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martedì 07 gennaio 2025
Lo scontro sui satelliti di Musk, l’ultradestra verso il governo in Austria, l’inchiesta sul Capodanno a Milano
La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, incontra a Palazzo Chigi Elon Musk, fondatore di Tesla e SpaceX, Roma, 15 giugno 2023./// Italian Prime Minister Giorgia Meloni meets with Elon MUsk, founder of Tesla and SpaceX, at Chigi Palace in Rome, Italy, 15 June 2023. ANSA/ UFFICIO STAMPA PALAZZO CHIGI/ FILIPPO ATTILI +++ ANSA PROVIDES ACCESS TO THIS HANDOUT PHOTO TO BE USED SOLELY TO ILLUSTRATE NEWS REPORTING OR COMMENTARY ON THE FACTS OR EVENTS DEPICTED IN THIS IMAGE; NO ARCHIVING; NO LICENSING +++La premier Giorgia Meloni con Elon Musk (foto Ansa)
editorialista di Luca Angelini

 

Buongiorno.

 

 

Secondo la premier Giorgia Meloni, la notizia che se ne sia parlato anche nell’incontro con Donald Trump a Mar-a-Lago, è «semplicemente ridicola». Ma da quando l’agenzia di stampa economica Bloomberg ha scritto che sarebbe pronto un accordo da 1,5 miliardi di euro per garantire all’Italia per cinque anni la fornitura di servizi avanzati di sicurezza nelle telecomunicazioni attraverso la rete satellitare Starlink di Elon Musk, nei palazzi della politica non si parla d’altro. Anche perché lo stesso Musk, sul suo social X ha twittato: «Pronti a fornire all’Italia la connettività più sicura e avanzata».

 

 

La nota ufficiale di Palazzo Chigi – arrivata prima del tweet di Musk – recita che «le interlocuzioni con SpaceX rientrano nei normali approfondimenti che gli apparati dello Stato hanno con le società, in questo caso con quelle che si occupano di connessioni protette per le esigenze di comunicazione di dati crittografati». Da Fratelli d’Italia, Giovanni Donzelli aggiunge: «Che Musk sia pronto a fornire servizi e a guadagnarci non mi sembra una notizia, tutti sanno che fa l’imprenditore» (ma, va aggiunto, è anche prossimo a ricoprire un incarico nell’amministrazione Trump).

 

 

Già quelle interlocuzioni sembrano però una pessima idea a Carlo Calenda, di Azione: «Trovo estremamente pericoloso siglare contratti con Starlink mettendo pezzi della nostra sicurezza in mano ad un pazzo sempre più fuori controllo, che si intromette puntualmente e violentemente nelle questioni europee» (vedi l’endorsement al partito di estrema destra tedesco Afd, a Nigel Farage e Tommy Robinson in Gran Bretagna o gli attacchi ai giudici italiani per aver bloccato l’invio di richiedenti asilo in Albania e al premier britannico Keir Starmer, da lui accusato di aver «insabbiato» una vicenda di stupri da parte di una gang di pachistani).

 

 

Non meno critici altri esponenti dell’opposizione: «Giorgia Meloni e il suo governo vengano immediatamente a riferire in Parlamento — reclama la segretaria del Pd Elly Schlein —. Se 1,5 miliardi di soldi degli italiani per portare i satelliti di Musk nel nostro Paese è il prezzo che dobbiamo pagare per la sua amicizia noi non ci stiamo, l’Italia non si svende». E il leader M5S, Giuseppe Conte: «I “patrioti” al governo stanno mettendo la nostra sicurezza nazionale nelle mani di Musk alla modica cifra di 1,5 miliardi pubblici? Tutela delle aziende, protezione dei dati, della privacy, cybersicurezza: tutto questo può essere deciso sulla base di rapporti personali?». (Qui l’approfondimento di Giuliana Ferraino sulla rete di interessi di Musk in Italia e qui l’editoriale di Angelo Panebianco «Il mondo secondo Trump»)

