sabato, 1 Febbraio 2025
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LA RASSEGNA STAMPA DI OGGI – DA “Il Fatto”, “Dagospia”, “Notix” e “Cronachedi” a cura di Ferdinando Terlizzi

Ambiente & Veleni

Terra dei fuochi – 22 anni di smaltimenti killer. I processi, la camorra e la morte per tumore del poliziotto che scoprì il disastro

Terra dei fuochi – 22 anni di smaltimenti killer. I processi, la camorra e la morte per tumore del poliziotto che scoprì il disastro
 

Processi, informazioni cruciali rivelate e tenute segrete, sequestri e dissequestri, prescrizioni, vite perse pur di arrivare alla verità. C’è di tutto nella storia della Terra dei fuochi e dei processi che questa vicenda ha innescato. D’altronde c’è ancora molto da ricostruire dietro ventidue anni di smaltimenti illeciti avvenuti tra le province di Napoli e Caserta, orchestrati dalla camorra. Circa dieci milioni di tonnellate di rifiuti di ogni specie, dall’amianto all’alluminio, fino ai reflui liquidi contaminati da metalli pesanti, trasportati in oltre 400mila camion, che hanno attraversato mezza Italia per arrivare in Campania. Una vicenda, per cui l’Italia è stata condannata dalla Cedu), portata alla luce alla luce per la prima volta negli anni Novanta, grazie al lavoro del poliziotto Roberto Mancini, che morì nel 2014 a causa di un tumore causato dal continuo contatto con i rifiuti tossici e radioattivi. Mentre indagava nella Terra dei fuochi. Le indagini furono ostacolate per diversi anni, nonostante già nel 1997 il boss pentito Carmine Schiavone, che aveva tenuto l’amministrazione del clan dei Casalesi, avesse raccontato dei traffici alla Commissione d’inchiesta sui rifiuti. Indicando i luoghi in cui il clan dei Casalesi aveva sotterrato milioni di quintali di rifiuti tossici. E commentando: “Gli abitanti di paesi come Casapesenna, Casal di Principe, Castel Volturno, rischiano di morire tutti di cancro entro 20 anni”.

Il lavoro di Mancini che incastrò (nonostante tutto) l’ideatore delle ecomafie – Mancini fece in tempo a vedere la riapertura delle indagini nel 2011, ma non la sentenza di primo grado arrivata solo nel 2016. Porterà a uno dei momenti più importanti della vicenda processuale legata alla Terra dei fuochi, ossia la condanna in terzo grado per Cipriano Chianese, l’imprenditore e avvocato considerato l’ideatore delle cosiddette ‘ecomafie” per conto del clan dei Casalesi. Amministratore dei Casalesi, aveva orchestrato lo smaltimento illecito dei rifiuti poi gestito dal boss Francesco Bidognetti. Ma Chianese era stato già arrestato nel 1993. Una volta assolto, aveva continuato a gestire il traffico illecito dei rifiuti e, l’anno dopo, si era candidato alla Camera con Forza Italia, perdendo per pochi voti. Fu arrestato ancora nel 2006 e, infine, nel 2013. Tre anni dopo, in primo grado fu condannato dalla Corte d’Assise di Napoli a 20 anni di reclusione per associazione mafiosa, estorsione, avvelenamento delle falde acquifere e disastro ambientale avvenuto nella discarica Resit di Giugliano in Campania (Napoli), da lui gestita e nella quale furono portati con la regia della camorra rifiuti di provenienza lecita e illecita. In assenza di adeguate misure di controllo, quella discarica si trasformò in una bomba ecologica. Alla lettura della sentenza era presente anche la vedova di Mancini, Monika Dobrowolska.

Nel 2021 la condanna definitiva di Chianese – Si arrivò alla sentenza di appello solo nel 2019, con la prescrizione del reato di avvelenamento (mentre erano stati confermati l’associazione camorristica e il disastro ambientale) e diversi assolti tra gli imputati accusati di aver contribuito allo scempio della Terra dei fuochi. Ma se in primo grado la corte d’Assise non aveva mai disposto una propria perizia, affidandosi alle consulenze di parte, fu durante il secondo grado che si ebbe la piena consapevolezza del livello della contaminazione. Infine, a gennaio 2021, la Corte di Cassazione ha confermato la pena di 18 anni di carcere per Chianese. Confermate le condanne di secondo grado anche per la moglie di Chianese, Filomena Menale (4 anni e mezzo di reclusione per riciclaggio), per il geometra Remo Alfani (10 anni, due in meno rispetto al primo grado) e per l’imprenditore dei rifiuti Gaetano Cerci (15 anni di carcere). In secondo grado erano stati già assolti l’ex sub commissario all’emergenza rifiuti in Campania tra il 2000 e il 2004 Giulio Facchi, i funzionari pubblici locali accusati di aver favorito Chianese e altri tre imprenditori di origini casertane, i fratelli Generoso, Raffaele ed Elio Roma.

