La Corte Costituzionale e una sentenza calpestata, minimizzata, trattata come carta straccia
a cura di Ornella Favero*
Ristretti Orizzonti, 15 febbraio 2025
Da più di un anno nelle carceri si spera che le disposizioni impartite dalla Corte Costituzionale in tema di diritto ai colloqui intimi diventino vita vera e affetti non più negati. Ma quella speranza sta diventando delusione, sconforto che serpeggia tra le persone detenute, che si erano illuse che nel volgere di poco tempo si riuscisse a dare soluzione a un problema che si trascina da decenni.

Gentile ministro Nordio, quando le è stato chiesto in un’interrogazione parlamentare se, in relazione alla sentenza 10/2024 della Corte Costituzionale, non ritenesse necessario «adottare le necessarie immediate misure di competenza volte a dare piena esecuzione alla decisione della Consulta», Lei ministro ha risposto di aver istituito il 28 marzo 2024 a questo fine “un apposito gruppo di studio multidisciplinare con il compito di elaborare una proposta coerente con il sistema vigente, anche in considerazione delle diversità strutturali che connotano gli istituti penitenziari sul territorio nazionale”.
Ha inoltre spiegato che “è stato effettuato un minuzioso monitoraggio, a livello nazionale inteso a verificare la sussistenza, all’interno delle strutture penitenziarie del territorio, di spazi adeguati e funzionali a garantire le condizioni più favorevoli alla piena espressione di detto diritto all’affettività, in termini di dignità e riservatezza dei detenuti. In collaborazione con il dipartimento di architettura dell’università di Napoli Federico II, si è lavorato poi per verificare le potenzialità di spazi inutilizzati o sottoutilizzati, fino alla sperimentazione progettuale su spazi ad oggi mancanti.
Il Gruppo di Studio si è occupato inoltre di determinare durata, frequenza e modalità con cui detti colloqui riservati possono svolgersi, in quanto profilo chiaramente incidente sul numero degli spazi ritenuti idonei, che andrà garantito in misura adeguata a rendere davvero effettivo quel diritto.
(…) Le attività del gruppo di studio sono, dunque, il segno tangibile dell’atteggiamento propositivo assunto dal Dicastero all’indomani della pronuncia della Consulta, la cui attuazione richiederà un adeguamento, anche strutturale, del sistema carcerario, che dovrà conciliarsi con l’incomprimibile esigenza di salvaguardare le condizioni di sicurezza all’interno degli istituti di pena”.
Da allora sono passati altri mesi, e questi risultati del Gruppo di studio ancora non li abbiamo visti. Nel frattempo, nelle carceri si continua a star male, e non c’è niente che attenui la sofferenza provocata da condizioni detentive sempre meno a misura d’uomo.
Ma perché, gentile ministro, non provate a far fronte alla “desertificazione affettiva”, come la definisce la Corte Costituzionale, prodotta dalla galera partendo proprio da un po’ di amore in più, come impone con forza la Corte Costituzionale?
Il magistrato di Sorveglianza Fabio Gianfilippi, che aveva sollevato la questione di incostituzionalità rispetto ai mancati colloqui intimi nelle carceri italiane, in assenza di una risposta chiara da parte delle Istituzioni, che sono del tutto latitanti oggi rispetto al diritto all’intimità negato, ha risposto al reclamo di una persona detenuta, che chiedeva di fare colloqui riservati con la sua compagna, stabilendo che la Casa circondariale di Terni, dove si trova il detenuto, debba procedere, entro 60 giorni dalla comunicazione del provvedimento, a individuare degli spazi adeguati per garantire la riservatezza e l’assenza di controlli visivi durante gli incontri. Lo stesso ha fatto la magistrata di Sorveglianza Elena Banchi dell’Ufficio di Sorveglianza di Reggio Emilia, che, alla richiesta di un detenuto di Parma, di poter fare colloqui intimi, acquisiti rapporti dell’equipe trattamentale e note della Direzione, ha sostenuto che il diniego del carcere è immotivato e che “il reclamo deve, pertanto, essere accolto, poiché dal rigetto della Direzione della Casa di reclusione di Parma deriva al detenuto un grave e attuale pregiudizio all’esercizio del diritto all’affettività, nella sua espressione attraverso colloqui intimi con la propria moglie”.
E adesso, che succede?