 

 

E se, dalla Francia, anche il presidente Emmanuel Macron accusa Musk di «sostenere una nuova internazionale reazionaria», esulta invece Matteo Salvini, vicepremier e leader della Lega: «Musk è un protagonista dell’innovazione a livello mondiale, un eventuale accordo con lui per garantire connessione e modernità in tutta Italia non sarebbe un pericolo ma una opportunità. Confido che il governo acceleri in questa direzione». Se poi l’accordo in questione sia soltanto «fantomatico», come dice il leader di Noi Moderati Maurizio Lupi, lo si scoprirà presumibilmente presto.

 

 

Non serve attendere conferme, invece, per sapere che l’intera vicenda, a partire dalla visita a sorpresa di Meloni a casa-Trump in Florida, ha alquanto irritato l’altro vicepremier, Antonio Tajani, leader di Forza Italia che, pur essendo ministro degli Esteri, del viaggio americano di Meloni avrebbe saputo quando ormai era tutto deciso. «Tornata a Roma – scrive Monica Guerzoni – Meloni deve fare i conti con la fibrillazione dei suoi vice, costretti ad assistere allo spettacolo di una premier che balla sempre più da sola. Salvini, che ha da tempo in tasca il biglietto per presenziare il 20 gennaio alla cerimonia di insediamento di Trump, si è visto scavalcato in corsa. E Tajani è a dir poco infastidito dal dinamismo della donna che guida il governo e che si sta occupando in prima persona del destino di Cecilia Sala, senza troppo curarsi di concertare le scelte con Farnesina e servizi segreti e di aggiornare i leader delle opposizioni. “Giorgia, dobbiamo andare avanti insieme altri tre anni”, ha detto chiedendo più condivisione il leader di FI, preoccupato anche per la tenuta del leader leghista».

 

Le dimissioni di Belloni dai servizi

 

Non hanno certo rasserenato il quadro le dimissioni di Elisabetta Belloni dal vertice dei servizi segreti. Anche perché, scrive Marco Galluzzo, anche se consegnate prima di Natale, sarebbero il frutto delle stesse vicende di cui sopra: «Il caso di Cecilia Sala è stata forse la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Dal primo istante dell’arresto della nostra connazionale, Elisabetta Belloni — da due anni e mezzo a capo del Dis, la struttura di coordinamento dei nostri servizi segreti — è stata tenuta fuori dal dossier, accentrato su Palazzo Chigi e gestito in prima battuta dall’Aise (il servizio segreto per gli affari esteri, ndr) di Gianni Caravelli».

 

 

«Ho maturato questa decisione da tempo, ma non ho altri incarichi. Lascerò il posto di direttore del Dis il 15 gennaio», ha scritto Belloni spiegando la sua decisione, in anticipo di cinque mesi sulla scadenza naturale del mandato. In realtà, molti danno per molto probabile un nuovo incarico di alto livello, come rappresentante personale di Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, su uno dei dossier strategici che si aprono nella nuova legislatura Ue: dalla sicurezza all’immigrazione.

 

 

Spiega Galluzzo che Belloni non aveva da tempo buoni rapporti né con Tajani (che si sarebbe opposto alla possibilità che sostituisse Raffaele Fitto nel governo) né con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano: «Spaccature e incomprensioni che hanno deteriorato le relazioni personali e la necessaria fiducia. Che in questi casi è innanzitutto con il premier, rispetto alla quale forse Belloni, sulla vicenda Fitto, ma non solo, si sarebbe attesa maggiore protezione».

 

 

Tra i papabili sostituti ci sono l’attuale vice di Belloni, la prefetta Alessandra Guidi, il prefetto Vittorio Rizzi, ora vicedirettore dell’Aisi, l’Agenzia informazioni e sicurezza interna, il prefetto di Roma Lamberto Giannini e, più in seconda fila, il generale Francesco Paolo Figliuolo.

