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venerdì 10 gennaio 2025
Lei, loro, noi e l’Europa
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni durante la conferenza stampa organizzata dal Consiglio nazionale dell’ Ordine dei giornalisti e dall’Associazione stampa parlamentare, Roma, Giovedì, 9 Gennaio 2025 (Foto Roberto Monaldo / LaPresse) Prime minister Giorgia Meloni during the press conference organized by National council of the Order of journalists and the Parliamentary press association, Rome, Thursday, Jan. 9, 2025 (Photo by Roberto Monaldo / LaPresse)
editorialista di Gianluca Mercuri

 

Buongiorno. Lei è la nostra presidente del Consiglio, loro sono Trump e Musk, noi siamo l’Italia e…: ok, cosa sia l’Europa non si sa bene. E questo è il punto.

 

 

Per arrivare al punto, però, bisogna aver chiara una cosa: il legame personale e politico tra Giorgia Meloni e il presidente americano eletto (e il suo sodale tecnotrilionario) è stato decisivo per riportare a casa Cecilia Sala. Le immagini dei due leader insieme, dopo il blitz meloniano in Florida del 4 gennaio, hanno impressionato gli iraniani, li hanno convinti di poter ottenere qualcosa dall’amica del nemico: non solo la liberazione del loro ingegnere arrestato in Italia su richiesta Usa – in cambio di quella della giornalista – ma magari (rivela Giovanni Bianconi) anche future mediazioni per loro vitali.

 

 

Meloni ha messo insieme i pezzi del puzzle con freddezza, lucidità e velocità e ha salvato un’italiana innocente senza compromettere il legame con il nostro principale alleato, e anzi esaltandolo. Un capolavoro politico e diplomatico.

 

 

Ancora prima che Trump rimetta piede alla Casa Bianca, quindi, abbiamo avuto la prova che non si tratta di chiacchiere e distintivo quando si ipotizza una relazione speciale, nei prossimi anni, tra Italia e Stati Uniti.

 

 

Il punto è: cosa comporterà questa relazione per il nostro essere europei, per il nostro stare in Europa? E servirà davvero, sempre e comunque, al nostro interesse nazionale?

 

 

Ieri, durante la sua lunga e lungamente attesa conferenza stampa, la premier ha già evidenziato un primo, significativo distacco. In questi giorni la Francia e la Germania, che da mesi descriviamo con oggettive ragioni come indebolite, hanno avuto la forza di reagire alle frasi choc con cui Trump ha minacciato di fatto una guerra alla Danimarca, stato membro dell’Ue e Paese fondatore della Nato, non escludendo l’uso della forza per impadronirsi della Groenlandia. Al contrario di Macron e Scholz, che hanno condannato duramente la sortita trumpiana come un attacco a tutta l’Europa, Meloni l’ha derubricata a «risposta al crescente protagonismo cinese, un modo energico per dire che gli Usa non rimangono a guardare» se Pechino (come la Russia) mira alle rotte e alle risorse artiche, o controlla lo strategico Canale di Panama. Argomenti per niente infondati, ma che glissano sull’aggressività trumpiana con toni opposti a quelli di Parigi e Berlino.

Quanto a Elon Musk, ieri i vertici dell’Ue – che sulla Groenlandia hanno taciuto – sono invece intervenuti mentre l’imprenditore (prossimo a un ruolo ufficiale nell’amministrazione americana) intervistava sul suo social la leader dell’estrema tedesca, in un duetto che passerà alla storia (lo racconta Mara Gergolet) perché lei, Alice Weidel, ha detto che Hitler era «un comunista». Eppure lui, Musk, ha raccomandato ancora una volta ai tedeschi di votarla: un’ingerenza, l’ennesima, cui i presidenti della Commissione e del Consiglio Ue Ursula von der Leyen e António Costa hanno reagito con un post congiunto in cui hanno ribadito l’importanza, per l’Europa, del rapporto con l’America ma anche dei «valori democratici». Poche ore prima, invece, Meloni – incalzata sul possibile accordo tra l’Italia e la Starlink di Musk per una rete satellitare criptata da usare nelle comunicazioni politiche e militari di altissimo livello – aveva detto di non avere ancora «le idee chiare» ma aveva anche vigorosamente difeso il miliardario, «una persona molto nota e facoltosa che esprime le sue posizioni», eppure a suo avviso molto meno «ingerente» di George Soros, miliardario pure lui, ma inviso alle destre perché finanzia alcuni movimenti progressisti: e «quella è una ingerenza seria», accusa la premier.

