1931 – Il trapianto dei testicoli – A processo tre famosi chirurghi napoletani. Diecimila lire per l’organo ceduto da un giovane ad un ricco commerciante venuto dall’America di Ferdinando Terlizzi (*)
Un tale signor Vito Lapegna venne dall’America a Napoli in preda ad una profonda malinconia ed ebbe ad esprimere al suo parente, il professore Giuseppe De Nito, che la sua angoscia derivava da una forma di debolezza organica che gli impediva di godere della gioia della paternità, egli che smaniava d’avere dei bambini. Il prof. De Nito si interessò al caso del lontano suo congiunto, e pensò di fare eseguire un trapianto testicolare prelevandolo da altro individuo. Fu così che ne parlò al suo amico professore Gabriele Jannelli, il quale lo avverti che pochi giorni prima un individuo, ricoverato nella terza sala degli Incurabili, aveva dichiarato che si sarebbe prestato a subire un’operazione per far del bene. Il prof. De Nito si recò prontamente a conferire con l’ammalato, tal Roberto Salvadori, e questi immediatamente consentì, tanto più che gli fu offerta, in cambio dell’organo che cedeva, la somma di lire diecimila. Il prof. Jannelli e il prof. Giuseppe Fersina operarono lo studente Salvadori in una sala della clinica Jannelli, mentre in una sala attigua i proff. Manfredi e De Nito eseguivano quello che tecnicamente si chiama innesto. L’operazione riuscì a meraviglia. Il Lapegna difatti, dopo qualche giorno, prese il primo piroscafo in partenza per l’America.
Ma intanto la Procura del Re di Napoli veniva informata del fatto straordinario e dava subito incarico all’autorità di P. S. di Castelcapuano di assumere informazioni e redigere analogo verbale. E fu interrogato primo fra tutti il giovane Salvadori, il quale confessò il fatto: disse di aver ricevuto lire 5000 di premio, mentre gliene erano state promesse dieci, ma dichiarò di esser lieto di aver fatto un’opera di bene, cedendo un po’ della sua esuberante giovinezza. Furono contemporaneamente interrogati i chirurgi che avevano compiute le due operazioni, i quali confessarono, sostenendo di aver agito in buona fede, a scopo scientifico. La Procura Regia iniziò la istruttoria, affidando la perizia sul corpo del Salvadori al professore Eugenio Lapegna e al dott. Giovanni Cacciapuoti, i quali, dopo di aver preso in esame il soggetto, conclusero: “Il giovane Salvadori Paolo Roberto, per l’operazione subìta, ha avuto malattia, della durata di otto giorni, in ‘quanto la ferita infertagli per l’ablazione dell’organo è guarita in detto spazio di tempo. L’ablazione medesima non ha determinato alcun che di molesto negli organi della vita vegetativa e nel sistema nervoso”. Fu così che furono rinviati a giudizio, con una requisitoria del Procuratore del Re comm. Gennaro Minervini, i dott. Fersina Giuseppe, Jannelli Gabriele, De Nito Giueppe, Manfredi Gaetano, nonchè Lapegna Vittorio, per rispondere di avere, in correità tra loro e senza il fine di uccidere cagionato mediante strumento da taglio, malattia ed incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per la durata di otto giorni, nonché debilitamento permanente all’organo della generazione.
(*) 1 – Continua – Fonte: Giovanni Porzio – Arringhe – Jovene Editore – 1963 – Napoli