 

L’Iran e Cecilia Sala

 

Dopo aver lasciato chiaramente intendere che l’arresto a Teheran della giornalista del Foglio e di Chora Media Cecilia Sala e quello, pochi giorni prima a Malpensa, dell’ingegnere iraniano Mohammed Abedini – che gli Usa considerano l’«uomo dei droni» dei pasdaran e vorrebbero veder estradato – erano collegati, a Teheran cambiano versione e, per bocca del portavoce del ministro degli Esteri, Esmail Baghaei, dicono che collegamenti fra le due vicende non ce ne sono. In compenso, continuano a considerare l’arresto di Abedini «una forma di presa in ostaggio».

 

 

Sul fronte italiano, ieri c’è stata la riunione del Copasir sul caso. E, anche se si è tenuta a porte chiuse, Virginia Piccolillo spiega che le opposizioni hanno contestato al sottosegretario con delega ai servizi segreti, Alfredo Mantovano, «un buco di due giorni nelle informazioni dell’intelligence che sarebbe costato caro a Cecilia Sala. (…) Il 16 dicembre — subito dopo l’arresto (per conto degli Stati Uniti) a Malpensa con l’accusa di terrorismo di Mohammad Abedini, l’uomo accusato di rivelare ai Guardiani della Rivoluzione della Repubblica islamica dell’Iran i segreti dei droni Usa — sarebbe dovuto scattare l’allarme. Soprattutto dovevano essere prese contromisure da Farnesina e 007 per scongiurare la prevedibile ritorsione nei confronti del nostro Paese. Invece è rimasta una falla nella rete di tutela dei potenziali obiettivi, tra i quali Cecilia Sala — giornalista che dà voce a vittime e dissidenti — era forse tra i più prevedibili, cosa che Mantovano non ha potuto negare».

 

 

«Vorrei rassicurare i famigliari della vostra giornalista: la prigione è dura ma un ostaggio vale solo se è in buone condizioni, quindi non verrà torturata o maltrattata. Accanto a questo, un comitato di sostegno è fondamentale: per ottenere condizioni di detenzione migliori e per farle sapere che il mondo esterno non la dimentica», dice a Stefano Montefiori il sociologo francese  Roland Marchal, finito come Cecilia Sala nel carcere di Evin a Teheran, nel 2019, sempre per una ritorsione. «Tutto lascia supporre che il caso della vostra giornalista sia uguale al mio: siamo stati usati come moneta di scambio».

 

 

Scrive l’ambasciatore Giampiero Massolo: «La nostra priorità è riportare a casa una cittadina italiana. La via è quella del negoziato e dei patti riservati: accordi triangolari con gli iraniani e con gli americani. E quanto a questi ultimi, sapendo che ai decisori politici si accompagna la memoria lunga degli apparati. L’interesse nazionale sta nell’ottenere il risultato senza soluzioni che possano apparire poco chiare, conservando la credibilità».

 

 

In proposito, precisa Monica Guerzoni, la versione della nostra premier è che «poiché la situazione è delicatissima anche dal punto di vista diplomatico, con Trump che non è ancora entrato alla Casa Bianca e Biden che non ne è ancora uscito ed è atteso giovedì mattina a Palazzo Chigi, Meloni ha chiesto ai suoi di chiarire che “gli apparati dello Stato italiano stanno parlando con l’attuale amministrazione Usa, non con quella futura“. Come a dire che non c’è nessuno sgarbo nei confronti di Biden e che il caso Sala non era il “motore principale” della missione a Mar-a-Lago».

 

L’Austria svolta a (ultra)destra

 

Il «cordone sanitario» che la politica tradizionale ha steso da anni attorno ai partiti della nuova destra euroscettica, contraria all’immigrazione e filorussa, sembra non reggere più. «Ieri mattina – scrive Irene Soave – ne ha preso atto, indicando «il rispetto della volontà delle elettrici e degli elettori», il presidente austriaco Alexander Van der Bellen, che a ottant’anni, e dopo una vita nei Verdi, ha dovuto convocare all’Hofburg il controverso leader della Freiheitliche Partei Österreichs (FPÖ), Herbert Kickl, per dargli il compito di formare un governo».

