Decantazione
de-can-ta-zió-ne
Significato Separazione delle particelle solide sospese in un liquido; purificazione
Etimologia voce dotta recuperata dal latino decanthare, derivato di canthus ‘angolo’, ma anche ‘orlo di vaso’, con prefisso de- che indica discesa.
- «Hai una candela per la decantazione?»
La lingua italiana conosce due decantari diversi: il primo è un celebrare, un osannare, quello di quando decanto le virtù di qualcuno; il secondo è un processo di chiarificazione di un liquido, come quando si decanta un vino per eliminare eventuali sedimenti. La decantazione scaturisce, in tutti i suoi significati concreti e figurati, da questo secondo decantare.
Se dico che serve un po’ di tempo per la decantazione di un sentimento o di un’idea, la figura che proietto è l’attesa di una sedimentazione, durante la quale il torbido in sospensione ha tempo di depositarsi, col risultato di un illimpidimento e una purificazione. Ora, questo fenomeno è certo parte importante della decantazione. E anzi, se consideriamo opere come i bacini di decantazione, la separazione per sedimentazione pare proprio l’obiettivo della decantazione stessa — ma curiosamente non è il vero fulcro concettuale, e l’etimologia, pur un po’ criptica, ce lo spiega bene.
Il decantare della decantazione scaturisce dal canthus del latino medievale, che fra l’altro è un orlo di vaso, probabilmente derivato dal latino classico cantus ‘cerchione di ruota’. La decantazione si focalizza sul liquido che viene fatto uscire dalla bocca del recipiente in maniera controllata e meticolosa, in modo che la parte travasata non porti con sé residui, fecce, depositi.
Naturalmente se abbiamo avuto modo di far depositare l’indesiderato sul fondo il risultato è migliore. Ma pensiamo anche alla decantazione del vino, che è emblematica — e anche piuttosto scenica.
Quando al ristorante qualcuno ordina un rosso invecchiato di gran pregio, per servirlo al tavolo serve un certo armamentario. La bottiglia viene stappata e adagiata in un apposito cestino; una candela accesa viene usata per tenerne la spalla e il collo in controluce, in modo da controllare in trasparenza che, mentre si versa, i sedimenti generati dai tannini non scorrano fuori e non finiscano nel decanter, caraffa che serve all’uopo. Poi la decantazione ha anche l’effetto di ossigenare il vino, e questo può essere desiderabile per aprirne gli aromi, specie se in bottiglia ci ha passato parecchio tempo; ma anche qui siamo davanti a un fenomeno ancillare del concetto di decantazione. In sé non sarebbe che… un travaso purificatore.
Sa un po’ di alchimia? Non a caso. Nasce proprio come termine dell’alchimia. Ed è meraviglioso considerare questo: quello che facciamo quando le foglie del tè scappano dal filtro e si spandono, e allora lo travasiamo prestando attenzione che nel nuovo recipiente le foglioline non passino, quell’attenzione concentrata sull’orlo è precisamente la decantazione originaria, che fu nominata da veri alchimisti dei tempi andati. Sorte non così unica: mentre decantiamo il tè magari prepariamo l’amalgama per la torta, e abbiamo il cioccolato a bagnomaria. S’inizia nel laboratorio esoterico e si finisce in cucina — anzi, sono un uno.