La vicenda dei fratelli Pellini e il processo ‘Carosello’ – Ancora prima del processo a carico di Chianese, risale quello che ha coinvolto i tre fratelli Cuono, Giovanni e Salvatore Pellini. Quest’ultimo maresciallo dei carabinieri sospeso dal servizio dopo il suo arresto, nel 2006. I loro stabilimenti servirono per stoccare un milione di tonnellate di rifiuti, anche pericolosi, quelli solidi seppelliti poi nei terreni agricoli e nelle cave e, quelli liquidi nei Regi Lagni, un reticolo di canali che si estende tra le province di Napoli e Caserta. Parte di quei rifiuti fu finanche ceduta come fertilizzante agricolo. Il processo ‘Carosello’ iniziò nel 2006 e, nel 2012, il pubblico ministero della Procura di Napoli chiese per i 26 imputati tra imprenditori, funzionari e tre carabinieri coinvolti, un totale di 232 anni di carcere, oltre alla confisca di impianti e mezzi. Diciotto anni per ognuno dei fratelli Pellini, responsabili dell’organizzazione, accusati anche di aver favorito il clan Belforte. Gli unici, alla fine, a essere stati condannati. Nel corso del processo, infatti, l’accusa dimostrò come Cuono e Giovanni Pellini, fin dagli anni Novanta, avessero sotterrato nelle campagne tra le province di Caserta e Napoli un milione di tonnellate di scarti industriali provenienti da Veneto e Toscana. Il tutto, con l’appoggio dei clan Di Fiore di Acerra e Belforte di Marcianise. La posizione di Salvatore Pellini e quella di altri funzionari pubblici aveva permesso per anni di insabbiare tutto, anche le denunce di contadini ed allevatori. I tre fratelli sono stati condannati in via definitiva nel 2017 a sette anni, per traffico illecito di rifiuti e disastro ambientale. Ma in carcere sono rimasti solo qualche mese.

Lo scandalo del dissequestro –A febbraio 2017 è stato eseguito nei confronti dei tre imprenditori il sequestro di beni per 220 milioni di euro: tra le altre cose, due società operanti nel recupero e nel riciclaggio dei rifiuti, tre nell’immobiliare, una di noleggio dei mezzi di trasporto aereo, 68 terreni, 50 autoveicoli e automezzi industriali e 250 tra fabbricati, palazzi, appartamenti, ville. A giugno 2023, la confisca è stata confermata in secondo grado e, un mese dopo, la Corte d’Appello di Napoli ha respinto l’istanza dei Pellini che chiedevano di dichiarare l’inefficacia di quel provvedimento, perché emesso dopo il termine di 18 mesi richiesti dalla legge. Un vizio formale che ha portato alla decisione della Cassazione di restituire quel patrimonio. Dopo le proteste dei cittadini indignati e le indicazione della procura di Napoli è stato emesso un nuovo decreto di sequestro. A fine ottobre è iniziato il nuovo processo che stabilirà se quel patrimonio sarà definitivamente confiscato.

Il processo per gli interramenti a Casal di Principe – Nello stesso anno in cui si pronunciava la sentenza di secondo grado per Chianese, iniziava al tribunale di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) il processo sugli sversamenti illegali di rifiuti tossici realizzati dal clan dei Casalesi a Casal di Principe. Tra gli imputati i boss Francesco Schiavone ‘Cicciariello’, il cugino Walter, fratello del capoclan, Francesco ’Sandokan’, Nicola Pezzella e Luigi D’Ambrosio, entrambi considerati esponenti di primo piano del clan. Il processo, in questo caso, è nato dall’indagine della Dda di Napoli che nel 2014, sulla base delle dichiarazioni di alcuni pentiti, ordinò che si scavasse nei pressi dello stadio comunale di Casal di Principe. Le operazione confermarono la presenza di 150mila metri cubi di rifiuti speciali pericolosi. Dopo gli scavi, furono posti sotto sequestro numerosi pozzi da cui privati cittadini prelevavano l’acqua per irrigare la terra o per il consumo domestico. A tutti è contestato il reato di adulterazione o contraffazione di sostanze alimentari con l’aggravante mafiosa. Il processo va avanti (molto a rilento). Il Comune si è costituito parte civile.