 

 

A settembre, dopo che le elezioni avevano incoronato la FPÖ primo partito, Van der Bellen aveva scelto di dare l’incarico ai Popolari del cancelliere Karl Nehammer (si dimette venerdì) giustificandosi con l’assenza di partiti disposti a un’alleanza con l’ultradestra. Ora, però, «le cose sono cambiate: i Popolari hanno rinunciato al loro rifiuto categorico di governare sotto la guida della FPÖ». E ha aggiunto, dopo aver congedato Kickl: «Non ho fatto questo passo a cuor leggero».

 

 

Di Kickl, probabile primo cancelliere di estrema destra dalla fine del nazismo, Paolo Valentino scrive che, pur non avendo il carisma del suo maestro, il defunto Jörg Haider, «è una macchina da guerra. Disciplinato, maniaco del controllo della narrazione, con un grande talento per i social media, strumento privilegiato della sua campagna vincente nella quale non ha dato una sola intervista a giornali, radio e televisioni. Per risollevare la FPÖ dal baratro, riportandola al centro del paesaggio politico, ha usato la pandemia abbracciando posizioni no-vax, l’immigrazione teorizzando le deportazioni di massa e la guerra in Ucraina dove ha sposato le posizioni filorusse e neutraliste dell’ungherese Viktor Orbán, il suo modello. La sua retorica è violenta, gli slogan contundenti e incendiari, spesso presi direttamente dal vocabolario nazista. Come Hitler, dice di voler essere Volkskanzler, cancelliere del popolo. Bolla come Volksverräter, traditori del popolo, gli avversari politici. Dice di volere in Austria «Heimatliebe statt Marokkanerdiebe», patrioti invece di ladri marocchini. È studiosamente ambiguo sulla permanenza dell’Austria nell’Ue e definisce la lotta ai cambiamenti climatici, “comunismo climatico”».

 

 

Quanto al «cordone sanitario» che non tiene più, ha scritto Elena tebano nella nostra Rassegna: «Il senso di perduta sicurezza economica ed esistenziale della classe media è molto più pressante delle preoccupazioni per la tenuta delle istituzioni democratiche o gli allarmi sulle derive autoritarie. Dopo decenni di governo dei partiti tradizionali il sistema ha smesso di funzionare e gli elettori votano l’estrema destra perché offre una doppia soluzione «comprensibile» a un problema generale: un capro espiatorio (i migranti) e la distruzione dell’establishment che gli elettori identificano con le promesse tradite. Bisognerà vedere cosa succederà quando verrà fuori che le promesse facili non sono una vera soluzione per i problemi complessi».

 

VIENNA, AUSTRIA - JANUARY 06: Herbert Kickl, leader of the far-right Austria Freedom Party (FPOe), leaves after meeting at the Presidents office with Austrian President Alexander van der Bellen on January 06, 2025 in Vienna, Austria. Van der Bellen has invited Kickl to lead a second round of coalition negotiations following the recent collapse of coalition negotiations between three parties led by Austrian Chancellor and leader of the Austrian People's Party (OeVP) Karl Nehammer. Nehammer has stepped down from both roles, and his successor at the OeVP has stated his willingness to form a government with the FPOe with Kickl as chancellor. (Photo by Thomas Kronsteiner/Getty Images)

Herbert Kickl, incaricato di formare il governo in Austria (Getty Images)

 

