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BRUSIO E COMPLESSITA’ LE PAROLE DI OGGI A CURA DEL PROF. INNOCENZXO ORLANDO
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Brusio
bru-sì-o
Significato Rumore sommesso, confuso e continuo, specie prodotto da molte persone che parlano
Etimologia forse voce onomatopeica; forse, derivato da brusire dal francese bruire ‘rumoreggiare’, che forse è da ricollegare al rugìre latino.
«La lezione non dev’essere molto interessante, senti che brusio.»
Sono tante le parole che si prendono la briga di descrivere un suono — e vanno apprezzate tutte, perché il loro è un compito ostico, ostico in modo davvero verticale.
Quelle che col loro suono inseguono forme, colori, odori, consistenze, come anche sentimenti e concetti, cercano di rendere qualcosa che è altro da sé; afferrano o creano qualcosa che ha una natura differente ed esiste su differenti piani del reale. Riguardo alle sbavature di queste parole siamo clementi.
Quelle che definiscono o raccontano un suono, lo fanno essendo suoni. Il che ci rende molto esigenti, sul punto: una parola sbagliata o approssimativa nel rendere un suono è più insopportabile di tante altre parole fuori fuoco — e parimenti è gustosa una che lo rende bene.
Tutto questo periplo per introdurre una parola strabiliante, strabiliante per il modo che ha di raccontare un rumore molto particolare, su cui però si affollano tante altre parole: quello di tanta gente insieme.
Col brusio impariamo ad avere a che fare presto, perché i «Non voglio sentir brusio!», «Che cos’è questo brusio?» punteggiano la nostra esperienza scolastica. Ed è un’esperienza esemplare.
Il brusio è quasi unicamente umano, e in questo si distingue da altri generi di rumorii; e però è anche basso e discreto, lontano da gazzarre e cagnare. È un rumore di folla continuo, diverso dal bisbiglio. Ed è un rumore spontaneo, interno alla folla — non è una reazione collettiva quanto sanno esserlo borbottii e mormorii (che classicamente si leva dalla folla quando qualcosa dà scandalo). Ma non è tutto: il brusio ha una certa discrezione, compostezza, copertura, diciamo pure una certa consapevolezza della situazione, che lo distingue da chiacchiericci e cicalecci, più stretti e sfacciati.
Come si può immaginare, la sua chiave è nel suono. Non è incontrovertibile che sia proprio una parola dalla base onomatopeica; derivando da brusire potrebbe ricondursi al bruire — ma il discorso è ancora aperto. Di certo, in ogni caso la consonanza delle sue consonanti ci sa rendere con efficacia uno scuro, quieto ronzio di moltitudine — brus brus — che per noi oggi è davvero quasi solo umano, ma niente vieta di parlare del brusio delle api, o del brusio del torrente in fondo al botro, o del brusio dei macchinari, o del brusio del traffico in fondo alla via.
È una rappresentazione sonora piuttosto normale, quotidiana; non ha le vocazioni poetiche paludate del bruire che rammentavamo, ad esempio. Ma il suo lieve fervore, l’insopprimibile sobbollire dei discorsi della moltitudine che rappresenta, acchiappano un tratto volatile della nostra umana esperienza. E per acchiappare certi volatili serve proprio una brancata poetica.
Così parliamo del brusio che ci fa riconoscere la porta dell’appartamento che cerchiamo; parliamo del brusio che regna nel museo affollato; del brusio che si smorza quando la persona attesa inizia a parlare.
Sono tante le parole che si prendono la briga di descrivere un suono — e vanno apprezzate tutte, perché il loro è un compito ostico, ostico in modo davvero verticale.
Quelle che col loro suono inseguono forme, colori, odori, consistenze, come anche sentimenti e concetti, cercano di rendere qualcosa che è altro da sé; afferrano o creano qualcosa che ha una natura differente ed esiste su differenti piani del reale. Riguardo alle sbavature di queste parole siamo clementi.
Quelle che definiscono o raccontano un suono, lo fanno essendo suoni. Il che ci rende molto esigenti, sul punto: una parola sbagliata o approssimativa nel rendere un suono è più insopportabile di tante altre parole fuori fuoco — e parimenti è gustosa una che lo rende bene.
Tutto questo periplo per introdurre una parola strabiliante, strabiliante per il modo che ha di raccontare un rumore molto particolare, su cui però si affollano tante altre parole: quello di tanta gente insieme.
Col brusio impariamo ad avere a che fare presto, perché i «Non voglio sentir brusio!», «Che cos’è questo brusio?» punteggiano la nostra esperienza scolastica. Ed è un’esperienza esemplare.
Il brusio è quasi unicamente umano, e in questo si distingue da altri generi di rumorii; e però è anche basso e discreto, lontano da gazzarre e cagnare. È un rumore di folla continuo, diverso dal bisbiglio. Ed è un rumore spontaneo, interno alla folla — non è una reazione collettiva quanto sanno esserlo borbottii e mormorii (che classicamente si leva dalla folla quando qualcosa dà scandalo). Ma non è tutto: il brusio ha una certa discrezione, compostezza, copertura, diciamo pure una certa consapevolezza della situazione, che lo distingue da chiacchiericci e cicalecci, più stretti e sfacciati.
Come si può immaginare, la sua chiave è nel suono. Non è incontrovertibile che sia proprio una parola dalla base onomatopeica; derivando da brusire potrebbe ricondursi al bruire — ma il discorso è ancora aperto. Di certo, in ogni caso la consonanza delle sue consonanti ci sa rendere con efficacia uno scuro, quieto ronzio di moltitudine — brus brus — che per noi oggi è davvero quasi solo umano, ma niente vieta di parlare del brusio delle api, o del brusio del torrente in fondo al botro, o del brusio dei macchinari, o del brusio del traffico in fondo alla via.
È una rappresentazione sonora piuttosto normale, quotidiana; non ha le vocazioni poetiche paludate del bruire che rammentavamo, ad esempio. Ma il suo lieve fervore, l’insopprimibile sobbollire dei discorsi della moltitudine che rappresenta, acchiappano un tratto volatile della nostra umana esperienza. E per acchiappare certi volatili serve proprio una brancata poetica.
Così parliamo del brusio che ci fa riconoscere la porta dell’appartamento che cerchiamo; parliamo del brusio che regna nel museo affollato; del brusio che si smorza quando la persona attesa inizia a parlare.