrà per circa 12 mila dipendenti Stellantis e per altrettanti nell’indotto: senza proroga l’unica prospettiva è la perdita del lavoro.

 

In altre parole, gli azionisti si arricchivano grazie anche ai soldi stanziati dallo Stato italiano, cioè da noi contribuenti, per tamponare i problemi sociali causati dalle loro politiche industriali.

 

Sì al contestato decreto sui Paesi sicuri
Il Senato ha approvato definitivamente il decreto flussi che elenca i «Paesi sicuri», fra i quali Bangladesh, Egitto e Marocco, nei quali è possibile rimpatriare i migranti irregolari. La norma prevede anche che i contratti pubblici di fornitura di mezzi e materiali per il controllo delle frontiere e delle attività di soccorso in mare siano segreti. E infine stabilisce la competenza delle Corti d’Appello, e non più dei Tribunali specializzati, sulla convalida del trattenimento dei richiedenti asilo. La misura era stata introdotta dalla maggioranza dopo che diversi Tribunali hanno valutato che la definizione di Paesi sicuri usata dal governo nel decreto fosse illegittima e in contrasto con il diritto europeo.

La Cassazione sui migranti in Albania, la richiesta dei pg: «Sospendere i trattenimenti fino alla sentenza Ue»

I 7 migranti trasferiti nel centro di Shengjin, in Albania, e poi riportati in Italia a novembre (V.Sulaj/Lapresse)

 

 

Il Consiglio superiore della magistratura (Csm, l’organo che rappresenta i magistrati) ha dato un parere negativo, che non è vincolante, al ministro del Giustizia su quest’ultimo punto, spiegando che il passaggio di responsabilità alle Corti d’appello provocherà l’«allungamento dei tempi nelle Corti d’appello, e dunque il mancato raggiungimento degli obiettivi fissati dal Pnrr, e il rischio che a giudicare siano magistrati privi delle competenze necessarie». E ancora: con il provvedimento «si incrina il consolidato assetto giurisdizionale in tema di convalida dei trattenimenti».

 

 

Ma il governo ha ignorato il parere del Csm: per far passare la propria linea sui Paesi sicuri è pronto a rischiare di ingolfare ancora di più la già lenta giustizia italiana.

 

 

Intanto nove comuni sull’asse dell’A4, sia di centrosinistra che di centrodestra (Milano, Brescia, Bergamo, Monza, Verona, Vicenza, Padova, Venezia e Udine) hanno inviato un appello al governo perché si occupi anche dei migranti che arrivano dalla rotta balcanica, che dall’Est Europa entra in Italia a Trieste. Il sistema dell’accoglienza italiano è strutturato sugli sbarchi dal mare, che però sono sempre meno degli arrivi via terra. Migranti e rifugiati che arrivano dall’Est sono invece lasciati a se stessi e spesso dormono in strada in bivacchi di fortuna.

 

Le polemiche per la mancata condanna per stalking di Turetta
«Il non riconoscimento dello stalking è una mancanza di rispetto anche della famiglia della vittima e l’ennesima conferma che alle istituzioni non importa nulla delle donne. Sei vittima solo se sei morta, quello che subisci in vita te lo gestisci da sola». Lo ha scritto su Instagram Elena Cecchettin, sorella di Giulia, dopo la condanna del suo ex e assassino Filippo Turetta all’ergastolo per omicidio aggravato dalla premeditazione, sequestro di persona e occultamento di cadavere, senza le aggravanti della crudeltà e dello stalking.

La sentenza del processo di Filippo Turetta per l’omicidio di Giulia Cecchettin nell’aula del tribunale di Venezia, Italia - 3 Dicembre 2024 - Cronaca (foto da frame video Pool Rai/LaPresse) The sentencing in the trial of Filippo Turetta for the murder of Giulia Cecchettin in the courtroom in Venice, Italy - Dec. 3, 2024 - News (photo from video frame Pool Rai/LaPresse)Filippo Turetta in aula a Venezia martedì dopo la sentenza

 

Come scrive Andrea Pasqualetto, secondo l’avvocato di Turetta Giovanni Caruso, che ieri ha ricevuto una busta anonima con tre proiettili in studio ed è sotto protezione, l’aggravante di stalking non era giustificata perché «il delitto di atti persecutori non è un delitto di condotta, è un delitto di evento e il legislatore ha ritenuto di incriminare i comportamenti molesti individuando tre conseguenze sulla vittima: il perdurante e grave stato di ansia o di paura, il fondato timore per la propria o l’altrui incolumità e il cambiamento delle proprie abitudini di vita. Ne basta una delle tre perché ci sia stalking. E noi non siamo riusciti a individuarne».