La resa di Trudeau in Canada

Il primo ministro canadese Justin Trudeau ha annunciato le dimissioni. In un’affollatissima conferenza stampa fuori dalla sua residenza ad Ottawa, l’ex icona liberal ha dichiarato che lascerà la guida del governo, dopo quasi un decennio, non appena il suo Partito liberale avrà scelto un successore«Le battaglie interne al mio partito – ha detto – indicano che io non possa essere la migliore opzione» per le elezioni federali, fissate per il prossimo ottobre. Ad aggiungere maggiore incertezza alla situazione politica, proprio nell’anno in cui il Canada assume la presidenza del G7, Trudeau ha chiesto che il Parlamento resti «sospeso» fino al prossimo 24 marzo per permettere ai liberali di scegliere il futuro leader: l’uomo o la donna (tra i favoriti alla successione ci sono l’attuale ministra degli Esteri, Melanie Joly, e l’ex ministra delle Finanze Chrystia Freeland, che a dicembre ha lasciato il governo criticando Trudeau con un livore inatteso), che affronterà il sempre più popolare leader conservatore Pierre Poilievre alle urne.

Scrive Sara Gandolfi che Trudeau «con indici di popolarità sempre più altalenanti, da mesi ha subito un vero e proprio crollo d’immagine, a causa del forte aumento del costo della vita, della mancanza di alloggi a prezzi accessibili e del peggioramento dei servizi pubblici».

Donald Trump che, da mesi lo prendeva di mira e fa apertamente il tifo per Poilievre, ne ha subito approfittato per lanciare l’idea di una «fusione» tra Canada e Stati Uniti: «Che grande nazione sarebbe! «Molte persone in Canada adorano essere il 51° Stato Usa… Se il Canada si fondesse con gli Stati Uniti, non ci sarebbero dazi, le tasse scenderebbero notevolmente e sarebbero sicuri dalla minaccia delle navi russe e cinesi che li circondano costantemente», ha scritto sul social Truth.

Canada Prime Minister Justin Trudeau makes an announcement outside Rideau Cottage in Ottawa on Monday, Jan. 6, 2025. (Adrian Wyld/The Canadian Press via AP)L’annuncio di Justin Trudeau (foto Adrian Wyld/Ap)

L’inchiesta sul Capodanno a Milano

Venticinquemila persone in piazza, quasi tutti ragazzi stranieri, per la maggior parte arrivati da fuori provincia. Mille poliziotti a presidiare la zona del Duomo, agenti in borghese mischiati tra la folla. Oltre mille identificati e una cinquantina di «allontanati» in dalle Zone rosse.Quattordici denunciati per il video con gli insulti agli italiani e alle forze dell’ordine (il cui autore è però un italiano). E poi il caso della denuncia — per ora solo ai media — di un gruppo di ragazze belghe che ha raccontato di aver subito molestie dopo lo scoccare della mezzanotte «da un gruppo di 30-40 nordafricani».

Una vicenda sulla quale procura e la polizia hanno già avviato verifiche in attesa della denuncia formale delle vittime (che non è ancora stata presentata). Ma finora l’analisi dei filmati delle telecamere non ha portato a riscontri certi del loro racconto. E poi l’onda delle polemiche politiche con la destra che tuona contro «l’inerzia del sindaco Beppe Sala» e la sinistra che accusa il Viminale «di usare la sicurezza per scopi elettorali».

Commenta Walter Veltroni: «Sbaglia la sinistra a pensare che il problema della sicurezza dei cittadini non sia una priorità, non la riguardi. Che sia solo un’invenzione o una semplice percezione indotta da social, media, politica. E non sbaglia solo perché così lascia spazi enormi alla destra e a derive securitarie che possono essere pericolose per la stessa convivenza pacifica. Sbaglia perché tradisce una vetusta concezione delle dinamiche sociali e psicologiche di questo tempo».