Solo chi l’ha provata può capire la profondità della sofferenza cagionata alle persone a cui vengono negate le relazioni affettive più intime. A questa sofferenza si somma ora la sensazione di essere stati presi in giro e la delusione per una sentenza, che quasi nessuno sembra voler applicare. Ma noi vogliamo essere, come ci ha consigliato una persona amica della redazione, dei “sognatori prudenti” e sperare che siano proprio i direttori degli istituti di pena a pretendere di ospitare, nelle strutture che dirigono, i colloqui intimi.
Quelle che seguono sono alcune riflessioni di persone detenute che vorremmo giungessero direttamente al ministro.
*Direttrice di Ristretti Orizzonti e presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia
————————————————————————————-
Da quando sono in carcere ne ho viste tante di famiglie distrutte
di Ignazio Bonaccorsi, Ristretti Orizzonti
Egregio ministro Nordio, chi le scrive è un detenuto che sta scontando la pena dell’ergastolo, sono in carcere da 33 anni ininterrottamente e so bene cosa significa stare tutto questo tempo senza poter avere nessun contatto fisico con la moglie e con i figli, se non in quell’ora di colloquio alla settimana, sempre per chi lo può effettuare, non tutti possono affrontare un viaggio costoso, specialmente chi deve venire, come i miei famigliari, dalla Sicilia a Padova, dove mi trovo io. Questo quindi significa ancora meno contatti con la famiglia, e le posso assicurare che da quando sono in carcere ne ho viste tante di famiglie distrutte, separazioni, matrimoni andati in frantumi e di tutti questi disastri le conseguenze le subiscono i figli.
Ora quello che voglio dire è questo: c’è una sentenza dalla Corte Costituzionale che dice che un detenuto ha il diritto di usufruire dei colloqui intimi con la moglie o la compagna, ma da un anno non ne sappiamo più niente. Ci hanno detto che c’è un tavolo con diverse figure istituzionali che se ne sta occupando, ma niente si muove, per sapere qualcosa di positivo quanto dobbiamo aspettare? Perché quando vengono fatte nuove leggi restrittive “contro di noi” entrano subito in vigore e vengono rispettate, quando invece sarebbero a nostro favore si blocca tutto?
Secondo me prima verrà applicata la sentenza e meno matrimoni si sfasceranno, la speranza è che ci sia qualcosa di positivo finalmente per i nostri cari, anche perché siamo persone che abbiamo una età avanzata e non ci possono togliere anche questo diritto a un po’ di amore in più.
Mio figlio mi chiede perché non può avere un fratello o una sorella
di Salvatore Fani, Ristretti Orizzonti
Per me il carcere vero non è la struttura detentiva con tutti i suoi problemi, la mia prigione e quello che mi nette davvero in difficoltà è come faccio a spiegare a un bambino di cinque anni quelle scelte delle Istituzioni che non capiamo nemmeno noi: privarci degli affetti è vergognoso, mio figlio cresce solo con la mamma, loro due se la devono cavare da soli negli affetti, soli nelle paure. Io non so rispondere a mio figlio quando mi chiede perché non può avere un fratello o una sorella. Mi domando perché mi tolgono la gioia di fare qualcosa per la mia famiglia, la possibilità di stare bene per persone che reati non ne hanno mai commesso, è molto triste che una pena venga scontata anche da loro, dai miei cari.
Gentile Dottor Nordio quando la Corte Costituzionale si è espressa a favore dei colloqui intimi ho incominciato a programmarmi il futuro e guardando mio figlio negli occhi gli ho promesso un fratello con cui crescere. Ma questo suo e anche nostro desiderio di mantenere il nostro legame famigliare, di restare uniti anche se separati dal carcere, dopo poco più di un anno buio ha ricevuto un’altra porta in faccia. Che delusione vedere che non si fa niente per permetterci i colloqui intimi, mi sento come da bambino quando mi hanno rubato l’infanzia e il futuro, sono un uomo adulto, responsabile, genitore, marito che non può fare progetti per la sua famiglia, si sente un fallito e inizio a chiedermi se il cambiamento è davvero possibile, se ne vale la pena, visto che il nostro futuro è sempre ostacolato. È difficile superare quest’altra delusione, a me viene voglia di mollare tutto e tornare a fare quello che so fare, non quello che dovrei fare, ma non voglio fermarmi su questi pensieri.