FRATELLI D’ITALIA, TUTTI IN PIAZZA CONTRO I MAGISTRATI! – GIORGIA MELONI PENSA A UNA MANIFESTAZIONE POPOLARE CONTRO LE TOGHE – LO RIVELA UN SONDAGGIO RISERVATO SPEDITO IERI DA FDI A ISCRITTI E MILITANTI: NEL QUESTIONARIO VIENE PROPOSTA PER LA PRIMA VOLTA UNA MOBILITAZIONE CONTRO GIUDICI E PM CHE, A DETTA DELLA SORA GIORGIA, DANNEGGEREBBERO LEI “E LA NAZIONE” (OLTRE AD ALTRI QUESITI SUL CASO ALMASRI E RIFORMA DELLA GIUSTIZIA) – GIORGIA MELONI È CONVINTA CHE LA CROCIATA ANTI-MAGISTRATI FRUTTI CONSENSO (CHE NE PENSA MATTARELLA, CHE DEL CSM E’ IL PRESIDENTE?) – IL DOSSIER SUL CASO ALMASRI, PREPARATO DA FDI, CONTRO IL PROCURATORE CAPO DELLA CORTE PENALE INTERNAZIONALE, KARIM AHMAD KHAN, E CONTRO IL PROCURATORE DI ROMA, FRANCESCO LO VOI…

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Da terra dei fuochi a terra dei cachi, il passo è breve

L’EDITORIALE DI ANTONIO ARRICALE

– Mi indispone non poco – oggi – a poche ore dal pronunciamento della Corte europea dei diritti umani, che addita precise responsabilità di omissione alle autorità italiane, per aver messo a rischio la vita degli abitanti della Terra dei Fuochi, leggere i commenti (alcuni addirittura al vetriolo) dei politici italiani, soprattutto di sinistra, contro il Governo.

 

Mi indispone e mi indigna. E penso che tutto questo sparlare di circostanza, di falso moralismo, tutto questo dare fiato a tromboni stonati sia anche colpa nostra: di noi giornalisti, intendo, che offriamo acriticamente il microfono ad una manica di ciarlatani.

Ma dov’era tutta questa bella gente – mi chiedo – quando il pentito Carmine Schiavone raccontava nel 1997 – e non soltanto alla Commissione ecomafie sull’interramento dei rifiuti tossici che desecretò le sue dichiarazioni soltanto nel 2013 – dei veleni sparsi tra le province di Napoli e Caserta? Di più: a che cosa pensavano quando lo stesso pentito raccontava ai quattro venti: “Entro vent’anni rischiano di morire tutti”?

E quand’anche non avessero voluto dar credito ad uno spudorato camorrista, da che cosa erano distratti – sempre questi politici, oggi, a disastro fatto, così attenti e sensibili – quando l’oncologo Antonio Giordano denunciava l’avvelenamento del sangue nei pazienti delle zone di Acerra e dei comuni limitrofi? E che cosa dicevano quando le mamme, troppe mamme, piangevano la morte prematura dei loro bambini?

Non ricordo, francamente, in quelle innumerevoli circostanze eguali parole di indignazione proferite dalle loro labbra.

Certo, sarebbe facile, oggi, additare i colpevoli di un peccato d’omissione così grave. Politici e amministratori colpevoli di non avere, cioè, fatto nulla, mosso neppure un dito, peggio di aver girato lo sguardo dall’altra parte, pure in presenza di denunce articolate e dettagliate di una situazione allarmante. A cominciare dagli amministratori della Regione Campania cui, in questi anni, in prima istanza sarebbe dovuto toccare intervenire.

E anche il governo, ovviamente, che avrebbe dovuto intervenire quanto meno in via sussidiaria, in assenza degli interventi regionali. Basterebbe fare l’elenco degli amministratori e dei governanti di questi lunghi anni e metterli tutti, proprio tutti, con le spalle al muro. Ma è un esercizio che non mi piace.

Preferirei, invece, che tutti quanti i protagonisti dei diversi livelli amministrativi – come indica Corte Europea dei diritti dell’uomo – finalmente attuassero, di concerto, ciascuno per la propria parte, un piano di contrasto concreto contro l’inquinamento, la salvaguardia del territorio e la salute pubblica. E che non ci si limitasse a fare politica a parole, sui social. Diversamente, dopo averla battezzata la terra dei fuochi, questa martoriata fetta della Campania, la trasformeremo in terra dei cachi. Il passo è breve.