Al che, nota Monica Guerzoni, Meloni «sembra non vedere che il proprietario di Tesla è parte dell’amministrazione Usa e dunque la sua influenza nel mondo è ben più forte, anche dal punto di vista mediatico. Prova ne sia il tweet su X in cui Musk rilancia le parole di Meloni e chiosa: “E Soros viene sconfitto”».

 

 

Aldo Cazzullo, nell’editoriale, osserva che Musk è il vero capo della «destra globale»: «Trump vuole mettersi a capo di un movimento mondiale. Ma il posto è già occupato. Perché il presidente tra meno di due anni dovrà difendere la sua esile maggioranza al Congresso, e non sarà facile visto che nel frattempo non si sarà preso il Canada, né la Groenlandia, né Panama, sempre che siano queste le priorità degli americani. Musk ha molti anni di meno, moltissimi miliardi di dollari in più, e non ha bisogno di invadere altri Paesi: si limita a individuare il suo uomo, o la sua donna, in ognuno di loro. In Italia ha la premier».

Antonio Polito si interroga da parte sua sull’affidabilità di Musk, ricordando come sospese i servizi di Starlink per l’Ucraina, quando l’avanzata delle sue truppe rischiava di innescare una risposta nucleare russa: «Magari fece anche bene, ma questo episodio spiega perché sia delicato per un Paese come il nostro affidare le proprie comunicazioni militari e di Stato all’azienda di un imprenditore che ha tanta voglia di influire politicamente sui destini del mondo. Oggi Musk è un alleato politico di Trump e indirettamente dunque anche di Meloni e del nostro governo, ma un domani, se cambia il governo in Italia, o se cambia Musk? D’altra parte l’ha già fatto in passato: era un sostenitore dei democratici, passato poi armi e bagagli con l’ultradestra trumpiana. Quindi bisogna assicurarsi che questo contratto garantisca innanzitutto la riservatezza delle nostre comunicazioni, la sovranità su di esse da parte dello Stato italiano. E garantisca i nostri partner europei del fatto che non stiamo offrendo un cavallo di Troia a una potenza privata straniera e possibilmente un giorno ostile».

 

 

Ed eccoci dunque all’Europa. Senza scendere chiaramente nei dettagli dell’intreccio che ha liberato Cecilia Sala, Meloni ha detto ieri che quello con Trump è «un rapporto che si annuncia molto solido, non so se dire privilegiato». E in quel «non so» ci sono tutte le opportunità e le incognite che riguardano la sua leadership e il futuro dell’Italia.

 

 

Per la prima volta nella storia, il filo americanismo e l’europeismo non sono complementari: Meloni sarà il ponte tra l’Europa e l’America di Trump, o asseconderà le pulsioni antieuropee di Trump, riscoprendo le proprie? Medierà da europea tra Washington e Bruxelles o proverà a ottenere un trattamento privilegiato (per esempio meno dazi) che spezzerebbe la solidarietà europea, come vorrebbe Trump?

 

 

Secondo l’Economist, «Meloni deve trovare un equilibrio: come trarre vantaggio dalla sua vicinanza a Trump senza alienarsi gli attuali alleati dell’Ue. L’Italia meloniana potrebbe diventare una sorta di ago della bilancia, un grande Paese dell’Ue in grado di influenzare il blocco in linea con la visione del mondo di Trump. Ma solo fino a un certo punto. L’Italia ha un debito elevato e prospettive economiche tiepide, e beneficia dei fondi dell’Ue e di garanzie implicite sui suoi prestiti. Meloni può avere un nuovo amico a Washington, ma dovrà rimanere in buoni rapporti con i suoi vecchi amici più vicini».

 

 

Ecco insomma la risposta al dubbio iniziale, su cosa sia l’Europa: siamo noi, con i nostri interessi primari.

 

 

Ed ecco perché questa Prima Ora di venerdì 10 gennaio ha come cardini l’intervento della premier e il day after della liberazione di Cecilia Sala.

 

Le parole di Meloni (e le reazioni)

 

I temi della conferenza stampa, i commenti delle opposizioni: punto per punto.