Chi sconta una pena è già privato della libertà, non penso sia umano distruggergli la famiglia
di Mattia Griggio, Ristretti Orizzonti
Mi chiamo Mattia, sono detenuto presso la Casa di reclusione di Padova da un anno. Quando sono entrato era appena stata emessa la sentenza della Corte Costituzionale che rendeva i colloqui intimi un diritto, e devo dire che mi sono quasi commosso.
Questa è la mia terza carcerazione, ho tre bambini piccoli e sono per loro “l’unico genitore possibile” a causa di gravissime vicissitudini. Ricordo con sofferenza per me e per loro le ultime due carcerazioni, l’angoscia della loro madre, la mia ex compagna, nel non poter godere con me di qualche momento di intimità sia da soli sia con i nostri figli.
Ora che sono un padre single, e che purtroppo, vedo i miei figli solo ogni due o tre settimane per appena due ore, in una stanza piccola dove ci sentiamo e siamo controllati, comprendo ancora di più il loro disagio. Io sono osservato 24 ore su 24 qui dentro, ma loro cos’hanno fatto per meritarsi di non esser mai a loro agio quando incontrano chi amano?
Mi chiedo come possa la politica restare ferma da decenni di fronte a tutto questo. Non voglio nemmeno citare la Costituzione, che è chiarissima in merito alla tutela degli affetti e delle famiglie, ma semplicemente il buon senso comune. Ora c’è una sentenza che prevede di attuare gli incontri intimi nelle carceri, mi auguro che lo Stato, con la stessa velocità con cui applica leggi peggiorative per noi, applichi questa legge “migliorativa”.
Poter disporre di incontri intimi con il proprio partner credo sia un diritto scontato e necessario, e uno Stato normale dovrebbe tutelarlo e basta. Chi sconta una pena è già privato della libertà, ma non penso sia umano distruggergli la famiglia che si è creato con amore e fatica. Io attualmente non ho una compagna, ma poter restare qualche ora con i miei figli una volta alla settimana senza avere alcun controllo ridarebbe loro un po’ di affetto “sincero” ed umanità, e soprattutto farebbe da grandissimo deterrente ai rischi del loro problematico sviluppo psicologico. Quanti minori sono cresciuti con problemi psicologici dovuti alla carcerazione dei padri? E questi non divengono un costo ulteriore per la società?
C’è poi un problema enorme nelle nostre carceri: i suicidi a cui assistiamo. Aprire agli incontri intimi come tutti i paesi civili sarebbe certamente una risposta a tutta questa gratuita sofferenza. Credo che chi è autore di reati comuni, se è in carcere per essere rieducato e scontare la sua pena, dovrebbe poter incontrare anche ogni giorno i propri familiari in un luogo appartato. Questa è semplicemente normalità, nulla di più.
È un nostro diritto poter dare e ricevere affetto dalle nostre mogli
di Jody Garbin, Ristretti Orizzonti
Mi chiamo Jody Garbin, sono detenuto nella Casa di reclusione di Padova dal 2019, nel 2022 dopo 14 anni di convivenza con la madre dei miei due splendidi figli ci siamo separati perché io ho una condanna a 18 anni di carcere e non si può pretendere che una moglie stia con il proprio marito per anni vedendolo per un totale di solo tre giorni all’anno e avendo come unico segno di affetto un abbraccio e un bacetto.
Vede signor ministro, ormai la mia famiglia si è distrutta perché prima non c’erano altre possibilità di vedersi se non quelle misere sei ore al mese di colloquio in uno spazio rumoroso condiviso con tante altre famiglie, però ora che c’è una sentenza che dice chiaramente che è un nostro diritto poter dare e ricevere affetto dalle nostre mogli, speravamo che le cose cambiassero, ma è già passato un anno e siamo sempre nelle stesse condizioni di prima.
Io vorrei che chi ha il potere e il dovere di applicare la sentenza si desse una mossa perché non è giusto che altre famiglie vadano distrutte e i nostri figli debbano soffrire per questi motivi, noi abbiamo sbagliato ed è giusto che paghiamo, ma le nostre famiglie non hanno fatto nulla di male e non capisco parchè debbano pagare pure loro per i nostri sbagli.
Dopo l’ordinanza per il detenuto di Parma si riparla di affettività
di Damiano Aliprandi
Il Dubbio, 15 febbraio 2025