*Se i conti dei cowboy non tornano* di Vincenzo D’Anna*
Abbiamo già scritto di come il vice presidente degli Stati Uniti, James David Vance, abbia approfittato del contesto qualificato dei partecipanti al congresso sulla sicurezza di Monaco per “bacchettare” l’Ue. Lanciando la classica “spada di Brenno” sulla bilancia dei rapporti tra America ed Europa, il “numero due” di Donald Trump si è soffermato, in quel consesso, ad elencare le differenze esistenti tra le dottrina politica professata alla Casa Bianca e quella dei governi alleati del Vecchio Continente. Senza preamboli e cautele diplomatiche, Vance ha rinfacciato agli europei, vincitori della battaglia contro il comunismo, la progressiva perdita dei valori un tempo condivisi, ricordando loro l’aiuto fornito dall’America per difendere il patrimonio di ragioni politiche e sociali considerati cosa comune. Un preavviso di sfratto bello e buono per le vecchie intese e l’identica visione liberale che fino a non molti anni fa caratterizzava sia il modello di governo e di vita europeo sia quello d’oltreoceano. Insomma: Vance ha esacerbato le critiche per rimarcare le differenze esistenti tra le due sponde dell’Atlantico. Differenze ravvisate, ad esempio, nella politica migratoria, nelle limitazioni delle “benedizioni” offerte dalle libertà individuali” in vari ambiti (multiculturalismo etico e religioso; pratiche abortive; cancellazione dei vecchi valori morali su famiglia e omosessualità; differenze di genere; scarso rispetto della volontà popolare uscita dalle urna). In sintesi, il leader repubbliano ha sottolineato quell’avversione manifesta da parte della maggior parte delle cancellerie europee nei confronti di tutto quanto oggi costituisce la linea politico amministrativa seguita alla Casa Bianca. Con questo stato di cose, ha lasciato intendere il vicepresidente, non un dollaro americano verrà più speso per la vecchia Europa, a cominciare dall’ombrello militare che pure gli States hanno garantito per oltre mezzo secolo ai vari paesi aderenti alla Nato che ora dovranno mettere mano alla borsa per finanziare l’alleanza difensiva. Stesso discorso per i rapporti commerciali con l’apposizione di dazi sulle merci europee, considerate concorrenti sui mercati alla stregua dei prodotti di competitor quali Cina ed India. Tuttavia nel discorso di Vance è mancata una prospettiva futura, una visione più larga ed una valutazione politica e strategica più aderenti al peso ed al contributo che, a sua volta, l’Europa ha comunque dato all’alleanza atlantica. Per dirla tutta: non basta venire a fare prediche al governo di centrosinistra che detta legge a Bruxelles da diversi anni, non basta puntare il dito contro le politiche ritenute “progressiste” e sostenere magari apertamente, le formazioni di destra che pure avanzano elettoralmente. Le cose enumerate da Vance suoneranno pure opportune alle orecchie dei conservatori europei, alle destre populiste, ma da sole non bastano per fare tornare i conti in casa Trump.
Per comprendere infatti quanto corto sia il respiro e miope il disegno dell’establishment a stelle e strisce, sul versante delle prospettive future di un nuovo ordine mondiale che escluda l’Europa o la tenga lontana dalle vecchie intese con gli Stati Uniti, è bastato ascoltare l’intervento del ministro degli affari esteri cinese Wang Yi. Questi ha spiegato, in solo otto minuti, la visione multipolare del mondo secondo Pechino, che per la verità ha già preso vita con la comune piattaforma Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica). Un’alleanza di Paesi che strizza l’occhio all’Europa. “Le rivalità tra le grandi potenze hanno procurato disastri all’umanità, come dimostrato dalle lezioni apprese nelle due guerre mondiali”, ha spiegato Wang annunciando l’imminente caduta di ciò che rimane del “sistema coloniale e delle strutture centro-periferia con i loro ordini ineguali”. La risposta al mondo unipolare oggi rappresentato dal dominio Usa, è dunque già predisposta con la piattaforma comune tra le cinque nazioani del Brics, per sviluppare intese (per ora solo commerciali, con una moneta comune ma con le porte aperte anche per una futura alleanza militare) così da rendersi immuni alle eventuali sanzioni ritorsive di Washington. Insomma: si profilano scenari capaci di spuntare le armi e la capacità sanzionatoria (in ambito economico e commerciale) degli Stati Uniti, creando una rivalità monetaria con il dollaro (come già fatto dalla Ue con l’Euro) ma alla fine giungerà anche un patto militare che si prospetti tale da risultare equivalente alla forza americana . Ora, i cinesi, si sa, non si impicciano degli affari di governo altrui, né sono cultori della democrazia politica e dei diritti umani. Essi sono, già di per sé stessi, una sorta di ibrido tra comunismo e capitalismo. Ed è proprio questa neutralità a non ficcare il naso in casa d’altri che consente al Brics di non assumere vesti paternalistiche nei confronti degli altri paesi aderenti in campo sua politico che sociale. Insomma, finiranno per ingraziarsi, in tal modo, il governo della comunità dei paesi aderenti alla Ue. Se l’Europa, resasi autonoma sul piano militare, accettasse di far parte del Brics, per gli americani sarebbe l’isolamento, e gli unici alleati sarebbero i paesi dell’ex Commonwealth senza l’India. A quel punto i conti dei cowboy approdati alla Casa Bianca finirebbero per non tornare. Amen.
*già parlamentare