di Vincenzo D’Anna*
Da alcuni lustri l’Italia sta arretrando sotto il profilo culturale, anzi l’italiano medio, quello che esce dalle nostre scuole e dagli atenei, sta diventando prossimo all’analfabetismo funzionale. Lo certifica un recente studio del Censis dall’emblematico titolo: “La Fabbrica degli ignoranti”. In parole povere il Belpaese sta scivolando verso una decadenza dei costumi figlia del crollo del sapere e di quella forma di approssimativa conoscenza che viene spacciata per erudizione, smerciata a buon mercato sui social network. Un fenomeno la cui interpretazione non compete solo ai sociologi ma a tutti coloro i quali avvertono l’urgente necessità di porvi rimedio. Un fenomeno che ormai si irradia in tutte le classi sociali, le professioni, le arti ed i mestieri determinando uno stato di approssimazione, disagio e precarietà nei comuni cittadini e, da qualche tempo, anche negli uomini di cultura, ossia tra quei pochi che restano in un paese in cui nessuno più compra libri o legge giornali. Si ritiene bastevole, infatti, la conoscenza delle notizie, la possibilità nominalistica di essere messo al corrente di quel che accade ogni minuto sulla faccia della terra, senza darsi pena di comprenderne le cause e le ragioni, i riferimenti storici pregressi collegandoli con quelli contemporanei. Muniti di questo scarso bagaglio i maestri della tastiera imperversano sul web. Canali di comunicazione ove ciascuno potendo parlare al mondo intero,, di per sé stesso, ritiene d’essere all’altezza di saperlo fare. “Siamo affetti da un complesso di parità e non ci si sentiamo inferiori a nessuno”, ci preannunciava, presago, Ennio Flaiano. Da dove nasce questa situazione che ci deprezza come popolo e come nazione, quali sono i fattori che determinano la decadenza del sistema socio culturale e civico? In parte dalla possibilità di potersi aggrappare alla tecnologia che svolge un’azione sostitutiva della conoscenza personale. I device informatici ormai ci assistono continuamente ed anche per andare a casa di un amico utilizziamo il percorso indicato dallo smart phone, così come anche per fare un’operazione aritmetica semplice utilizziamo la calcolatrice. Ci avvaliamo del sapere delle macchine che, in tal modo, ci hanno defraudato della conoscenza. L’altro fattore è l’opulenza della società dei consumi che ci indirizza verso le forme di successo basate sulle mode, sulle griffe, sui gusti e le necessità indotte dalla vita che ci prospetta l’edonismo epicureo, quella del marketing, del mercato di concorrenza e dei suoi messaggi pubblicitari. Ma non basta. Siamo vittime del pensiero debole, delle nuove teorie para filosofiche, come il “politicamente corretto”, ossia una rivoluzione semantica che ha sdoganato modi di esprimersi e quindi gli atteggiamenti conseguenti. Parole, pensieri ed azioni in linea con una presunta modernità emancipante fatta di nuovi stili di vita. Si tratta, a ben vedere, solo di un surrettizio espediente per accreditare e sdoganare, come plausibili ed opportune, determinate opinioni politiche e sociali. A corollario di tutto questo ci sono le teorie “gender”sulla parificazione dei generi, la cancellazione della famiglia tradizionale, la criminalizzazione dell’eterosessualità a vantaggio dell’omosessualità e della sessualità “liquida”, ossia non preventivamente determinata in un rapporto sentimentale. Ed ancora: il diritto all’eutanasia, le pratiche abortive come mezzo di limitazione delle nascite, l’eugenetica, il relativismo etico, l’individuazione di una serie di diritti soggettivi che nascono e si generalizzano ancorché siano espressioni di pulsioni ed inclinazioni tutte particolari ed individuali. Tutto questo può essere ricompreso in una nuova moda esistenziale di dimensione ornai planetaria chiamata “woke”. Si tratta di persone che, esibendo il proprio orientamento politico anticonformista, su varie tematiche, assumono un atteggiamento rigido o sprezzante verso chi non condivide le loro idee, che ritengono retrogradi i pregressi valori morali, i modi di essere e di pensare. Tutto questo ha anche una ricaduta politica definita “progressista”. Una comunità che si vanta di essere fatta di persone che si ritengono avvedute e moderne, “sveglie” nei confronti delle ingiustizie sociali o razziali. Perlopiù sono pacifisti ad oltranza, anti capitalisti nostalgici del marxismo e della società degli equali, adoratori dello Stato onnipresente ed onnipotente. Si battano indefessi per fare la lotta alla ricchezza presumendo, con questo, di farla alla povertà ed alle diseguaglianze sociali. Insomma quelli che odiano il profitto e la libera impresa, scambiandoli con i profittatori, odiatori sociali e moralisti a senso unico, ossia quello degli altri. Il tutto si può condensare nel desiderio di un neo “comunitarismo” che per essere tale mira a cancellare, meriti e talenti, capacità e volontà di grado elevato, per ricondurre il tutto ad un unico archetipo umano e sociale. . Serve quindi una scuola che non acculturi, un’informazione che non rifletta, una politica demagogica fatta di libertà non coniugate alla responsabilità, di parificazioni tra il naturale e l’ artificiale. Il risultato più eclatante? La rivolta dei cittadini comuni : semplici, nostalgici, ancorati a valori eternati da millenni di civiltà, e dei tanto deprecati antichi valori morali e religiosi. Bagaglio di gente che, con il proprio voto, ha aperto le porte decisionali del mondo a Donald Trump ed Elon Musk ed ai populisti di ogni nazione.
*già parlamentare