Runa
rù-na
Significato Ciascuno dei segni che costituivano l’antico alfabeto germanico, diffuso fra il II e il XII secolo
Etimologia dal latino tardo runa o dal tedesco Rune, a partire da una voce proto-germanica ricostruita come runa, col significato di ‘segreto’.
- «Che segni sono? Sembrano rune.»
L’alfabeto runico conserva un carisma particolare, fra i sistemi di segni. Sarebbe appropriato dire che ha un certo fascino gotico e romantico; e in effetti appartiene indissolubilmente all’immaginario del mondo magico e fantastico d’impronta norrena — ma siamo davanti a un sistema di segni come gli altri, che emerge a partire dalle migrazioni germaniche del II secolo, mutuato dall’alfabeto greco o, secondo certe fonti, più precisamente da quello etrusco. Se vogliamo chiamarlo con un nome più esatto, è detto ‘fuþark’, dai fonemi delle sue prime sei rune (la lettera ‘þ’ è un ‘th’ sordo, come nell’inglese think) — un po’ come l’alfabeto è ‘alfabeto’ perché inizia con alfa e beta.
La sua estetica (pur se condivisa da certi altri alfabeti perfino più antichi, ma diciamo che tocca una certa vetta di precisione) è molto riconoscibile: i tratti dei suoi segni sono sempre dritti, mai curvi, e nemmeno mai orizzontali. Una caratteristica che ci dice qualcosa di interessante sul suo uso: sono segni che dovevano essere facili da tagliare, da incidere — e l’assenza di tratti orizzontali può adombrare come fossero volentieri tracciati sul legno, dovendo evitare confusione e debolezze delle venature. Sono segni da epigrafe, più che da libro.
Ad ogni modo, ciò che è forse più interessante delle rune è il loro stesso nome.
A noi il termine arriva tardissimo, diciamo pure in epoca wagneriana, fine Ottocento. Alcune fonti lo presentano come termine recuperato dal latino tardo runa, ma altre lo danno per acquisito dal tedesco Rune. In gotico e in alto tedesco antico, runa valeva ‘segreto’, a partire da un’analoga radice proto-germanica irradiata nelle lingue della famiglia. Quello della runa è un segreto magico e sacro, tanto che, se ci piace l’idea di fare un ulteriore passo nell’antico, questa radice è condivisa fra lingue germaniche e celtiche — in una nuvola che va dal mistero all’incanto, dal segreto al desiderio. Per dare un’altra bella testimonianza, il tedesco raunen significa ‘bisbigliare, sussurrare’.
Oggi che la nostra cultura è scafata e scettica, e che il commercio con la parola scritta è affare di prosa, è difficile continuare a percepire nei segni il valore sacrale e occulto — ma è stato fortissimo, tanto che nel caso delle rune dà il nome al segno stesso. Il segno che, tracciato sulle sorti, manifesta la divinazione, il segno che, tracciato su un bene, dice di chi è, il segno che dichiara, che sancisce, che lega, che fa: dopotutto, le rune nel mito nordico sono la sapienza e il potere che Wotan, Odino, ottiene dal suo autosacrificio, appeso alle fronde dell’albero Yggdrasil.
Oggi possiamo parlare di come il simbolo del bluetooth derivi dall’unione delle rune iniziali del sovrano danese Harald Blåtand, del testo runico che ci accoglie su una stele all’aeroporto scandinavo, delle rune da decifrare nell’avventura di un gioco di ruolo.
Una testimonianza meravigliosa degli intrecci di storia e fantasia, di informazione e magia.