Il Caffè di Massimo Gramellini
Donald Gasp
Davvero Trump ha detto di Zelensky che è un «comico mediocre», dove l’aggettivo mira a fare ancora più male del sostantivo? Pare di sì e, per non essere da meno, anche Gasperini — l’allenatore dell’Atalanta — ha spiattellato in conferenza stampa che il suo giocatore più forte, Lookman, è «uno dei peggiori rigoristi che abbia mai visto». Aggiungendo, in piena sintonia con la Casa Bianca: «Li calcia veramente male». Zelensky e Lookman se la sono presa parecchio: uno dei due minaccia addirittura di andarsene e non è Zelensky. Resta il mistero del perché di tutta questa cattiveria, apparentemente gratuita. Nel senso che tu puoi dire quel che ti pare su Lookman e Zelensky, e puoi dirlo persino a loro. In privato, però. In pubblico esiste un prontuario di frasi fatte alla vaselina, a cui gli uomini attingono da decine di secoli: forse l’ultimo a sgarrare fu il gallo Brenno quando bullizzò i senatori dell’antica Roma al grido di «Guai ai vinti!». Da lì in avanti persino i peggiori tangheri hanno fatto ricorso all’arma dell’allusione, dell’eufemismo, in qualche caso dell’ironia, più spesso della fumisteria. Frasi come «Zelensky è un professionista da valorizzare anche in campi diversi dalla politica» o «Lookman va comunque elogiato per essersi assunto la responsabilità di tirare il rigore».
Macché. Si direbbe che da quando il politicamente corretto si è eretto a difesa dell’onorabilità di tutte le minoranze, gli unici che si possono ancora attaccare impunemente sono gli individui.
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