* Le Tasse degli altruisti (con i soldi degli altri)* di Vincenzo D’Anna*

Come un male stagionale si ripresenta la proposta, che il fronte della sinistra avanza, relativamente ad una tassa supplementare sui grandi patrimoni. Una richiesta che viene spacciata dai soliti noti, con una disinvoltura disarmante, come strumento di perequazione sociale, di un necessario balzello per realizzare la famigerata “giustizia sociale”. Quest’ultima viene riesumata, da tempo immemore, dagli statalisti, come se non vivessimo in un Paese in cui la tassazione sui redditi, sommata ad un’altra miriade di addizionali locali, sfiora il cinquanta percento dei guadagni! Insomma quei grandi patrimoni sono stati già tartassati dal Leviatano statale sotto forma di redditi d’impresa, con aliquote progressive, e sottoposti poi, a seconda della tipologia di attività, ad altre sanguinose gabelle. A quanto pare ciò non basta. Nossignore! Occorre ulteriormente spremere il contribuente, colui che viene additato dai marxisti come un parassita sociale ancorché questo versi all’erario più della metà dei propri ricavi sostenendo i costi dei servizi pubblici. A muovere questa odiosa mistificazione è il pregiudizio ideologico agitato contro il capitalismo che, per i nostri sinistrorsi, è fonte di disparità ed emarginazione sociale. Ma ancor più dello schema ideologico quello che spinge gli indomiti “compagni” è il rancore sociale, ossia il vezzo di sostituire l’ammirazione per i capaci con l’invidia ed il livore dei complessati che immaginano desiderabile un mondo di egualmente poveri purché eguali. Loro ce l’hanno con i grandi patrimoni e vogliono che questi siano tosati per equità sociale. Tuttavia non si sa quali siano i criteri per individuarli e comunque si arrogano il diritto, pseudo morale ma certamente tutto politico, di stabilire quale sia il guadagno “normale” ed il patrimonio per così dire accettabile. Insomma, vogliono andare oltre la tassazione per sconfinare nell’arbitrio, nella possibilità di poter entrare nella vita degli individui indicando loro un limite come regola morale e sociale. Siamo all’apoteosi di uno Stato etico che determina, inaudita altera parte, cosa sia compatibile e cosa esorbiti la normalità. La fallacia di questo modo di pensare, peraltro anacronistico, di tipo politico ed amministrativo, è facilmente dimostrabile. Si parla di grandi somme di denaro ma basterebbe dire che oggi soldi e proprietà diffuse sono dei fondi di investimento che a loro volta sono composti da migliaia di piccoli investitori, tra cui anche pensionati e lavoratori, che mettono a frutto i propri risparmi di una vita.

Già tassati!! Consideriamo allora il patrimonio delle grandi industrie, ma dimentichiamo che queste sono perlopiù appannaggio oppure partecipate del Ministero del Tesoro, il quale ripiana annualmente anche i loro debiti di esercizio, solitamente deficitari. Le altre industrie private che dovrebbero essere spremute? Ricevono ad ogni piè sospinto bonus, sgravi fiscali e contributivi, rottamazioni varie . Le Banche e gli istituiti di credito? Impossibile dimenticare che lo Stato non ha mai permesso di farli fallire assicurando corpose iniezioni di denaro pubblico (chiedere al Monte Paschi di Siena). Vogliamo parlare delle grandi case di moda e dei prodotti di lusso? ma non sono quelli che portano la nostra bilancia dei pagamenti in attivo, oltre che prestigio internazionale? I grandi palazzinari? ma non è l’edilizia il vero volano per decine di altre attività collaterali artigianali ed alti livelli occupazionali di manodopera? I possessori di titoli di Stato, oltre che già tassati due volte (reddito e rendita), finanziano le casse pubbliche in braghe di tela. In ogni caso, a voler anche dare credito ai gabellieri di casa nostra, il vero problema è di natura etica: è lecito e conforme al patto sociale sul quale si reggono lo Stato e la civile convivenza, distribuire la ricchezza che taluni hanno legittimamente e legalmente realizzato? E’ lecito e moralmente confacente ad un regime di libertà individuali e delle istituzioni democratiche, colpire capacità, talenti, tischi di impresa e frutti del lavoro sottraendo ai cittadini, oltre alla tassazione, anche altre risorse? Eppure lorsignori si atteggiano a benefattori dell’umanità facendo la guerra alla ricchezza e non alla povertà, per mero pregiudizio. Avranno mai letto Luigi Einaudi: “Migliaia, milioni di individui lavorano, producono e risparmiano nonostante tutto quello che noi possiamo inventare per molestarli, incepparli, scoraggiarli.

E’ la vocazione naturale che li spinge, non soltanto la sete di denaro”. Il gusto, l’orgoglio di vedere la propria azienda prosperare, acquistare credito, ispirare fiducia a clientele sempre più vaste, ampliare gli impianti, abbellire le sedi, costituiscono una molla di progresso altrettanto potente che il guadagno.
Se così non fosse, non si spiegherebbe come mai ci siano imprenditori che prodigano tutte le loro energie e investono tutti i loro capitali per ricavare utili che spesso appaiono di gran lunga più modesti rispetto a quelli che avrebbero sicuramente e comodamente potuto ottenere con altri impieghi”. Tuttavia la schiatta vetero e post marxista, sotto sotto non si è mai pentita, ma solo camuffata da liberal democratica. Semplicemente, questi eroi caritatevoli si ritengono altruisti perché vogliono fare il bene, con i soldi degli altri.

*già parlamentare