 

 

Spiega Pasqualetto:
Per l’accusa pochi dubbi: «Sulla base delle dichiarazioni di Giulia ai propri confidenti e allo stesso imputato è provato che nutrisse paura di Turetta e che la sua condotta le provocasse un grave stato d’ansia», ha scritto Petroni nella sua requisitoria dopo aver riportato il testo di alcuni audio registrati da lei che già l’aveva lasciato: «Non ce la faccio con Pippo, ci sentiamo tutti i giorni… credo di non sopportarlo più… cioè vorrei veramente che lui almeno per un periodo sparisse». E allo stesso Filippo si rivolgeva così: «So come sei fatto, so cos’hai fatto altre volte e ora dirti dove vado e a che ora mi fa spavento, ok? Perché so che potresti presentarti e fare qualsiasi cosa, voglio poter stare serena, ogni tanto mi fai paura». Parla di paura, Giulia: con lui e anche con qualche amica.
«Ma non si tratta di un grave e perdurante stato d’ansia — ha spiegato Caruso nella sua arringa — Giulia ci esce, vanno insieme ai concerti, è lei stessa a chiedergli di accompagnarla alla Nave de Vero l’ultimo tragico giorno. Certo, lo fa perché è una persona meravigliosa, perché ha una grande umanità, ma non ha paura». E sul cambiamento delle abitudini: «Giulia ha continuato a fare i suoi esami, ha tenuto le sue amicizie e in ogni caso questo elemento non era contestato».
Preoccupazioni, ansie, paure. Per Elena Biaggioni, avvocata e vicepresidente di D.i.Re (donne in rete contro la violenza) non ci può essere un paradigma: «Ognuna risponde a modo suo. Posso avere ansia e continuare a uscirci perché temono la reazione al rifiuto».

 

Le altre notizie importanti

 

  • La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha ricevuto il premier Viktor Orbán a Palazzo Chigi. «Al termine – scrive Monica Guerzoni – non si presentano davanti ai giornalisti e affidano la sintesi a un comunicato stampa congiunto. Una formula di compromesso che appare dettata dalla necessità di non contraddirsi nelle dichiarazioni pubbliche, viste le divergenze politiche su diversi dossier. I Patrioti di Orbán, a differenza dei Fratelli d’Italia, hanno votato contro la nuova commissione presieduta da Ursula von der Leyen e anche sull’Ucraina l’approccio è molto diverso». I due leader però concordano nella richiesta alla Ue di una stretta sui rimpatri basato sulla modifica della definizione di «Paesi di origine sicuri» (quelli del decreto trasformato in legge ieri tra le polemiche).
  • Doccia fredda da parte dell’Ocse sulle aspettative di crescita economica in ItaliaSecondo l’Economic Outlook presentato ieri a Parigi, il Pil italiano dovrebbe aumentare solo dello 0,5% nel 2024, in calo rispetto alle precedenti Prospettive economiche intermedie pubblicate a settembre.
  • La Camera ha approvato il decreto “anticipi” collegato alla manovra, che riapre il concordato fiscale biennale e la rateizzazione degli acconti Irpef. Intanto la Lega ha rilanciato la rottamazione delle cartelle esattoriali. Sarebbe la quinta edizione della sanatoria, particolarmente favorevole a chi non ha pagato quanto doveva allo Stato.
  • Un uomo a volto coperto a New York ha ucciso a colpi di pistola Brian Thompson, ceo di United Healthcare, colosso assicurativo sanitario americano, e poi è fuggito in bici. Thompson era stato minacciato anche sui social per i pagamenti delle cure negati ai clienti della sua assicurazione.

 

Da ascoltare
Nel podcast «Giorno per giorno», il racconto di Paolo Salom dalla Corea del Sud, dove il presidente Yoon Suk Yeol rischia l’impeachment. Luigi Ippolito parla dei 100 milioni di dollari con cui Elon Musk vorrebbe aiutare il leader populista Nigel Farage (quello della Brexit) a diventare il nuovo premier britannico. Olivio Romanini spiega chi sono i neonazisti della rete «Werwolf» arrestati dalla polizia.

Il Caffè di Massimo Gramellini
Ma lasciarli in pace?

Genitori che accompagnano i figli a occupare la scuola, e altri (è appena successo in un liceo romano) che partecipano ai sit-in contro l’occupazione. Oltre al senso del ridicolo, che evidentemente però si è smarrito da tempo, li accomuna questo dannato bisogno di rivivere l’adolescenza per interposto pargolo, ma soprattutto l’ansia di evitargli qualsiasi trauma. Milioni di adulti (compresi loro) sono sopravvissuti alle occupazioni, sia che facessero parte delle minoranze motivate che le organizzavano, sia che si riconoscessero nelle maggioranze che si accodavano o le subivano. Per molti ragazzi si tratta della prima vera esperienza conflittuale in un luogo diverso dalla famiglia. Un rito di passaggio che, per essere tale, richiede la presenza dei professori, ma l’assenza dei genitori. Di tutti i genitori, occupanti e contro-occupanti.
Del poco che ho capito finora, riguardo a questo mestiere complicatissimo, il compito di una madre e di un padre consiste nell’esserci in casa, ma nell’allentare il cordino invisibile con cui vorremmo tenerli legati quando escono, persino per andare a scuola. Ci vanno per imparare, anche a trasgredire. E come potranno mai farlo con noi sempre tra i piedi? Si tratta di un gioco delle parti, ma se gli adulti interpretano lo stesso ruolo dei giovani, il gioco finisce e subentra il caos. Un’educazione senza contrapposizione è come una terra senza confini: un deserto. E nei deserti, di solito, ci si perde.

Grazie per aver letto Prima Ora, e buon giovedì.

(Gli indirizzi della redazione Digital: gmercuri@rcs.itlangelini@rcs.itetebano@rcs.itatrocino@rcs.it)