*Dazi Usa: caro Donald, dear Giorgia*

di Vincenzo D’Anna*

“La premier italiana Giorgia Meloni mi piace molto. Vediamo cosa succederà per i dazi sulle merci italiane”. Così si è espresso recentemente il nuovo presidente americano Donald Trump. La nostra leader ha ringraziato a stretto giro, confermando il feeling venuto a crearsi con il “tycoon”. Non c’è dubbio alcuno che la politica cammini sulle gambe degli uomini e delle donne che la praticano e che spesso le intese più vantaggiose siano quelle costruite anche sulla simpatia, la qual cosa rappresenta certo un vantaggio per il nostro Paese. Lo è non solo per i migliori rapporti bilaterali che potranno venire con la nazione più potente del mondo nei cui confronti lo Stivale è chiamato a serbare imperitura riconoscenza per quanto ottenuto dal dopoguerra a oggi. La scelta atlantica che Alcide De Gasperi fece collocando l’Italia nell’ambito degli Stati liberali ed occidentali ci ha infatti resi immuni dalle tragedie e dagli stenti che hanno, invece, dovuto subìre i paesi finiti, loro malgrado, nella sfera d’influenza socialista a guida Urss. In pratica l’altro versante della “cortina di ferro”, come la etichettò Winston Churchill, per definire i due blocchi contrapposti: americani da una parte, sovietici dall’altra. Tra l’alto occore sottolineare come dei legami tra Usa e Italia si sia parlato sempre troppo poco nel nostro Paese, a causa dell’egemonia culturale di una sinistra che ha preferito esaltare il ruolo svolto dalle formazioni partigiane (soprattutto quelle comuniste) durante la Resistenza, minimizzando il contributo dato dalle forze armate alleate nella liberazione dello Stivale. Il tutto solo per dimostrare che la Repubblica era nata unicamente dalla lotta antifascista. Il resto lo ha fatto il solito pregiudizio nei confronti dell’America ritenuta la patria di quel capitalismo che avrebbe poi soppiantato le tesi del marxismo e del collettivismo così care agli eredi del Pci. Insomma, Roma e Washington sono sempre state politicamente in sintonia, al di là di quello che potevano pensare i nipotini di Togliatti. Una sintonia fondata anche sul vincolo diplomatico e militare rappresentato dalla Nato. Tuttavia, per quanto grande fosse la differenza tra i nostri due paesi, mai le nostre scelte di politica estera hanno dovuto inchinarsi ai voleri d’oltreoceano. In soldoni: l’Italia non ha mai avuto ruoli sottoposti di servilismo nei confronti del grande alleato. Nella vicenda dell’aeroporto di Sigonella (ottobre del 1985), ad esempio, Bettino Craxi (allora primo ministro) e Giulio Andreotti (ministro degli Esteri) seppero difendere le prerogative dello Stato (e della sovranità territoriale), impedendo ai militari americani della Delta Force, di prendere d’assalto l’areo con a bordo i terroristi che, assaltando la nave italiana “Achille Lauro”, avevano ucciso un cittadino statunitense (di fede ebraica) disabile, Leon Klinghoffer. Lo stesso è accaduto in altri frangenti con l’Italia che ha sempre saputo sottrarsi ai disegni a stelle e strisce. Insomma sul piano della dignitosa interlocuzione diplomatica e politica tra realtà sovrani ancorché alleate tra loro, Roma non ha mai ceduto e, se lo ha fatto, ciò è avvenuto nell’ambito di un più vasto e complessivo disegno europeo. Ora, se tra i leader del Vecchio Continente Giorgia Meloni è stata l’unica invitata al giuramento del neo inquilino della Casa Bianca, questo vorrà pur dire qualcosa. Oppure vogliamo pensare che la premier sia stata invitata solo perché “simpatica”? E se invece Trump intendesse affidare al nostro Paese un ruolo diverso in Europa? In tal caso: quale? Una cosa, in ogni caso, va detta. Al di là delle assonanze, Meloni non deve cadere nella trappola identitaria, di omologazione politica e di prassi di governo, di chi l’associa, anima e corpo, a Trump!! In Italia la politica risale a Machiavelli. La cura dello Stato? Si fonda sulle lotte risorgimentali. Nel nostro Paese la Repubblica è nata per redimersi dalla dittatura fascista ed oggi si basa sul rispetto della Costituzione. Stiamo parlando di capisaldi intangibili per chi è chiamato a governare lo Stivale. Sarà quindi bene che la “simpatia” che pure intercorre tra Donald e Giorgia non sia intesa come propriamente etimologica, ossia quale condivisione di passioni, non fosse altro perché simpatia (etimo greco) e compassione (etimo latino) sono, in parte, sinonimi. All’opposto, Giorgia deve rimanere molto lontana dalla politica del “volemose bene”. La leader di FdI deve smarcarsi dal vecchio modello ideologico della destra sociale, ma anche dalla visione dello Stato che Trump incarna, evitando di accettare elemosine e benevolenze. Se vuole (e sappiamo ne è capace!), la nostra premier deve diventare protagonista in Italia ed in Europa sposando il progetto di una destra liberale, forte di un capitalismo ben temperato ed aperto al futuro, che sostanzialmente non abbia niente a che fare con quello finora praticato e deprecato dai classici detrattori di sinistra. Su cosa puntare? Semplice: Stato minimo e libertà economiche, decisioni non mediate dagli interessi clientelari; inserimento di criteri di merito e misuratori di efficienza nell’apparato pubblico, senza indulgenze; taglio delle tasse e riduzione del debito e degli sprechi; politiche energetiche e nucleare sicuro. Dear Giorgia, ricordi: il paternalismo è sempre la prima arma di un tiranno!!

*già parlamentare