Le altre notizie

 

  • Donald Trump è stato designato ieri ufficialmente nuovo presidente degli Stati Uniti dal Congresso riunito in seduta comune nell’aula della Camera dei Rappresentanti. La cerimonia della conta dei voti del collegio elettorale, Stato per Stato, è stata condotta dalla vicepresidente Kamala Harris, sconfitta dal leader repubblicano il 5 novembre scorso. Tutto filato liscio. Non come quattro anni fa, quando i ribelli trumpiani assalirono il Congresso, furiosi col vicepresidente Mike Pence — qualcuno voleva impiccarlo — che si era rifiutato di bloccare la procedura di conferma di Joe Biden, come chiesto dallo stesso Trump, allora presidente. «Una vicenda – scrive Massimo Gaggi – che il leader conservatore sta cercando di presentare in una luce molto diversa ispirandosi a un vecchio motto: “La storia la scrivono i vincitori”. Non solo assolve sé stesso da ogni responsabilità per gli atti eversivi dei quali è accusato e per i quali è sotto processo (anche se ora è tutto congelato dalla sentenza della Corte Suprema sull’irresponsabilità dei presidenti), ma si accinge anche a perdonare i suoi supportercondannati per aver invaso il tempio della democrazia». E allora Joe Biden prende carta e penna e scrive una lettera appassionata, pubblicata dal Washington Post nella pagina degli editoriali, per invitare gli americani a non dimenticare la minaccia del 6 gennaio 2021 all’ordine repubblicano: «La democrazia è stata messa alla prova e ha prevalso. Ricordiamocelo, continuiamo a ricordarlo ogni anno. Soprattutto ricordiamo sempre che la democrazia non è mai garantita, nemmeno negli Stati Uniti».
  • Tre morti e otto feriti, alcuni dei quali in gravi condizioni. È il bilancio di un attacco terroristico vicino al villaggio di Al-Funduk, lungo la Route 55 che parte da Kfar Saba, a nord di Tel Aviv, e attraversa la Cisgiordania andando in direzione di Nablus. «Raggiungeremo gli spregevoli assassini e li consegneremo alla giustizia insieme a chi li ha aiutati. Nessuno sarà risparmiato», è stato il primo commento del premier israeliano Benjamin Netanyahu. Intanto il quotidiano saudita al-Sharq ha pubblicato i nomi di 34 ostaggi israeliani sostenendo che quella è la lista data da Hamas a Israele per una prima fase di accordo sul loro rilascio e sul cessate il fuoco a Gaza. Dallo staff di Netanyahu rispondono spiegando che l’elenco dei 34 non è stato dato da Hamas a Israele ma risale a luglio ed è un insieme di nomi che il governo ha fatto avere ai mediatori e rispetto ai quali Hamas avrebbe dovuto dire chi era ancora in vita e chi no, cosa che finora non ha mai fatto.
  • Sulla «decadenza» della presidente regionale sarda Alessandra Todde, è in arrivo l’iscrizione nel registro degli indagati per falso («Atto dovuto» si sottolinea in Procura).  Sia i tempi dell’iter politico-istituzionale in Consiglio regionale sia il percorso della giustizia — penale, civile e amministrativa, con un sempre più probabile ricorso al Tar — non si annunciano brevi. (Del caso ha scritto anche Alessandro Trocino nella nostra Rassegna)
  • Aveva appena ritirato la denuncia per maltrattamenti contro il marito. Ma se è ancora viva, una donna di 39 anni lo deve ai clienti del supermercato «Lidl» di Seriate (Bergamo), che ieri l’hanno letteralmente strappata alla furia dell’uomo, che l’ha aggredita a coltellate. Tra chi l’ha bloccato, e poi consegnato ai carabinieri che lo hanno arrestato, un militare dell’Esercito in borghese. La 39enne è grave.
  • «Sono entusiasta di iniziare l’anno con alcune notizie su cui stiamo lavorando da un po’: Dana WhiteJohn Elkann e Charlie Songhurst si uniscono al Consiglio di amministrazione di Meta». Lo ha annunciato il fondatore e amministratore delegato di Meta (Facebook, Instagram e WhatsApp), Mark Zuckerberg, in un post su Facebook«John porta una prospettiva internazionale al nostro Cda», ha aggiunto. «Sono onorato di poter contribuire al futuro di una delle aziende più significative del XXI secolo» ha commentato Elkann.
  • Il prezzo del gas tira il fiato in Europa, con le quotazioni sul Ttf di Amsterdam scese ieri del 4,8% a 47,2 euro al megawattora con il mercato di riferimento per la Ue che sembra aver assorbito l’interruzione del gas russo via Ucraina dall’1 gennaio 2025. Ma negli Stati Uniti, diventati il primo fornitore di gas naturale liquefatto dell’Europa assieme al Qatar, il prezzo del gas ieri è balzato fino a un massimo del + 10,7% in un solo giorno.
  • È fuga dalla coalizione bancaria per un futuro sostenibile. Cinque grandi istituti di credito americani — Goldman Sachs, Citi, Wells Fargo, Morgan Stanley, Bank of America — hanno lasciato la Net-Zero Banking Alliance, l’iniziativa promossa dalle Nazioni Unite per raggiungere le zero emissioni nel settore entro il 2050. Tra i big è rimasta solo Jp Morgan. L’addio è arrivato dopo che i Repubblicani avevano ipotizzato la violazione delle norme Antitrust nel caso l’adesione alla NZBA avesse portato a una riduzione dei finanziamenti nei confronti delle aziende produttrici di combustibili fossili, riporta Reuters.
  • Per la prima volta nella storia del Vaticano sarà una donna a dirigere un Dicastero: suor Simona Brambilla, 59enne monzese delle Missionarie della Consolata, è stata nominata da papa Francesco prefetta (ovvero ministra) del Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica.
  • Un elenco con di nomi di 425 mila presunti collaboratori nazisti è stato pubblicato nei giorni scorsi in Olanda. Chiunque può entrare sul sito del progetto «Oorlog voor de Rechter» e scorrere i nomi dell’Archivio Centrale delle Giurisdizioni Speciali (Cabr).
  • Dopo 45 anni di carriera, Demi Moore, 62 anni, ha vinto il suo primo premio cinematografico, come miglior attrice protagonista di un film commedia, ai Golden GlobesTrionfatore dei quali è stato il musical Emilia Pérez. , assieme a The Brutalist. Niente da fare per Vermiglio, di Maura Delpero, mentre a Challengers di Luca Guadagnino è andato il premio per la miglior colonna sonora. E tra i 207 lungometraggi ammessi alla corsa per l’Oscar per miglior film dell’anno appare anche «There is still tomorrow», titolo americano di «C’è ancora domani», di Paola Cortellesi.  (Qui il commento di Paolo Mereghetti)
  • Somaglia (Lodi), Pesaro, Palermo, Torino e Dolo (Venezia): lì sono stati venduti i cinque biglietti milionari della Lotteria ItaliaQui i numeri di serie dei tagliandi vincenti