 

 

  • Su Sala La telefonata alla madre della giornalista subito dopo la sua liberazione, ha detto la presidente del Consiglio, è stata «l’emozione più grande da quando sono a Palazzo Chigi» (e qui è scattato l’applauso corale dei giornalisti presenti).
  • Sulle tasse «Non ci sono cose che sono rimaste al palo: taglio del cuneo, aliquote, decontribuzione, tasse. Ci siamo concentrati sulla messa in sicurezza dei redditi che non potevano farcela e le poche risorse che avevamo sui redditi bassi. Sicuramente va dato un segnale al ceto medio a cui non è stato dato fino ad ora».
  • Sulla sorella Arianna L’altra Meloni, capo della segreteria politica di Fratelli d’Italia, è spesso accusata di provare a piazzare fedelissimi in ruoli chiave: «Non penso che i giudici abbiano messo nel mirino mia sorella, ma mi stupisce molto che le vengano addebitate moltissime cose che non segue. Questo mi ha molto incuriosito perché una cosa falsa può essere una svista, due cose false possono essere due sviste, tre cose false possono essere tre sviste, quattro cose false diventano una strategia. E allora mi interrogo sulla strategia. Poi chiederò a mia sorella cosa ne pensa, se trova un minuto mentre stipa tutta questa gente nei gangli dello Stato».
  • Sulla sua ricandidatura nel 2027 Domanda strana, perché è impensabile che non si ricansidi. Meloni ha risposto così: «Non lo so, questo è un lavoro faticoso, faticosissimo, è una decisione che prenderò quando la devo prendere, anche valutando i risultati che ho portato a casa».
  • Sul premierato «Io vorrei arrivare alle prossime elezioni con la riforma del premierato approvato e una legge elettorale tarata su questo. Penso che la questione sia materia di competenza parlamentare, ma se il premierato non dovesse arrivare in tempo ci si interrogherà se questa legge elettorale sia la migliore o no».
  • Sui migranti in Albania La premier considera superato il problema dei ripetuti no dei tribunali al trasferimento: «A me pare che le sentenze della Cassazione diano ragione al governo», in quanto dicono «che spetta al governo stabilire i paesi sicuri».
  • Sull’Ucraina La premier esclude un «disimpegno» di Trump  nel Paese aggredito dalla Russia: «Trump ha la capacità di dosare diplomazia e deterrenza e prevedo che anche questa volta sarà così. Lui può andare avanti nella soluzione, ma non prevedo che questo significhi abbandonare l’Ucraina», cosa che «sarebbe un errore dal mio punto di vista». In serata, Meloni ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky – che avrebbe dovuto vedere a Roma anche Joe Biden, trattenuto dall’emergenza incendi in California – e ha ribadito «il sostegno a 360 gradi che l’Italia assicura e continuerà ad assicurare alla legittima difesa dell’Ucraina e al popolo ucraino, per mettere Kiev nelle migliori condizioni possibili per costruire una pace giusta e duratura».
  • Le reazioni delle opposizioni Dopo l’ecumenismo sul caso Sala – tutti i partiti hanno riconosciuto il successo del governo – ieri sono tornati i toni aspri.
    Elly Schlein, Pd: «Meloni per due ore di conferenza stampa ha completamente dimenticato le condizioni di vita degli italiani. Non una parola sulle infinite liste di attesa nella sanità pubblica, sulle bollette insostenibili per le famiglie e le imprese, sulle pensioni che volevano portare a mille euro e invece aumentano di 1,80 euro, sul salario minimo negato a 4 milioni di lavoratrici e lavoratori poveri, sulle accise che aveva promesso di abolire e sulla paralisi dei trasporti pubblici che fanno partire l’Italia con un’ora di ritardo tutti i giorni. Evidentemente era troppo impegnata nella difesa d’ufficio e nell’interpretazione autentica del pensiero di Trump e Musk».
    Giuseppe Conte, 5 Stelle: «Meloni non ha voluto dedicare il suo tempo a rispondere sulle bollette che aumentano per gli italiani. Non sono problemi suoi. Ha potuto fare quel che le riesce meglio: deviare l’attenzione, non affrontare i problemi e non dare soluzioni».
    Angelo Bonelli, Alleanza Verdi-Sinistra: «Meloni ha alterato la realtà e la verità, proprio come fa il plurimiliardario Musk, che usa il suo potere tecnologico e le sue piattaforme social per condizionare le elezioni e le democrazie europee».
    Enrico Borghi, Italia viva: «Meloni esalta Musk e il suo modello tecnofinanziario privatistico monopolista, rischiando in questo modo di provocare una rottura interna all’Europa».
    Carlo Calenda, Azione: «Musk è un soggetto pericoloso e consiglio a Meloni di scegliersi meglio i suoi amici».

 


Il caso Sala: cosa succede adesso

 

Il primo giorno di libertà, l’intreccio diplomatico, la prossima liberazione dell’iraniano Abedini: punto per punto.