Nelle foto, da sinistra, dall’alto in senso orario, Vincenzo De Luca, Sergio Costa (ex ministro dell’Ambiente), Antonio Bassolino e Stefano Caldoro.

 

 

Articoli copiati in “Gomorra”: lo abbiamo sputtanato, per questo Saviano ci odia

Lo scrittore viene difeso dagli avvocati della società editrice della famiglia Berlusconi

Roberto Saviano e Silvio Berlusconi

La causa per plagio intentata da Cronache di Napoli e di Caserta contro Roberto Saviano e la Arnoldo Mondadori Editore torna davanti alla Corte di Cassazione per la terza volta. Sul tavolo della sezione specializzata in materia di proprietà intellettuale la questione della determinazione del risarcimento che lo “scrittore” e il suo editore, ovvero la famiglia Berlusconi (Marina Berlusconi, figlia di Silvio, è infatti il presidente della società editrice) dovranno corrispondere alla Libra Editrice, cooperativa che edita Cronache.

Roberto Saviano e Marina BerlusconiRoberto Saviano, ospite di “Amici” di Maria De Filippi (© fotogramma della trasmissione Mediaset) e Marina Berlusconi, presidente di Mondadori (© Andrea Raso/LaPresse 23-04-2007 Milano, Italia Economia Assemblea azionisti Mondadori 2007 Nella foto:Marina Berlusconi)

Gli utili realizzati in violazione del diritto

La Corte di Appello di Napoli, infatti, nella sua ultima pronuncia ha fatto ricorso al criterio equitativo per la determinazione dell’importo. Ma la Libra Editrice ha deciso di impugnare la decisione, evidenziando il fatto che la Corte di Cassazione ha indicato a più riprese la necessità che si tengano in dovuta considerazione gli utili realizzati da Saviano e Mondadori in violazione del diritto. La causa giunge così al settimo grado di giudizio, un caso unico nella storia della Repubblica italiana. Ci sono però alcuni punti fermi. Innanzitutto è stata definitivamente accertata dalla Corte di Cassazione nel 2015 l’illecita riproduzione degli articoli di Cronache in Gomorra (LEGGI L’ULTIMA SENTENZA).

Saviano e Mondadori legati a doppio filo

Secondo punto, i rapporti tra Saviano e la famiglia Berlusconi sono granitici. Lo scrittore, infatti, viene difeso in giudizio dagli avvocati della Mondadori e la linea difensiva è la stessa. La società di Segrate, d’altra parte, non ha mai preso le distanze dal comportamento tenuto dal suo autore. Anzi. Gli avvocati della Mondadori continuano ad affermare, negli atti difensivi di Saviano, che lo stesso avrebbe copiato solo una percentuale del libro. Comportamento singolare, se si considera che in teoria il principale danneggiato dalla condotta plagiaria sarebbe proprio la società editrice.

Interessi intrecciati

Ma il romanzo ha venduto milioni di copie in tutto il mondo, è stato tradotto in quasi 60 lingue diverse, è stato distribuito in circa 160 paesi e da esso sono stati tratti film, serie tv, opere teatrali, audiolibri e via dicendo. Insomma, gli interessi economici di Saviano e della Mondadori sono legati a doppio filo, per non parlare del fatto che è stato proprio il primo libro, Gomorra, a lanciare Saviano come paladino televisivo dell’antimafia.

Saviano finge di puntare una pistola
Saviano finge di puntare una pistola

Diciassette anni di lotta

Da ormai 17 anni la Libra Editrice si batte per far valere i propri diritti contro una delle case editrici più grandi d’Europa, finita nelle mani della famiglia più potente d’Italia. In questi anni sono stati innumerevoli gli attacchi che la Libra Editrice ha dovuto subire da Saviano, supportati dalle principali testate nazionali e in trasmissioni mandate in onda sui principali canali televisivi italiani (Mediaset e Rai).

Stato di diritto e fango

Ma i giornalisti di Cronache non mollano, convinti che in uno Stato di diritto è la legge, e non il denaro o il potere, che trionfa. Finora i giudici della Corte di Cassazione non si sono lasciati influenzare dal fango. La flotta che si occupa del bombardamento mediatico alla Libra Editrice in favore della coppia Mondadori/Saviano ha una potenza di fuoco notevole.