 

La pagina sportiva

 

Sotto di due gol, con una rimonta conclusa da un gol di Abraham al 93°, il Milan ha «ribaltato» l’Inter è si è aggiudicato, per 3 a 2, la Supercoppa italiana a Riad, in Arabia Saudita. Qui le pagelle.

 

Da leggere e ascoltare

 

L’intervista di Paola Di Caro al presidente della Regione Veneto Luca Zaia, che parla della possibilità di un terzo mandato e a Fratelli d’Italia manda a dire: «Spostare le pedine è un gioco rischioso».

 

 

Il racconto di Fabrizio Caccia di una giornata con don Antonio Coluccia, che sfida gli spacciatori al Quarticciolo di Roma.

 

 

L’intervista di Lara Sirignano al pediatra Piero Pavone, tornato al lavoro al Policlinico di Catania dopo essere stato picchiato in ospedale. «Il sistema non regge e noi medici siamo le prime vittime».

 

 

Il corsivo di Federico Cella «Generazioni nuove, limiti e rischi per i “betini”».

 

 

L’inserto Buone Notizie.

 

 

Il podcast «Giorno per giorno»: si parla di Elon Musk, Austria e caso Todde con Federico Cella, Irene Soave e Emanuele Buzzi.

 

Grazie per aver letto Prima Ora e buon martedì

 

(Questa newsletter è stata chiusa all’1.30)