 

 

  • Il ritorno al lavoro Cecilia Sala ha ripreso il suo podcast Stories per Chora Media, rispondendo alle domande di Marie Calabresi: «In cella di isolamento ho riso due volte, la cosa che desideravo di più era un libro, per resistere leggevo gli ingredienti del pane» (riassume tutto Greta Privitera).
  • La contropartita Per quanto Italia e Iran abbiano concordato la liberazione anticipata di Sala, non c’è dubbio che si tratti di un scambio «differito» con Mohammad Abedini-Najafabani, l’ingegnere arrestato a Malpensa il 16 dicembre (tre giorni prima dell’arresto di Sala a Teheran) perché accusato dagli americani di terrorismo (avrebbe avuto un ruolo decisivo nell’armare i droni del regime contro i soldati Usa).
  • Niente estradizione Spiega Giovanni Bianconi che l’Iran ha ottenuto «l’assicurazione che Abedini non sarà estradato negli Usa, e che a breve potrà lasciare anche lui il carcere in cui è rinchiuso a Milano; se per decisione dei giudici in seguito all’accoglimento della richiesta di arresti domiciliari, o per scelta del ministro della Giustizia che può revocare in ogni momento la misura cautelare, si vedrà nei prossimi giorni. E ancora più avanti si vedrà come far evaporare o respingere la domanda di estradizione non ancora giunta dall’America. Ma è probabile che l’Iran non abbia ottenuto solo questa promessa».
  • Cos’altro ha ottenuto? C’è anche un corrispettivo politico-diplomatico, rivela Giovanni, frutto proprio del viaggio di Meloni in Florida: «L’Iran è interessato a relazioni con gli Stati Uniti guidati da Donald Trump meno conflittuali di quanto si possa immaginare, e i “buoni uffici” della diplomazia italiana possono certamente aiutare. L’immagine del forte rapporto tra Meloni e Trump ha fatto il giro del mondo ed è stata un’ulteriore certificazione, per la Repubblica islamica, di aver acquisito un credito con un alleato importante degli Usa, in grado di spendere parole di distensione nei rapporti tra i due Stati». Infatti, anche alla nuova amministrazione americana «interessa avere un canale di dialogo a distanza con gli iraniani, rappresentato dalla diplomazia italiana».
  • I segreti di Abedini Gli americani porebbero ottenere una sorta di compensazione alla mancata estradizione: «Si tratta del materiale che Abedini portava con sé al momento dell’arresto: due telefoni cellulari, un computer, alcune chiavette usb e una serie di dispositivi elettronici. Carpire i segreti tecnologici e informatici nascosti in quegli apparecchi può essere importante quanto e forse più di avere in consegna chi li stava trasportando».
  • Ma quando si decide su Abedini? Il 15 gennaio la Corte d’Appello di Milano si riunisce per valutare se concedergli gli arresti domiciliari: la sentenza arriverà entro martedì 21. Se gli arresti saranno negati, ci sono due possibilità Le spiega Luigi Ferrarella: «La prima è che il ministro eserciti la facoltà (riconosciutagli in qualunque momento dalla legge in materia estradizionale) di chiedere ai giudici di revocare intanto la custodia cautelare, liberando l’iraniano nelle more dell’iter di estradizione: opzione che Nordio sinora non ha attivato, forse anche per l’imbarazzo di dover contraddirsi a distanza di pochi giorni dalla richiesta di tenere l’iraniano in custodia cautelare, inviata ai giudici il 20 dicembre. La seconda occuperebbe invece molto più tempo, potendo arrivare solo alla fine di tutta la procedura (che può durare sino a un anno)». Pronostico: la prima.

 

Le altre cose importanti

 