Le bugie dei giornaloni

Basti pensare che quando la Cassazione ha condannato definitivamente i due per plagio, il Corriere della Sera, la Repubblica e il Mattino, affetti da una sorta di allucinazione sincronizzata, hanno riportato la notizia celebrando la vittoria di Saviano. Un episodio inquietante, sottolineato da Dagospia (LEGGI L’ARTICOLO), dal Fatto Quotidiano e dal Sole 24 Ore (LEGGI L’ARTICOLO). Ultimamente alla squadra di picchiatori si è unito anche il quotidiano Avvenire, ormai sempre più sensibile alle tentazioni progressiste.

La ‘discesa in campo’ di Avvenire

Invece di preoccuparsi della fuga dagli oratori, forse causata dai troppi scandali per pedofilia che hanno compromesso la fiducia dei genitori, il quotidiano dei vescovi si preoccupa di emettere sentenze preventive, su vicende ancora in via di definizione nelle aule di giustizia. E lo fa senza concedere il diritto di replica, omettendo informazioni determinanti. Modalità che ricordano tanto i periodi bui della santa (sic) inquisizione, quando tanti poveracci sono morti agonizzando tra le fiamme del rogo senza avere avuto la possibilità di difendersi in un processo.

Genova. Roberto Saviano, autore di “Gomorra” inaugura, l’anno accademico 2011-2012 dell’Universita’ di Genova. La cerimonia blindatissima nel palazzo del Rettorato. Saviano riceve dall’Ateneo la Laurea Honoris Causa in Giurisprudenza. Indossa la toga e riceve il diploma e la medaglia d’oro dell’Università. © Lapresse 22-01-2011Genova

Le sentenze si rispettano…

C’è modo e modo di aspettare una sentenza. La Libra Editrice e i giornalisti di Cronache, ad esempio, rispettano il lavoro della magistratura da sempre. Per questa ragione attendono con la più piena fiducia che la Corte di Cassazione si pronunci sull’entità del risarcimento a loro dovuto dalla Arnoldo Mondadori Editore Spa della famiglia Berlusconi e Roberto Saviano per il plagio dei loro articoli in Gomorra. Quanto a Saviano, invece, ogni volta che un giudice sta per decidere, sfoga tutto il suo odio nei nostri confronti.

…e anche il lavoro di chi deve decidere

Perché? Semplice, perché lo abbiamo sputtanato, per usare una delle sue espressioni. Lo abbiamo sputtanato come si sputtanano le persone che infrangono le leggi dello Stato italiano, che vieta il plagio di opere altrui: ci siamo rivolti a un giudice. E la Cassazione ha detto, con sentenza ormai passata in giudicato, che il cosiddetto scrittore è diventato famoso grazie a un romanzo nel quale sono stati copiati e incollati articoli di Cronache di Napoli e di Caserta.

La campagna di delegittimazione nei nostri confronti

A questo punto un vero paladino della legalità, dopo essere stato sputtanato e condannato, proverebbe vergogna, chiederebbe scusa a tutti e cambierebbe mestiere. Perché copiare, incollare, vendere e incassare non è esattamente come passare col rosso. Non puoi farlo per distrazione. Invece il nostro caro Saviano, evidentemente sprovvisto di senso del pudore, non perde occasione per tentare di delegittimare i giornalisti di Cronache, quelli da cui ha copiato. Lo fa con articoli, con fondi, dalle colonne dei giornali amici, nelle trasmissioni a cui può partecipare senza temere domande sul plagio, sui canali social e con ogni mezzo.

Il censore delle sue vittime

Due le criticità nella sua campagna di fango: primo, è sempre la stessa storia che ripropone senza variazioni da 17 anni. Ormai anche i più lenti a capire hanno realizzato che evidentemente non ha nulla da dire sull’attualità. Punto secondo, Saviano è in conflitto di interessi: Berlusconi governava in un paese in cui lui e la sua famiglia hanno interessi economici enormi, lo scrittore si erge a censore dei giornalisti da cui ha scopiazzato, nei cui confronti è stato condannato, verso cui è debitore (anche se l’importo è da definirsi) e rispetto ai quali è ancora controparte processuale.

I potenti mezzi…

Una posizione, la sua, di evidente vantaggio, sia sul piano economico, visto che gli avvocati che lo difendono sono quelli della Mondadori, sia su quello mediatico, visto che dalla parte sua e di Mondadori ci sono Mediaset e una buona parte degli organi di stampa nazionali. Non ci fermeremo. Mai. Fino a quando Saviano e Mondadori non pagheranno il giusto ristoro per il conclamato utilizzo illegittimo degli scritti dei cronisti di Cronache. Non importa quanto: un euro, un milione di euro o dieci milioni di euro: lo decideranno i giudici.

La Giustizia e i giustizieri

Noi saremo contenti comunque, avremo dimostrato che la giustizia è uguale per tutti, anche per Roberto Saviano e per la famiglia Berlusconi. Non ci fermeranno le velate mezze verità propinate dallo pseudo scrittore, o dai suoi sodali che vestono i panni dei giustizieri senza macchia (?) e senza paura nella farsa che con l’avvicinarsi delle scadenze giudiziarie recitano il copione scritto dal ‘copione’.

L’”eroe anticamorra” nato nelle scuderie del Cavaliere

Ci sono diverse cose che accomunano Roberto Saviano e l’ex leader di Forza Italia Silvio Berlusconi. Sono entrambi personaggi legati alla Arnoldo Mondadori Editore (Berlusconi la acquisì grazie a un giudice corrotto da Cesare PrevitiLEGGI L’ARTICOLO SUL LODO MONDADORI, mentre Robertino è nato “artisticamente” a Segrate, in quanto la Mondadori gli ha pubblicato e gli commercializza il suo primo romanzo “Gomorra”). Ancora oggi nel processo per plagio la Mondadori e Saviano sono difesi dagli stessi avvocati.

Il “giudice dei giudici”, quando Saviano dà le pagelle ai magistrati

Sia lo scrivano che il cavaliere, poi, sono celebri per gli attacchi velenosi ai magistrati giudicanti quando questi emettono una sentenza a loro sgradita. Inutile elencare tutte le volte che il Cavaliere ha parlato di magistratura politicizzata e di accanimento nei suoi confronti. Quanto a Saviano, il suo approccio è leggermente diverso, anche in ragione del suo autoattribuito ruolo di paladino della legalità. Prendere una decisione non in linea con i suoi desideri significa correre il rischio di vedersi proiettate addosso ombre sinistre. Ci andò giù duro, ad esempio, quando in primo grado un giudice assolse i boss accusati di averlo minacciato.

Il “metodo Saviano”: la parola “connivenza” usata come un’arma

“Una cosa tipicamente italiana – commentò accigliato -, a metà, senza coraggio. In questi anni di vita difficile, complicata, ho sempre avuto la sensazione che i clan non avessero davvero la parte più forte del paese contro. Solo una parte, quella migliore, ma l’altra parte, anche se non connivente, è silenziosa e quindi connivente”. E poi ancora, sibillino: “Io parto tra poche ore e spero di stare il più lontano possibile. Non è più dato alle mie forze e alle mie energie di stare in questo Paese in queste condizioni”. Ovviamente tornò a stretto giro nel paese che gli assicura la scorta.

La condanna per diffamazione: “Sentenza intimidatoria”

Ma è la condanna per diffamazione nei confronti di Giorgia Meloni ad avergli fatto perdere qualsiasi freno inibitorio: “Una assoluzione sarebbe stata importante per tutti coloro che la propaganda di Meloni ha disumanizzato e criminalizzato per orrendo calcolo politico. Ma sapevo che in questa Italia la mia assoluzione non sarebbe mai stata possibile. E vedrete come, nei prossimi processi in cui mi hanno trascinato, ci sarà la stessa pressione politica comunicativa: il governo continuerà a intimidire per sua diretta via o per via dei suoi fiancheggiatori… Questa sentenza è pericolosa perché reca traccia di una intimidazione e suggerisce a chi fa il mio lavoro di osservare un religioso silenzio per tutelare i propri progetti… È pericolosa perché sembra innocua, finanche a me favorevole, ma non tiene conto delle sofferenze causate a migliaia di persone. È una sentenza pericolosa pronunciata in un paese pericolosamente esposto all’odio. Quanto più è grande la menzogna e il potere che la pronuncia, tanto più deve essere alto il grido che la contrasta. Questo ho fatto, questo faccio, questo farò”. E in altra occasione, ironicamente: “Dopo questa sentenza la salute della democrazia non è certamente migliorata”. Per quanto è dato sapere, nemmeno con i tentativi di delegittimazione della giustizia di Saviano e Silvio Berlusconi.

LEGGI L’ARTICOLO DI COMMENTO SUL CASO PLAGIO