  • Il pasticcio delle pensioni Con l’adeguamento alla speranza di vita, cambiano i criteri: 67 anni e 3 mesi di età (oltre che 20 anni di contributi) per andare in pensione di vecchiaia dal 2027 e 67 anni e 5 mesi dal 2029. E 43 anni e un mese di contributi (indipendentemente dall’età) per andare in pensione anticipata (un anno in meno per le donne) dal 2027 e 43 anni e 3 mesi dal 2029 (un anno in meno per le lavoratrici).È la scoperta fatta ieri dalla Cgil, che accusa il governo di avere nascosto la noltizia. A quel punto l’Inps ha provato a negare, in questo modo: «L’Inps smentisce l’applicazione di nuovi requisiti pensionistici. L’Istituto garantisce che le certificazioni saranno redatte in base alle tabelle attualmente pubblicate». Ma si tratta di una smentita «laconica e inefficace», spiega Enrico Marro, visto che subito dopo il sottosegretario al Lavoro e vicesegretario della Lega Claudio Durigon ha accusato l’Inps di avere fatto trapelare l’aumento dei requisiti «in maniera impropria e avventata», per poi assicurare che la Lega si opporrà. In realtà, spiega Enrico, «l’ipotesi è concreta»: infatti è stata anticipata già in ottobre dal presidente dell’Istat Francesco Maria Chelli, e poi confermata dalla Ragioneria generale dello Stato. L’aumento dei requisiti (ricapitolando: 3 mesi in più dal 2027 e altri 5 dal 2029) è evitabile? Se lo decide il governo, sì (lo fece già il Conte 1).
  • Il governo impugna la «legge De Luca» Ovvero, quella votata dalla regione Campania per consentire al governatore di correre per un terzo mandato: ora si dovrà pronunciare la Corte Costituzionale. La questione agita entrambi i campi: il terzo mandato lo vorrebbe anche la Lega, per consentire a Luca Zaia di continuare a guidare il Veneto, su cui però le mire di Fratelli d’Italia sono state confermate ieri dalla stessa Meloni. A sinistra, la leader del Pd Elly Schlein, che non vuole la ricandidatura di De Luca, vede quindi con favore la mossa del governo.
  • Gli incendi in California Il più popoloso stato americano è devastato dai roghi più gravi degli ultimi 40 anni, con decine di migliaia di evacuati e un numero di morti ancora non precisabile. Com’è stato possibile? Lo spiega nei dettagli Elena Tebano.
  • I dubbi sulla Siria Li racconta Andrea Nicastro: un mese dopo la caduta del dittatore Assad, le intenzioni del nuovo leader Al Jolani, il «terrorista gentile», sembrano sempre meno rassicuranti.
  • I cortei per Ramy Elgaml Uno a Milano, senza incidenti. Un altro a Torino, con scontri anche gravi. La vicenda del 19enne di origine egiziana morto il 24 novembre durante un inseguimento dei carabinieri – con sei militari indagati e sospetti sempre più forti di tentativi di insabbiamento – continua a suscitare la rabbia tra i giovani nuovi italiani.

 

Da leggere/ascoltare
L’editoriale di Carlo Verdelli: «Le parole preziose di Mattarella da non dimenticare»; il commento di Massimo Gaggi: «Trump, oligarchi e nuovi monopoli»; l’intervento di Aldo Grasso nelle pagine di Cultura: «L’insostenibile insofferenza nei confronti dei critici»; l’intervista di Carolina Morace a Gaia Piccardi: «Il mio coming out a 56 anni non ha fatto proseliti»; il podcast Giorno per giorno, con Massimo Gaggi sugli incendi californiani, Monica Guerzoni sulle parole della premier e Greta Privitera su Cecilia Sala: potete ascoltarli qui.

Il Caffè di Gramellini


Il genio e l’imbecille

Se non fosse già impegnato a cambiare il cosmo e a vendere satelliti all’Italia, sottoporrei all’ambasciatore dei Visitors, Elon Musk, un quesito terra terra. Dal suo punto di vista di agente alieno sotto copertura, in missione tra gli umani per studiarne usi e costumi, come ritiene possibile che proprio la patria delle nuove tecnologie, la costa occidentale degli Stati Uniti, non sia capace di domare un incendio? Che speranze evolutive può avere la razza umana che lui ha deciso di salvare, se persino il quartiere con la più alta concentrazione di ricchi e famosi del pianeta, Sunset Boulevard, si è lasciato divorare dalle fiamme dell’incuria? Non trova assurdo che gli abitanti di Hollywood, a parole così sensibili alle campagne ambientali, abbiano impunemente issato le loro regge a ridosso di boschi giganteschi? E non trova ancora più assurdo, lo ha ricordato Federico Rampini, che nello Stato più benestante d’America nessuna autorità si sia mai presa la briga di investire qualche milione di dollari per interrare la foresta di cavi elettrici che penzolano da ogni palo e angolo di strada?

C’è un’incoerenza in tutto questo che confina con la stupidità e fa a pugni con l’idea consolatoria che chi è socialmente e tecnologicamente evoluto riesca ad affrontare le sfide della natura meglio degli altri. Invece dentro ogni creatura umana convivono un genio e un imbecille. Musk è seriamente intenzionato a estirpare uno dei due. Solo che ancora non si è capito quale.

Grazie per aver letto Prima Ora, e buon venerdì.